Lawrence Wright

Lawrence Wright ci porta nel cuore del contagio, delle idee e dei virus

Paola Peduzzi

Il premio Pulitzer ha scritto “Pandemia”, ma dice: “Non è profezia, è ricerca”

Tutti sapevano, io ho solo prestato attenzione”, dice Lawrence Wright scrollandosi di dosso quella “cosa da Nostradamus”, come la chiama lui, che gli si è appiccicata addosso da quando ha pubblicato il suo ultimo libro, il romanzo “Pandemia” (edizioni Piemme). Tutti aspirano ad aver visto, detto, pensato, segnalato qualsiasi cosa per primi, Wright invece ride dei titoli roboanti su di lui – “l’uomo che sapeva troppo”, ha scritto il New York Magazine – e sul suo libro “preveggente” che racconta un mondo piegato, brutalizzato, distrutto da un virus. “Non è profezia, è ricerca”, dice Wright collegato in video dallo studio di casa sua, ad Austin in Texas, un angolo di scaffali scuri, libri ordinati, un leggio e un mappamondo che fanno da sfondo perfetto al metodo di ricerca di Wright: molte conversazioni, molti appunti, molte verifiche, molte letture, cura e precisione. Per scrivere il suo romanzo, il premio Pulitzer Wright ha prima di tutto fatto ricerca, dice che solo così si può creare fiducia nel lettore, non ti avventuri in una storia di fiction senza sapere tutto della parte non fiction. Non è profezia, è ricerca, ripete, ma mentre Wright prende le distanze da Nostradamus getta addosso a noi una consapevolezza drammatica: tutti sapevano, bastava ascoltare. “Il mio libro è modellato sulla influenza spagnola del 1918 – racconta Wright – Volevo capire se oggi, cent’anni dopo, di fronte a un’epidemia, saremmo stati più pronti dei nostri antenati. Quello che ho scoperto, e che oggi vedo leggendo i giornali, è che no, non eravamo pronti: qui in America ma anche in Italia abbiamo sofferto molto a causa di questa impreparazione”. Per prepararti devi riconoscere la minaccia: alla fine dell’anno scorso Wright è venuto in Italia a presentare “Dio salvi il Texas” (edito da NR Edizioni, disclosure: la traduzione è mia) e ha citato il suo progetto successivo, le bozze del libro che aveva appena consegnato. Di che cosa parla? Di una pandemia, aveva risposto Wright: se avesse detto che aveva scritto un romanzo sull’invasione degli alieni l’effetto sarebbe stato lo stesso, stupore o disinteresse. E se avessimo letto “Pandemia” qualche mese fa, la prima parte sulle quarantene, sui confini chiusi, sull’isolamento globale ci sarebbe sembrata inverosimile, un’altra distopia, altro che ricerca – avremmo riconosciuto forse soltanto il presidente americano mai chiamato per nome con il lettino abbronzante in ufficio e una totale improvvisazione.

 

 

Wright racconta che leggere i giornali oggi è un’esperienza davvero strana: gli sembra di leggere il suo romanzo. Ma ora che le quarantene ce le stiamo lasciando alle spalle, inizia la parte difficile, del libro e della nostra vita: il titolo originale del romanzo è “The End of October”, che è un riferimento al tragico ottobre del 1918, il mese in cui l’America subì le perdite più ingenti del Novecento (comprese le guerre), il secondo picco della spagnola. Questa fine d’ottobre, che Wright ambienta proprio nel 2020, è la sintesi della paura di oggi, mentre ci avventuriamo a tentoni nelle exit strategy senza sapere se e quando arriverà il secondo picco. Il romanzo di Wright è strutturato sulla base della ricerca e di quella che lui chiama “una direzione plausibile”, ed è per questo che è tanto spaventoso. All’inizio compare un primo ministro italiano “nazionalista, con i capelli rasati sulle tempie e più lunghi sulla sommità della testa, nel perfetto stile dei neofascisti che stavano ormai dilagando in Europa”. Perché ci tocca un premier così? E’ la direzione plausibile di “un fenomeno molto evidente in Europa – dice Wright – L’ascesa dei partiti e dei movimenti di estrema destra”.

