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Sesso e vanità

Mariarosa Mancuso

Per i moralisti il suo è “wealthy porn” ma Kevin Kwan se ne frega e dopo “Crazy Rich Asian” conta i soldi a Los Angeles

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Nel 1985 Kevin Kwan aveva poco più di dieci anni. Era un ragazzo ricco cresciuto a Singapore. Molto ricco: il bisnonno aveva fondato lì la prima banca, lui frequentava come tutti in famiglia la American Chinese School. Con un certo stupore. Tutti i compagni di scuola esibivano orologi preziosi e avevano ad aspettarli l’autista con la Mercedes o la Bentley – i Kwan tenevano un profilo più basso.

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Nel 1985 Kevin Kwan aveva poco più di dieci anni. Era un ragazzo ricco cresciuto a Singapore. Molto ricco: il bisnonno aveva fondato lì la prima banca, lui frequentava come tutti in famiglia la American Chinese School. Con un certo stupore. Tutti i compagni di scuola esibivano orologi preziosi e avevano ad aspettarli l’autista con la Mercedes o la Bentley – i Kwan tenevano un profilo più basso.

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Andò al cinema per vedere “Camera con vista”, il film di James Ivory tratto dal romanzo di Edward Morgan Forster, e scoprì che Maggie Smith parlava esattamente come una sua zia giornalista. L’accento britannico dell’epoca edoardiana era rimasto intatto, e così le abitudini, trasportate dall’altra parte del mondo. In casa parlavano inglese, il mandarino si imparava a scuola. Ebbe lo stesso déjà-vu, a New York, dove aveva frequentato la Parsons School of Design ed era spesso ospite dei compagni di scuola, nell’Upper West Side e negli Hamptons.

 

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Ne ha ricavato una passione – anche letteraria, si capisce che ha letto e riletto Francis Scott Fitzgerald – per il denaro. Per il modo di spenderlo e di esibirlo. Per gli status symbol dei ricchi con i soldi vecchi e di chi cerca di imitarli con i soldi nuovi (“Quanto tempo ci vuole in America per fare un milione di dollari?”, chiede un cinese nel film di Lulu Wang intitolato “The Farewell - Una bugia buona”. L’interlocutore esita, il cinese prosegue: “Qui pochissimo”).

 

Finora con un occhio agli asiatici. I suoi bestseller – tradotti in una quarantina di lingue, se non fosse già ricco lo sarebbe diventato – hanno per titolo: “Crazy Rich Asian”, “China Rich Girlfriend”, “Rich People Problems”. “Asiatici ricchi da pazzi” è il titolo collettivo italiano dei primi due, “Crazy & Rich” e “La fidanzata cinese”. Il film che ne ha tratto Jon M. Chu ha incassato nel mondo 239 milioni di dollari (in Italia quasi nulla, per non spaventare gli spettatori hanno tolto di mezzo gli “asiatici”, e non se ne sono accorti neanche i lettori affezionati).

 

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“The Shakespeare of Status Anxiety”, lo ha battezzato l’Atlantic. I moralisti hanno invece liquidato i romanzi di Kevin Kwan come “wealthy porn”, lasciando intendere che il porno genuino è più rispettabile. Sorpresa: il suo ultimo romanzo – “Sex and Vanity”, appena uscito da Doubleday – è in parte ambientato a Capri (sul sito, lo scrittore sfoggia faraglioni, grotte azzurre, sandali e tramonti, pastasciutte e casa di Malaparte). Sorpresa ancora più sorprendente, è un omaggio a “Camera con vista”.

 

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La ricca ereditiera Lucie Tang Churchill – discendente dai puritani sbarcati dalla Mayflower per parte di padre, la madre è una cinese nata a Seattle – arriva per un matrimonio nell’albergo più lussuoso e le negano la camera con il panorama più bello. A cederle la sua è un giovanotto di nome George Zhao: ha già una villa sul porto a Singapore, un’altra che guarda la baia di Sydney, è pure campione di surf, al mare per una volta può rinunciare. Lei accetta la stanza, ma lo guarda con la puzza sotto il naso.

 

Scavalcata la pizza con caviale e tartufo bianco che aggredisce il lettore italiano nelle prime pagine, scopriamo un altro uomo nella vita di Lucie. Tale Cecil, un billionaire millennial – per praticità “billennial”. Ha già pronto il diamante di fidanzamento, misura “testicolo di rinoceronte”. Progetta una casa con gondola e gondoliere. Quando si rotola tra le lenzuola usa con insistenza la parola “scettro”. Sappiamo come andrà a finire, non solo per avere letto “Camera con vista”. La coppia perfetta, parliamo di fiction, sono due che all’inizio si detestano.

 

Kevin Kwan non sta con le mani in mano (anche questo glielo deve aver insegnato la zia che chiede “What is a weekend?” con l’accento della contessa madre Maggie Smith). A Los Angeles, conta i diritti d’autore e sta scrivendo due serie. Una sulle dinastie del lusso. L’altra sarà “Downton Abbey” intrecciata con i film di David Lynch. Nell’Asia ricca da pazzi, naturalmente.

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