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Bella da morire

Antonio Pascale

Reggio Calabria ancora prigioniera dei problemi del sud. Una passeggiata sul lungomare per riscoprire il talento della città meno raccontata d’Italia

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Bello fare le vasche sul lungomare (spettacolare) di Reggio Calabria: si vede la Sicilia e, ovvio, l’Etna (alcuni reggini lo ricordano meravigliosamente, fiabescamente imbiancato, come il Kilimangiaro o sfavillante, durate certe eruzioni). Sapete, poi, che state camminando ai bordi di una città poco raccontata, forse la meno raccontata d’Italia, sottoposta, per così dire alle catene di un certo immaginario, che va dai moti reggini del ’70 (su cui, e non solo per il cinquantennale, si è ripreso ai dibattere: la sinistra non ha capito, i media non hanno capito, però che giornate! Che momenti! Che orgoglio! ecc., e pochi ricordano i guai che un certo municipalismo causa all’Italia intera) ai fantastici Bronzi di Riace.

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Bello fare le vasche sul lungomare (spettacolare) di Reggio Calabria: si vede la Sicilia e, ovvio, l’Etna (alcuni reggini lo ricordano meravigliosamente, fiabescamente imbiancato, come il Kilimangiaro o sfavillante, durate certe eruzioni). Sapete, poi, che state camminando ai bordi di una città poco raccontata, forse la meno raccontata d’Italia, sottoposta, per così dire alle catene di un certo immaginario, che va dai moti reggini del ’70 (su cui, e non solo per il cinquantennale, si è ripreso ai dibattere: la sinistra non ha capito, i media non hanno capito, però che giornate! Che momenti! Che orgoglio! ecc., e pochi ricordano i guai che un certo municipalismo causa all’Italia intera) ai fantastici Bronzi di Riace.

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Passeggiate su e giù, dunque, e se siete fortunati (vista la perenne fila al chiosco) vi gustate pure il gelato o una granita del gelataio più buono d’Italia, Cesare, appunto. Magari avete mangiato bene, e a poco prezzo, pesce crudo (e tenete conto che fino a poco tempo fa c’erano panini con pancetta e melanzane, e poi viennesi e pesche con crema e cannoli e arancini) e dunque, simbolicamente, la pace e la luce, quella soprattutto, sono con voi: e non solo fate un sacco di pensieri, ma viaggiate da fermo. Veramente. Difatti, il tramonto trasforma Scilla (dove si pratica ancora oggi la pesca tradizionale del pescespada) in una cartolina (la zona di Chianalea di Scilla è ritenuta uno dei borghi più belli d’Italia).    

   

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Poi vi fermate al cippo Garibaldi. Ovvero il pino (così racconta la tradizione) dove fu appoggiato, ferito a ginocchio e malleolo, il generale


    

Sapete, poi, che sull’altro versante, quello jonico, c’è Bova, appoggiata nella vallata dell’Amendolea, e cioè la “capitale” della cultura grecanica (altro borgo, ai primi posti della classifica dei borghi italiani), e nell’entroterra troviamo Gerace, cittadina medievale, con alcune antiche abitazioni scavate nella roccia (nonché il castello normanno e la cattedrale anch’essa normanna, naturalmente, annoverata tra i borghi più belli d’Italia).

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Non possono mancare all’appello Siderno e poi Stilo, dove visse il filosofo Tommaso Campanella (castello normanno e un’importante chiesa bizantina, la Cattolica. E’ anch’esso incluso tra i borghi più belli d’Italia) e Pentadattilo: un borgo costruito su rocce a forma di dita (ricoperte di fichi d’india). Nel silenzio (Pentadattilo è abbandonato), sotto il sole o sotto la luna, tra le stradine e le macerie questo paese si presenta con il suggestivo alone spettrale – c’è una chiesa, un bar, un ostello, e qualche negozio di artigianato locale, tanto origano e camomilla che profumano la valle (e una ragazza con i capelli rossi che si aggira tra le macerie).

   

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E se sul lungomare sentite un profumo (oltre alla camomilla) quelli sono i bergamotti: vorrei invitarvi almeno una volta a provare la struggente esperienza di attraversare dei campi coltivati a bergamotto e finire su una spiaggia, sul mare. E se, appunto, vi viene voglia di montagna, così d’emblée, allora, partendo dal lungomare, 45 minuti e siete a Gambarie, pieno Aspromonte, 1.450 metri sul livello del mare, tra le più importanti località turistiche, voglio dire, a parte tutto, forse una delle poche piste da sci con vista mare.

  

Strada facendo vi fermate al cippo Garibaldi. Ovvero il pino (così racconta la tradizione) dove fu appoggiato, ferito a ginocchio e malleolo, il nostro generale di riferimento (il pino è secolare e bellissimo, il tronco si biforca e va verso l’alto, imperioso, ma in basso, alla base del tronco, c’è una sorta di piccola grotta o di grande ferita): cioè, quale luogo è più adatto per mettere su un talk sulla storia italiana (un modesto suggerimento a Rai Storia).

   


I figli se ne vanno e padri e madri li seguono: è il pendolarismo dei genitori. Il partito dell’edilizia punta sui cantieri pubblici


    

E visto che ci siamo, parliamo dell’Aspromonte? Questo massiccio montuoso con quattro terrazze sovrapposte, cioè quattro livelli di diversa morfologia e botanica e consorzi floristici, unici. Perché variano a seconda dell’esposizione: massiccio abbracciato dal Tirreno e dallo Ionio, tra ginestre spinose e quelle da fibra, lentisco, mirto, e tamerici (che D’Annunzio sarebbe stato contentissimo) nelle zone umide, per non parlare della macchia mediterranea e dei boschi veri, rovere e lecci, castagni e pinete e abeti bianchi e infine, in alto, il faggio, questo massiccio montuoso racchiude l’osso d’Italia e la polpa: ne vogliamo parlare?

   

Inoltre, quando passeggiate sul lungomare, sapete, o ve l’hanno detto, che sotto di voi scorrono non fiumi ma torrenti (fiumare in gergo: corsi d’acqua a carattere torrentizio, che solcano l’entroterra incidendo profondamente il suolo e rendendolo caratteristico). Sette, per la precisione, da nord verso sud, il Catona, il Gallico e il Torbido, l’Annunziata e il Calopinace (nel centro storico), il Sant’Agata e il Valanidi (negli ultimi decenni sono stati deviati, intubati e cementificati artificialmente, per configurare l’assetto dello sviluppo cittadino).

   

E magari non ci pensate, ma ve lo dicono, sono sette pure le città stratificate sotto i vostri piedi: dai primi insediamenti, governati, dicono i miti, saggiamente e generosamente da un Re-Patriarca, Re Italo (popolazioni appartenenti alle stirpi degli Ausoni, degli Enotri e degli Itali-Morgeti: tutto raccontato benissimo nelle sale del museo archeologico di Reggio). Poi ecco i Greci (ci sono i resti dell’antica necropoli, non molto ampia), e dopo i Romani (premiano Reggio per la resistenza opposta ai Bruzi e ad Annibale) che in età repubblicana costruiscono un tracciato stradale militare diretto tra Roma e Reggio, la via Annia-Popilia.

   

Arrivano di seguito i Bizantini (la città fu rafforzata con nuove mura e fortificazioni e per più di cinque secoli occupò un ruolo di primo piano nell’impero di Bisanzio, periodo in cui rifiorì culturalmente e politicamente, tanto da diventare capoluogo del Bruzio). Poi gli Angioini-Aragonesi (la conquista angioina portò nel 1267 a un peggioramento delle condizioni economiche e sociali: vuoi le guerre e metti la pressione fiscale). Poi c’è la città dell’età moderna (tra spagnoli, turchi, e prime coltivazioni del bergamotto e i Borbone) e infine la settima città, quella dell’età contemporanea: e cioè, di seguito, terremoto del 1908, ricostruzione della città (grazie alle direttive dell’ingegnere De Nava, che realizza molti edifici in stile liberty dagli innovativi criteri antisismici), fascisti che espandono i confini (con il progetto della Grande Reggio: quattordici comuni messi insieme, nuovi quartieri di edilizia popolare e diversi palazzi pubblici, come la Stazione ferroviaria centrale, il Museo nazionale della Magna Grecia e il Teatro comunale Francesco Cilea).

   

Poi dopo la guerra, gli immancabili democristiani e alle fine anni 80 c’è la nota primavera di Reggio (grazie al sindaco Italo Falcomatà). Allora, l’Università degli studi diventa statale, viene effettuata una serie di interventi sul territorio come il completamento dei lavori (fermi da più di vent’anni) sul lungomare (dopo la morte del sindaco prenderà il suo nome). Dove appunto ora passeggiate, in pace, avvolti dalla luce, con piante di ficus secolari, l’Etna, Scilla, Stilo e gli altri borghi che vi allietano, il gelato di Cesare che vi rinfresca, ecco, allora passeggiando su e giù, vi chiedete: ma perché questa città con le potenzialità elencate (in verità ci sono al momento molte strade sommerse dall’immondizia) ha tanti problemi e non riesce a uscirne?

   

E se è vero che Reggio è lo specchio del sud, ma che ci manca per specchiarsi a dovere? Cosa, insomma, offusca l’immagine? Che poi se ci pensate, ogni tanto, la Calabria torna trend topic: in un qualunque dibattito pre e post elettorale (e a Reggio fra poco si vota) c’è sempre uno dei contendenti che parla della Calabria e del capoluogo. Territorio dimenticato, sconosciuto, evocato. E poi gli immigrati, Rosarno, la ’ndrangheta la ’nduja, la speculazione e la magnifica costa con le case abusive: ogni tanto qualcuno vuole ripartire dalla Calabria. Il Pd anche: ripartire dalla Calabria o ritornare in Calabria – dissero – non mi ricordo dopo qualche sconfitta. Che poi per inciso è una vita che la sinistra riparte o ritorna. Avevo 18 anni mi ero iscritto a Dp (Democrazia proletaria) e durante la prima riunione il capo sezione disse: dobbiamo tornare a... Nemmeno ero arrivato che già dovevo tornare o ripartire.

       


Passeggiando sul lungomare, sapete che sotto di voi scorrono sette torrenti. E sono sette pure le città stratificate sotto i vostri piedi


     

Diciamo che passeggiando sul lungomare e ascoltando le discussioni politiche tra falcomatiani ed ex scopellitiani, si intuisce uno dei problemi di questa città. Molte persone non voteranno: o sono scoraggiate (la spazzatura fa questo effetto anche sui caratteri tenaci) o perché residenti altrove: i nuovi migranti, li chiamano. Ecco, è uno dei problemi. Tipo, nel 2016 i calabresi che hanno lasciato la propria regione sono stati 400 mila, il 6,3 per cento in più rispetto al 2015. Nel 2019 sono invece scesi, ma di poco (i dati si possono trovare, per esempio, alla fondazione Migrantes).

    

Ma chi sono quelli che emigrano? Prima (nel Dopoguerra) soprattutto giovane manodopera, proveniente dalle aree rurali (la prima ondata migratoria secondo Toniolo e Vecchi ha contribuito a quel processo che va sotto il nome di industrializzazione benigna. Le persone che stavano peggio se ne andavano, quando tornavano portavano con sé capitali. Materiali o immateriale non importa: il tenore di vita si alzava). Oggi sono i laureati e gli studenti universitari (immatricolati fuori regione) che si spostano dalle regioni meridionali e insulari, verso le regioni del centro e del nord (emigrano anche i settentrionali, i lombardi e i piemontesi, per esempio, verso altre nazioni).

   

Motivo? Sempre lo stesso, che sia prima o seconda ondata, la regione (dice l’Eurostat) ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile d’Europa (il 58,7 per cento). E poi sì, va bene, il territorio è pieno delle suindicate bellezze, ma come ci arrivi? L’aeroporto di Reggio Calabria è sempre a rischio chiusura (quest’anno poi, Covid e crisi Alitalia, monopolista dello scalo, hanno reso la situazione drammatica, così si scrive nei comunicati). Le altre infrastrutture? Insomma, dai.

     

Tante potenzialità, poche opportunità. La ’ndrangheta? Sì, certo ha avuto un colpo durissimo, sono rimaste – dicono – solo le seconde e terze file. Però secondo il presidente della Corte d’appello di Reggo Calabria: “In Calabria rimane sempre prioritaria l’esigenza di affermare una legalità e un senso civico che tardano a trovare compiuta attuazione, tenuto conto di come ancora non si siano eliminate commistioni tra ambienti malavitosi e appartenenti a istituzioni, ordini professionali, mondo economico e potere politico, e ciò dà l’idea di una poltiglia vischiosa”.