 

Prima di accompagnarci lungo questa spaventevole plausibilità, Wright – che prese il Pulitzer per “Le altissime torri”, la ricostruzione di come si arrivò all’11 settembre: anche quella era una storia straordinaria di impreparazione – dice di aver sottovalutato in “Pandemia” “la solidarietà delle persone”, una delle sorprese della realtà pandemica, l’imprevedibile che diventa rispetto delle regole, unità, persino gentilezza. “Una solidarietà pratica e spirituale”, dice Wright. La risposta umana al coronavirus è stata ben diversa da quella che ci si poteva immaginare, “le persone hanno deciso di consegnare molto potere ai loro governi, hanno rinunciato a molte libertà in breve tempo e con grande serietà, sono disposte anche a cedere buona parte della loro privacy” perché è stato chiaro fin da subito che per salvarsi singolarmente era necessario salvarsi collettivamente. Ma ora questo spirito unitario “sta via via scomparendo” perché siamo di fronte “a un bivio”, una scelta continua tra la cautela e la necessità di rimetterci in moto, tra esigenze sanitarie ed esigenze economiche, un bivio che ha tutta l’aria di un precipizio. Qui il ricercatore Wright, che ha avuto centinaia di conversazioni sulla possibile pandemia e che è noto al mondo proprio per questa sua capacità di collegare i puntini e restituirci storie solide, riprende a camminare lungo le direzioni plausibili, quelle che ci sono in “Pandemia” – la guerra tra Arabia Saudita e Iran, la destabilizzazione della Russia, le menzogne della Cina – e quelle della nostra realtà. E sì, si assomigliano.

 

Wright non fa previsioni, dice che le elezioni di novembre in America saranno un “referendum sulla gestione dell’Amministrazione Trump del coronavirus”: oggi la popolarità del presidente è in calo, la sua leggerezza nel comprendere quel che tutti sapevano – e nel non prepararsi: ha smantellato tutte le strutture esistenti contro le pandemie – e il suo aggirarsi indomito senza mascherina trasformando un metodo di prevenzione in una battaglia politica polarizzante sono evidenti e per lo più giudicati male. “Non sappiamo nemmeno come si andrà a votare – dice Wright – In questo momento si stanno prendendo decisioni cruciali con un approccio molto cinico”, le persone sono numeri elettorali. Con gli occhi di oggi, “a sei mesi dalle elezioni, il Partito repubblicano si prepara a un massacro, e si inizia a percepire tra molti esponenti il rimpianto di essersi consegnati con troppo fervore a Trump. Poi bisognerà vedere alla fine di ottobre”. Sempre di contagio stiamo parlando, anzi a ben vedere il contagio è il cuore degli studi e degli scritti di Wright, “le società hanno bisogno di immunità di gregge per le idee mortifere così come per i virus mortiferi”. Combattiamo pandemie ideologiche e virali, e ogni volta c’è un bivio. “In ogni crisi c’è un’opportunità – dice Wright – Prendiamo la Grande depressione: fu una delle più grandi tragedie della nostra storia, ma ricostruimmo da capo la nostra società, rendendola più forte e più solidale, siamo un paese molto migliore a causa della Depressione. La Seconda guerra mondiale risvegliò l’America, la rese la più grande e prospera democrazia del mondo. Venendo a eventi più recenti, prendiamo l’11 settembre: ero davvero convinto che quella tragedia ci avrebbe resi una potenza migliore, che avremmo esercitato la nostra leadership in un modo nuovo, invece invademmo l’Iraq, per me un errore epocale. O prendiamo le primavere arabe, un momento di svolta in cui credevo molto, un’opportunità che è stata del tutto tradita. Ecco, oggi siamo di nuovo qui, davanti a un bivio”. Ottimista o pessimista? “Nessuno dei due, sto soltanto osservando”, dice Wright con un sorriso, “di certo abbiamo la possibilità oggi di cambiare le nostre società in meglio o in peggio”. In “Pandemia”, le direzioni plausibili portano a una catastrofe, e l’unico elemento di consolazione è che il Kongoli virus della fiction è molto più mortale del coronavirus (per il resto non c’è pietà, non c’è compassione).

 

Nella realtà si può ancora scegliere per il meglio, “per società più eque e più compassionevoli”, la solidarietà dei lockdown può sopravvivere alla brutalità della riapertura, ma ci vorrebbe qualcuno che sa anche individuarla, una nuova direzione plausibile. Un leader. Potendo scegliere, lo scrittore che ha dato voce “all’ansia degli esperti con cui ho parlato preparando il libro e a cui questo libro è dedicato: tutti erano preoccupati per l’arrivo di un’epidemia, tutti parlavano di quanto fossimo impreparati”; il ricercatore e non il profeta che riconosciamo nel protagonista di “Pandemia”, il virologo “piccoletto, magrolino e ingobbito” Henry Parsons – potendo scegliere un leader oggi, Lawrence Wright dice: Angela Merkel.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi