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Nuovissimi mostri. Dallo chef improvvisato al creatore di eventi in sicurezza

Marianna Rizzini

Il libro del giovane stand-up comedian Edoardo Ferrario

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Roma. Chi sono i mostri, questo è il problema. Il libro scritto dal giovane stand-up comedian e imitatore Edoardo Ferrario (“Siete persone cattive. Storie comiche di mostri italiani”, ed. Mondadori), mostra l’interdipendenza tra chi mostro si sente e chi di essere mostro neanche si rende conto. Nel gioco di specchi favorito dai social network e da una tv che si è dovuta piegare a una seconda vita da ancella del web, scorrono come in una galleria personaggi di fantasia più reali del reale, a partire dall’autore tv Raffaele, unico esempio di “napoletano pessimista”, come dice il conduttore truculento di “Paese reale”, talk-show dove lo share si alza quanto più il protagonista della serata è decadente: pensionate che ballano seminude sulle note di Katy Perry, pittori omofobi specializzati “in ritratti osceni” di famosi registi, ospiti che “sanno le cose” e ospiti che hanno l’unica funzione di fare eco alle peggiori voci dell’universo online, e infine lui, il rom europeista che inneggia a “Romanu Produ”, già sotto contratto con agente per tutte le trasmissioni, causa di successo e rovina per il programma, e infine politico di successo in proprio. Ed è più reale del reale anche lo chef improvvisato trentasettenne che, da un chiosco ai Colli Portuensi, diventa stella della nouvelle vague di cuochi-star televisivi, nell’epoca in cui ai ristoranti viene imposto l’evocativo nome a due o tre sillabe (“orzo”, “crudo”, “freddo”, “zenzero”, “aceto”), e lui però s’inventa il nome plurisillabico che punta sul fascino delle posate: “Argento&acciaio”. E però la dittatura degli haters minaccia la gioia effimera dell’essere arrivati.

 

Solo che poi si apprende che la dura legge del “like” ha in sé la sua nemesi: si cade, da mostri, ma ci si reinventa magari ballerini con Milly Carlucci e una partner di danze senatrice a Cinque stelle. Ferrario la tv la conosce (lo si è visto per tre anni a “Quelli che il calcio”), e non a caso è la tv, in molti di questi ritratti immaginari ma veri, l’inizio e la fine di tutto. Anche della malinconia che percorre la storia di chi si è chiuso in una villa avita con le proprie sicurezze di sinistra, e finisce in una sorta di “Carnage” familiare dove nulla è confermato dai fatti. La tv non c’è, ma è come se ci fosse nella vecchiaia insoddisfatta di Franco, a cui si è sgretolato un mondo di certezze tradizionaliste assieme alle sicurezze economiche anni Ottanta, quelle che la tv ha esaltato: ed eccolo vagheggiare meraviglie esotiche non appena l’amico di una vita gli racconta le sue peripezie da divorziato nei Caraibi, e però anche la fuga sembra a Franco intollerabile, come le nuove abitudini dei giovani che fatica a capire mentre è in fila in un bar di Anzio. Scorrono, in “Siete persone cattive”, tipi e luoghi di una Roma conosciuta, travolta da un altro tempo ma sempre presente, una città e una commedia umana che si muovono “attorno alle festività”, come fanno i protagonisti del racconto ambientato a Roma Nord che si chiamano per titoli (“avvocato”, “dottorissimo”, “presidente”) e che ogni anno inseguono nella memoria le scene di “Vacanze di Natale” o si riscattano dai mesi “del cappotto lungo” davanti agli spaghetti di Pasqua in riva al mare.

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Tutto diventa amarcord e rilancio, in un futuro ambiguo come le stories non riuscite che possono portare persino al suicidio (magari – orrore – preventivamente annunciato su Instagram). Chi si salva? Forse, nel suo pragmatismo terra-terra, solo Fabrizio Pappagallo, gestore di agenzia-eventi irriducibile, renitente anche alle regole post Covid, l’uomo che già conosce tutto dei matrimoni tutto compreso. Perché allora non reinventarsi come primo creatore di eventi in sicurezza, con mascherine lavabili e feste online? Detto e fatto: Pappagallo già c’è.

Marianna Rizzini

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