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Vacanze di lettere e azzardo

Giuseppe Marcenaro

Le città termali dell’Ottocento, dove tra prostitute e roulette gli scrittori curavano l’arte della perdizione

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La “Guida dello straniero alle acque di Wiesbaden”, pubblicata nel 1835, ovviamente in francese, è un libretto che oggi può far vibrare soltanto qualche bibliofilo demente. Eppure reca una squillante forza evocativa. Al suo tempo, da “quelli della buona società” la guida doveva essere consultata con goloso fervore. Pagine che esortavano a correre, senza indugio, alle rinomate “città d’acqua” dove, grazie alle salvifiche terme, ogni male fisico si sarebbe placato e ogni disturbo e doglia, dalle turbolenze intestinali alle scrofole, svanito per incanto. Era un’epoca di incertezze, turbata da strane paure, sapientemente diffuse da untori della parola, cui facevano ottimistico controcanto superbi Dulcamara dalla loquace ciarlataneria che esaltavano elisir capaci di liberare da ogni disturbo del fisico e dell’anima. Esortazioni di sapienti influencer propalanti la fissazione per il benessere: su tutto contava l’aspetto esteriore onde apparire gagliardi e “giusti” ai concorsi estetici degli sguardi altrui. Con esortazioni a correre verso luoghi di acque miracolose: moda che proruppe per l’Europa lungo l’Ottocento. Va be’, come ognun sa, lo sguazzo dell’umanità alle terme prosperò fin dall’antichità, ma il massimo splendore dell’acquorea moda fu vissuto nell’ottocentesco Gran Secolo tra le sontuose e un po’ mortifere architetture delle mitizzate Wiesbaden, o le boemiche giaciture di Karlsbad e Marienbad dove sgorgavano acque allo zolfo. Senza dimenticare Baden-Baden, allora “capitale estiva dell’Europa”. Si narravano stupori per far sognare e far correre tutti i belinoni – traslato e libera interpretazione come si direbbe oggi di community di follower – sempre pronti ad accodarsi al pifferaio di Hamelin. Con la promessa di immense godurie, guarigioni da ogni male, estranianti esaltazioni. Chi si sarebbe negato il piacere di mischiarsi nelle acquoree movide? E sentirsi partecipi di un universo affollato di teste coronate autentiche o supposte, risultato di ogni risma di parentali incroci di sangue e di tasca. Partecipare alla stagione termale era promessa di assistere dal palcoscenico, appunto dalla parte degli interpreti, a un esaltante Ballo Exelsior dagli effluvi solforosi. Guatando d’invidia, ma anche di autoconsiderazione, magari un poco discosti durante le bagnature promisque, appostati all’ombra di un cartello che invitava gli ospiti a non fare pipì nelle piscine.

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La “Guida dello straniero alle acque di Wiesbaden”, pubblicata nel 1835, ovviamente in francese, è un libretto che oggi può far vibrare soltanto qualche bibliofilo demente. Eppure reca una squillante forza evocativa. Al suo tempo, da “quelli della buona società” la guida doveva essere consultata con goloso fervore. Pagine che esortavano a correre, senza indugio, alle rinomate “città d’acqua” dove, grazie alle salvifiche terme, ogni male fisico si sarebbe placato e ogni disturbo e doglia, dalle turbolenze intestinali alle scrofole, svanito per incanto. Era un’epoca di incertezze, turbata da strane paure, sapientemente diffuse da untori della parola, cui facevano ottimistico controcanto superbi Dulcamara dalla loquace ciarlataneria che esaltavano elisir capaci di liberare da ogni disturbo del fisico e dell’anima. Esortazioni di sapienti influencer propalanti la fissazione per il benessere: su tutto contava l’aspetto esteriore onde apparire gagliardi e “giusti” ai concorsi estetici degli sguardi altrui. Con esortazioni a correre verso luoghi di acque miracolose: moda che proruppe per l’Europa lungo l’Ottocento. Va be’, come ognun sa, lo sguazzo dell’umanità alle terme prosperò fin dall’antichità, ma il massimo splendore dell’acquorea moda fu vissuto nell’ottocentesco Gran Secolo tra le sontuose e un po’ mortifere architetture delle mitizzate Wiesbaden, o le boemiche giaciture di Karlsbad e Marienbad dove sgorgavano acque allo zolfo. Senza dimenticare Baden-Baden, allora “capitale estiva dell’Europa”. Si narravano stupori per far sognare e far correre tutti i belinoni – traslato e libera interpretazione come si direbbe oggi di community di follower – sempre pronti ad accodarsi al pifferaio di Hamelin. Con la promessa di immense godurie, guarigioni da ogni male, estranianti esaltazioni. Chi si sarebbe negato il piacere di mischiarsi nelle acquoree movide? E sentirsi partecipi di un universo affollato di teste coronate autentiche o supposte, risultato di ogni risma di parentali incroci di sangue e di tasca. Partecipare alla stagione termale era promessa di assistere dal palcoscenico, appunto dalla parte degli interpreti, a un esaltante Ballo Exelsior dagli effluvi solforosi. Guatando d’invidia, ma anche di autoconsiderazione, magari un poco discosti durante le bagnature promisque, appostati all’ombra di un cartello che invitava gli ospiti a non fare pipì nelle piscine.

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Lo sguazzo dell’umanità alle terme prosperò fin dall’antichità, ma il massimo splendore fu vissuto nell’ottocentesco Gran secolo


 

La cultura e la diffusione dell’idroterapia nell’Europa centrale raggiunse, nel corso del XIX secolo, sommi vertici in termini di “perfezione” e varietà di trattamenti. Lo racconta, anche diffusamente, David Clay Large in “L’Europa delle terme” (Edt edizioni; 488 pp.; € 28 euro). Fu un periodo d’oro per le mode salutistiche: l’igiene personale, le idee tra gli stili di vita, la cura fisica e mentale. Era l’adeguamento di un’ambiziosa borghesia alle etichette delle corti e di una aristocrazia al tramonto. Il grande interesse suscitato dalle stazioni termali consisteva soprattutto nella capacità di attrarre i personaggi più in vista della società, della politica e della cultura. Dalle parti di Wiesbaden, Karlsbad, Marienbad, Baden-Baden... la gente “ricca” cercava nutrimento sociale nella “frequentazione”, almeno quanto una cura per la gotta o l’artrite. In ogni situazione, tuttavia, è sempre qualcosa d’altro ciò che si sta cercando. Non immune a questa vocazione dell’animo, un tipo come Goethe che al suo amico Eckermann confidava: ogni qual volta si recasse a trascorrere un po’ di tempo a Karlsbad aveva bisogno di “una piccola avventura di letto, altrimenti sarebbe morto di noia”.

 

I grandi centri termali prediletti da Goethe erano quelli boemi, in particolare Karlsbad e Marienbad. Assai abitudinario, tra il 1785 e il 1823 frequentò queste località una ventina di volte, in soggiorni che si protraevano tra le quindici e le diciannove settimane. Nel 1814 però pensò bene di spezzare la routine con una visita a Wiesbaden, di cui aveva inteso cose promettenti. Nel 1810 in quella stazione termale vicino a Francoforte era stata aperta una nuova Kurhaus e un casinò, che andavano a incrementare le attrattive, tra cui un affascinante paesaggio naturale. Si diceva che la clientela di Wiesbaden fosse particolarmente raffinata. Ma Wiesbaden sarebbe stata alla portata delle sue tasche? Il parsimonioso Goethe fece delle indagini preventive presso un suo conoscente: “Sareste così gentile da mandarmi una descrizione di Wiesbaden, insieme a una stima di quello che un individuo con un solo servitore al seguito potrebbe prevedere di spendere per un soggiorno tra le quattro e le sei settimane?”. Poiché conosceva l’avarizia di Goethe l’amico con grande franchezza rispose: “E’ fattibile!”. Goethe compì il pellegrinaggio a Wiesbaden, ma fu scioccato da quanto ogni cosa costasse: “Qui si impara velocemente che le monete sono tonde e che rotolano fuori dalle tasche!”. In realtà, benché non potesse supporlo, Wiesbaden era relativamente economica, non essendo ancora riuscita a colmare la distanza che la separava dalle località di cura di livello mondiale. Quanto a Baden-Baden, l’occasione di avere il grande poeta tra i suoi illustri ospiti sfumò per poco. Nel 1816 Joachim Cotta, comproprietario del Badischer Hof, aveva invitato a soggiornarvi l’autorevole personaggio. Poiché l’albergatore offriva a Goethe ospitalità gratuita e l’invito godeva dell’appoggio del suo mecenate, il duca Carl August di Sassonia-Weimar, con degnazione il poeta aveva accettato. Ma durante il viaggio per Baden-Baden la carrozza di Goethe aveva perso una ruota e si era ribaltata. Notevolmente scosso, il grande Wolfgang interpretò l’incidente come un segno del destino, un avvertimento che gli diceva di non andare a Baden-Baden. Fece quindi velocemente ritorno alla sua routine di soggiorni nelle stazioni termali. Nei primi anni Goethe si era limitato a frequentare Karlsbad, la più antica, grande e leggendaria tra le località termali in terra boema. Durante la prima visita vi rimase per quarantacinque giorni. Goethe era un tipo socievole e nutriva una passione onnivora per le arti, le scienze naturali e la politica. Zoppicava per via della solita gotta, aveva alcuni fastidiosi disturbi di stomaco. Ma era posseduto da un appetito sessuale insaziabile. Non soggiornava certo alle terme per curarsi. Il suo fine era quello di dedicarsi a eccitanti avventure amorose. Impegnato a salire e scendere da occasionali letti, anche per ragioni di manina corta, Goethe non si faceva certo attrarre dalla principale “distrazione” delle città d’acqua: i giochi d’azzardo.


Baden-Baden era una città piena di aristocratici russi. Ma nessuno giocava con l’accanita dedizione di Tolstoj


 

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E’ un vero peccato non siano state ancora raccontate le gesta delle celebrabili frequentatrici delle città termali. La più grande di tutte le Grandes Horizontales a modo suo fu Lola Montez, nata in Irlanda con il nome di Elizabeth Gilbert. Conquistò cuori e portafogli folleggiando per le stazioni termali e la sua storia con il re di Baviera Ludovico I fece talmente scandalo da indurre il sovrano ad abdicare. Lola Montez non era tipo da commuoversi più di tanto: già si era misurata in una robusta relazione con Liszt. Mentre l’emaciato musicista, che soffriva di itterizia, a Baden-Baden passava le acque, l’ineffabile Lola frequentava il tavolo della roulette, certo per giocare ma anche per allargare il giro delle possibili conoscenze. Per turbare la città termale, visto l’immaginabile clima, ci voleva un bell’impegno. Lola si rivelò all’altezza della sfida. Le sue pubbliche esibizioni – si era sollevata l’abito fino all’inguine per far colpo su un ammiratore – le costò l’espulsione dalla città. Liszt, angosciato dalle prorompenti esibizioni dell’esuberante amante, aveva lasciato Baden-Baden mentre Lola faceva un riposino nella loro camera in hotel. Prima di andarsene Liszt aveva comunque offerto del denaro all’albergatore per ripagare la mobilia che Lola avrebbe sicuramente fatto a pezzi non appena scoperta la sua fuga. Nonostante l’ineffabile Montez facesse di tutto per “essere celebrata” e volesse apparire su tutti i palcoscenici della società del tempo, non riuscì a superare in notorietà la più celebrata giocatrice di roulette, la contessa russa Sophie Kissileff. Di lei si diceva approdasse al tavolo verde una sola volta al giorno: dalle undici del mattino alle undici di sera. E né il divorzio dal marito, furente per la sconsiderata passione della consorte, né si vagheggiava un’ammonizione pontificia sollecitata chissà da chi, strapparono madama Sophie dall’ipnotica frenesia della pallina saltabeccante tra i numeri. Alla fine rimase senza soldi. Si disse avesse arricchito il casinò di Baden-Baden. La contessa Kissileff è stata forse la più conosciuta giocatrice russa a frequentare le stazioni termali tedesche nella seconda metà dell’Ottocento. Ma rimase una curiosità. Per fama fu battuta da ben altri suoi connazionali. Giocatori appassionati. Ammalati. Quando varcavano l’ingresso di una scintillante casa da gioco, venivano colti da una specie di febbre. Frequentavano le città termali per guarir dal “disturbo” che li pervadeva e cadevano in trappole dalle quali non riuscivano più a scappare. Non tutti però finirono con lo smarrire le proprie esistenze in luoghi di ambigua perdizione.

 

Gogol arrivò a Baden-Baden per curarsi. Da sempre ipocondriaco “era uno scricciolino di ragazzo, – così veniva visto – cagionevole e tremolante con le mani sudate, i capelli untuosi e il pus che gli sgocciolava da un orecchio”. Povero Gogol. Soffriva di una forma precoce di gotta e di dolorose emorroidi, risultato di una forsennata golosità e dallo stare continuamente seduto. Era preda di quella sindrome che passa sotto la definizione di intestino irritabile: lunghi periodi di stitichezza alternati a profluvi di diarrea. Aveva trovato sollievo e risolse parte dei suoi problemi grazie alle cure a Baden-Baden. Nella città termale non frequentava nessun rendez-vous mondano. Ogni giorno sempre più chiuso e ombroso si dedicava a coltivare un cupo risentimento contro il genere umano. Scaricava la sua amarezza su Ivan Turgeniev, altro ipocondriaco, che incontrava ogni giorno sulla strada delle terme. Il “collega scrittore”, Turgenev , al contrario di Gogol era un cospicuo signore che, dopo aver abbandonata la madre patria, soggiorni a Parigi e in Germania, si era insediato stabilmente a Baden-Baden. E se Gogol traguardandolo cercava di eviralo, notoriamente ricco e generoso, Turgenev era invece ricercatissimo da Lev Tolstoj – anch’egli approdato alla città termale per “curare i propri disturbi e le ansie al tavolo verde”. Lui sollecitava prestiti per ritentare la fortuna: sosteneva d’avere un metodo infallibile per vincere e “tornare a riprendersi” i rivoli di denaro che gli erano già sfuggiti durante le quotidiane tenzoni con Madame Roulette.


Quando Goethe trascorreva un po’ di tempo a Karlsbad aveva bisogno di “una piccola avventura di letto, altrimenti sarebbe morto di noia”


 

Turgenev era cortese, taciturno e morigerato nelle abitudini. Tolstoj estroverso, litigioso, loquace e portato ad atteggiamenti estremi. Nessuno allora, e meno che mai lui stesso, avrebbe potuto prevedere che questo spavaldo e giovane ex militare che godeva i primi successi letterari, dopo aver creato due capolavori assoluti della letteratura russa, avrebbe rinunciato alla narrativa per scrivere trattati politico-religiosi e trascorrere gli ultimi anni della sua vita predicando pacifismo, amore fraterno, cristianesimo primitivo, anarchia, abolizione della proprietà privata, astinenza dagli alcolici.

 

Arrivato a Baden-Baden Tolstoj aveva trovato una città piena di aristocratici russi: i principi Obolenskij, Trubetzkoy, Menshikov, gente che incontrava soprattutto al casinò. Giocavano tutti ma non certo con l’accanita dedizione di Tolstoj, che progressivamente in quel tempo “consegnò” fino all’ultimo centesimo del proprio patrimonio a Madame Roulette. Accumulando un fiume di debiti per prestiti che chiedeva continuamente a tutti: ai principi russi, a banchieri amici, a Turgenev che gli consentì l’aiuto con una ammonizione: “Non lasciate che la vita vi scivoli tra le dita”. Tolstoj corse subito a gettare l’ennesimo prestito di Turgenev nel pozzo senza fondo del casinò che aveva già inghiottito tutti i suoi averi.

 

Altra rappresentazione con analogo scenario. Un completo fallimento il soggiorno di Dostoevskij a Wiesbaden dove ricevette una lettera dal fratello Mikhail: “Per amor del Cielo, non giocare più. Come puoi scommettere tutti i nostri averi? Scrivi come un uomo d’affari. Non parli più dei viaggi, né delle tue impressioni”. Fëdor era completamente mutato: era in balia del demone del gioco. A corto delle risorse economiche per permettersi il soggiorno nella stazione termale era arrivato a Wiesbaden con la baldanzosa illusione di “fare i soldi” più che spenderli. E dove meglio mietere guadagni se non ai celebrati tavoli verdi di una città termale? Ovviamente l’illusorio tentativo risultò un disastro. Ritentò l’anno successivo. Con la scusa di “curare l’epilessia” riuscì a lucrare un sussidio dall’Associazione per il sostegno degli scrittori bisognosi di San Pietroburgo. Il secondo appuntamento con Madame Roulette avvenne a Baden-Baden. Più disastroso del primo. Travolto dall’ossessione Dostoevskij continuava a giocare sia che vincesse sia perdesse. Dopo una serie di pellegrinaggi a case da gioco un varie città europee la terribile sirena lo attirò ancora a Wiesbaden dove invece di guarire dai sui mali e dalle sue ossessioni il male si aggravò. Fin quando la malattia sotto forma di scrittura ebbe il sopravvento.


Non tutti finirono con lo smarrire le proprie esistenze in luoghi di ambigua perdizione. Gogol’, per esempio, ci andava per curarsi


 

Dostoevskij trovò la forza di dedicarsi a un breve romanzo che intitolò “Roulettenburg”. Sarebbe diventato “Il giocatore”, viaggio tra le bassezze nelle stazioni termali dove l’unica e principale vocazione non era certo far guarire da ogni doglia chi vi si recasse. Altro che acque curative. Pelare i gonzi con premeditata diffusione epidemica del gioco. Indurre a provare. Tentare un azzardo per sentire come si stia con una malattia perniciosa.

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