   

Secondo problema, lamentano: la poltiglia vischiosa da cui si vuole scappare. In Calabria e a Reggio si assiste a un fenomeno migratorio ancora più particolare: i figli se ne vanno e i genitori li seguono. Il sociologo Perna lo chiama pendolarismo dei genitori (comunque, per farla breve, secondo lo Svimez negli ultimi quindici anni 1,7 milioni di persone sono emigrate dal sud, e il 72,4 per cento ha meno di 34 anni).

   


La regione (dice l’Eurostat) ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile d’Europa. Tante potenzialità, poche opportunità   


    

Del resto – si dice in giro – che dobbiamo fare nei fine settimana? Stare nella poltiglia vischiosa? Dai, raggiungiamo i figli: è un modo per investire stipendi e risparmi nella formazione, pagare rette universitarie e il costo degli affitti a Roma o a Milano. A volte provano pure a comprare casa, se sono in pensione pensano: ci trasferiamo pure noi, appresso ai figli.

    

Quindi? Vista la situazione, che si fa? Lavoro über alles. Quale lavoro? Per esempio, sblocchiamo l’edilizia: sì, perché qui esiste un partito dell’edilizia. Che tra l’altro, un tempo, a questo partito (e credo a ragione) si imputava lo sfascio della città. Ora invece, pare, sia il motore del cambiamento (negli ultimi dieci anni sono state chiuse 320 imprese e sono stati persi più di quattromila posti di lavoro).

   

Ma poi si fa presto a dire edilizia, che vuoi costruire? Case? Perché mancano? E le case che ci sono, invece, quelle, quanto costano? Siccome mi fermo spesso nelle agenzie immobiliari (offrono un quadro di riferimento, sociologico, antropologico) ho fatto un giro per quelle di Reggio: bè, costano poco. Tanto che pensi: mi trasferisco qua, mi compro una casa vista mare.

   

Costano poco un po’ per l’emigrazione, un po’ per il basso tasso di natalità, un po’ perché non servono. Il turismo, per esempio, non porta molto. Turismo di passaggio, giusto il tempo di visitare i bronzi. Insomma, paradosso: il Museo archeologico nazionale conta più di 200 mila presenze, e sono in grande aumento rispetto agli anni passati, mentre i pernottamenti in città sono rimasti sostanzialmente stabili. Del resto qualcuno che ha i figli fuori, o ha chiuso le loro camere, o ha messo su un b&b, ma pare che restino vuoti per molti mesi all’anno.

   

Anche per questo il partito dell’edilizia punta sui cantieri pubblici. Sbloccare le opere pubbliche, come ai tempi della Cassa del Mezzogiorno, che all’epoca qualche risultano l’ha prodotto. Ma chissà. Se andate a vedere i bronzi al Museo nazionale (bellissimo), se salite sull’Aspromonte, se vi fermate davanti al cippo Garibaldi o Pentadattilo, vi rimarrà comunque una sensazione: qui sotto i vostri piedi scorrono, sì va bene, le sette fiumare, ma anche millenni di storia, dunque, noi siamo qui, su questo lungomare (simbolicamente ci siamo tutti), avvolti dalla luce, tanta acqua è passata sotto i ponti, e dolore, sofferenza, emarginazione, casini vari, siamo instabili, provvisori, vuoi la vicinanza al vulcano, vuoi per terremoti e altro. E allora, in nome di questa luce, invece di ricadere nella solita melma, dei condominismi, municipalismi, perché non cerchiamo di fare il possibile per rendere la nostra comunità stabile, sicura, aperta, altruistica, così da migliorarla.

   

Perché invece di invocare la bellezza passata non proviamo a costruirne un’altra? Un paese può crescere solo se innova, se produce beni che vende, e non in nome di una presunta specialità italica, ma perché sono nuovi e nessuno li sa fare. Perché dunque non innoviamo Reggio Calabria: la materia c’è. Sarebbe un bene e un esempio per tutti.

Ah, certo, è solo una sensazione, poi mi rendo conto, la luce scema e intorno si fa buio.

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