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Fioretto d’attore

Marinella Guatterini

La scherma è la quintessenza del teatro, del balletto e della musica. Perché le “arti dell’inganno” accarezzano tutte le stesse emozioni

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En garde! e À vous! A breve non sentiremo l’elegante richiamo alla concentrazione e all’attacco dei nostri campioni schermidori. Le Olimpiadi di Tokyo sono state spostate al 23 luglio 2021, causa coronavirus. Chi vincerà, quali nazioni otterranno maggiori risultati? Riuscirà l’indomabile Federica Pellegrini (classe 1988) a vincere il ciondolo iridato nei suoi 200 metri stile libero? Sono incognite a cui ora non possiamo dare risposta. Una cosa però è già assodata. Se dalla nascita delle moderne Olimpiadi, nel 1896, a oggi, la scherma è la disciplina che ha donato all’Italia il più alto numero di medaglie –125 – ed è l’unico paese che tanta mercanzia ha elargito in tutte e tre le sue declinazioni – fioretto, spada, sciabola – è impossibile pensare a una retrocessione. Questo sport considerato “di nicchia” – nonostante non vi siano più spadaccini aristocratici o piumati moschettieri del re – macina tesori, campioni, maestri invidiati nel mondo, adepti di 5-6 anni che si sfidano velocissimi su pedane e palestre sempre più affollate anche da disabili in carrozzina e da non vedenti.

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En garde! e À vous! A breve non sentiremo l’elegante richiamo alla concentrazione e all’attacco dei nostri campioni schermidori. Le Olimpiadi di Tokyo sono state spostate al 23 luglio 2021, causa coronavirus. Chi vincerà, quali nazioni otterranno maggiori risultati? Riuscirà l’indomabile Federica Pellegrini (classe 1988) a vincere il ciondolo iridato nei suoi 200 metri stile libero? Sono incognite a cui ora non possiamo dare risposta. Una cosa però è già assodata. Se dalla nascita delle moderne Olimpiadi, nel 1896, a oggi, la scherma è la disciplina che ha donato all’Italia il più alto numero di medaglie –125 – ed è l’unico paese che tanta mercanzia ha elargito in tutte e tre le sue declinazioni – fioretto, spada, sciabola – è impossibile pensare a una retrocessione. Questo sport considerato “di nicchia” – nonostante non vi siano più spadaccini aristocratici o piumati moschettieri del re – macina tesori, campioni, maestri invidiati nel mondo, adepti di 5-6 anni che si sfidano velocissimi su pedane e palestre sempre più affollate anche da disabili in carrozzina e da non vedenti.

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La scherma ha un fascino particolare e un’alta emotività anche dietro allo schermo olimpionico. Le stoccate perfette della Vezzali


 

La scherma ha un fascino particolare e un’alta emotività anche dietro lo schermo olimpionico. Possiamo ricordare l’ultimo trionfo della leggendaria Valentina Vezzali a Londra, nel 2012, quando ormai perdente, perché sotto di 4 punti, contro la coreana Nam, in 9 secondi, dicasi secondi, e 3 magistrali stoccate, giunse al tempo supplementare la batté e vinse la medaglia di bronzo, portando poi all’oro l’intera squadra femminile. Batticuore da infarto per lei e per milioni di spettatori. Ma la scherma riserva ben altre insospettabili sorprese. Se osserviamo al rallentatore quella che rimane nella storia l’ultima e più perfetta esibizione della Vezzali scopriamo che i suoi muscoli non erano sempre in tensione, bensì in stretto dialogo con il rilascio degli stessi: solo quella rapidissima “conversazione”, per lei l’essere istintiva come un gatto che passa in pochi attimi da stati di riposo all’estrema potenza, consentì al suo corpo di essere aperto, sicuro, pronto ad accogliere stimoli esterni. “Tra questi due estremi possiamo immaginare le infinite mappature muscolari e sensoriali possibili per un attore”.

 

Attore? Si, avete capito bene. Nel più che utile manuale “Il lavoro invisibile dell’attore”, scritto a tre mani da Marina Gorla, Marco Macceri e Luca Zangheri (pubblicato nell’ottobre 2019 da Dino Audino Editore) non è certo solo il capitolo intitolato “Il Gatto-Tensione funzionale e tensione parassita” a stabilire uno stretto nesso tra il moderno attore, danzatore o performer contemporaneo, tutto “pensiero in movimento” anche quando recita, e lo schermidore. Per entrambi è indispensabile conquistare una precisa percezione del proprio corpo e degli spazi circostanti, e a livello psicologico, sviluppare autocontrollo ed equilibrio anche sotto stress, per raggiungere con naturalezza una perfetta, fluida e soprattutto ingannevole performance. Scherma e teatro sono ancora ed entrambe “arti dell’inganno”. Se infatti l’attore o il danzatore di oggi cerca spontaneità e naturalezza contro i molti cliché e stereotipi codificati del passato, di certo non li troverà con atteggiamenti quotidiani. Finirà per cadere nei suoi automatismi preesistenti e sempre uguali. Invece il corpo scenico “naturale” deve essere estraneo a se stesso, sorpreso delle sue stesse azioni. Deve ricercare – si legge nel manuale di Gorla/Macceri/Zangheri – “quella sorpresa che lo lascia aperto a quell’attimo prima che avvengano le cose, l’attimo in cui è in bilico fra passato e futuro”. Questo corpo scenico “naturale” è un inganno per il pubblico così come lo è per schermidore che farà di tutto per far credere all’avversario che è lui a dominare la situazione, mentre invece ha in serbo una sua personale strategia di assalto per giungere a batterlo. D’altra parte già per Molière la scherma era l’arte di colpire senza essere colpiti.


Marrazzi scoprì che il fraseggio musicale come quello schermistico sono in sintonia perché rispondono all’impulso di emozioni particolari


 

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Il primo a scoprire questa liaison, nell’Italia moderna, fu l’indimenticabile regista Giorgio Strehler; già nel 1951 tra gli insegnamenti della Scuola d’Arte Drammatica “Piccolo Teatro di Milano”, fondata assieme a Paolo Grassi, figurava anche la scherma: una disciplina, a suo dire, “idonea ad affinare la gestualità dei miei giovani attori”. Così nell’ampia sala danza di Corso Magenta 63, a Milano, prima sede della Scuola, comparve Marisa Cerani, fiorettista famosa, già prima campionessa ufficiale italiana nel 1928 e strenua sostenitrice della scherma femminile di cui lei stessa, nel 1932, aveva steso una sorta di manifesto in cui si legge: “Quando la donna avrà dimostrato in atti che sa mantenere la dignità e la gentilezza anche nella vita sportiva, taceranno tutte le voci piagnucolose e furibonde che ci vogliono clarisse”. Ben detto. Tuttavia è poco probabile che il grande Strehler, non insensibile al fascino femminile, fosse rimasto incantato da quell’atleta che allievi degli anni Settanta ricordano ancora come magra come uno stecchino, impettita, dura, mascolina. Di sicuro il regista l’aveva scelta solo per la sua bravura, e come a tutti gli ottimi e famosi insegnanti della sua Scuola non esitò certo a gettarle addosso valanghe di improperi per il più piccolo o grande errore.

 

Lo conferma un episodio accaduto nel 1965, l’anno della messinscena del “Gioco dei potenti”, un testo che Strehler stesso aveva tratto dalle tre parti dell’Enrico VI e da altre opere di Shakespeare. Siamo nell’Inghilterra del XV secolo. La Cerani, stretta nella sua divisa candida, continuava a impartire le sue lezioni con il “leggero” fioretto. Il veemente Strehler la spintonò e brandì a destra e a manca un pesante spadone di quelli che siamo soliti vedere nei film d’armi e cavalieri antichi. Mentre gli allievi, imprigionati nelle loro tutine nere, ammutolirono, la Cerani si limitò a gettare verso Strehler uno sguardo di disprezzo. Dopo l’increscioso touché, lasciò la sala e vi tornò l’indomani senza muovere un muscolo facciale. Per lei, personalità austera persino nel gruppo delle schermitrici anni Trenta, quasi danzatrici e quasi sexy, nelle coreografie di gruppo in gonnelline bianche, nulla era successo. Anzi, nel 1958 aveva già ottenuto da Strehler l’autorizzazione ad aprire una sua Scuola di scherma in Via Cerva con il nome del Piccolo Teatro, pur continuando a insegnare in Corso Magenta sino al 1979. L’anno successivo qualche nuovo allievo, ritrovando negli armadietti maschere e divise da scherma, che nel frattempo avevano sostituito le smilze tute nere, la rimpianse. Ma ormai la Scuola del Piccolo aveva traslocato nel suo stesso teatro, mentre la sede didattica affacciata quasi di fronte alla bramantesca Chiesa rinascimentale di Santa Maria delle Grazie, acquisì il nome di Paolo Grassi, variando con nuovi direttori, i propri programmi d’insegnamento. Di recente anche la Scuola di Via Cerva ha cambiato residenza ma non il suo titolo, sempre legato all’insegna del teatro. L’ “Associazione Scherma Cariplo – Piccolo Teatro di Milano” è passata in Via Procaccini, espandendosi a Voghera, accrescendo il numero dei suoi allievi di ogni età, e per ora tenendo a freno, tra tanti campioni nazionali, europei e mondiali, soprattutto lo scalpitio di Marco Fichera, Enrico Garozzo e Andrea Santarelli, spadisti olimpionici, già medaglie d’argento alle Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016 e ora in attesa di tornare in pedana a Tokyo. Storia finita? Macché.

 

Per chi ama la danza e il balletto il viaggio, sottobraccio alle armi cosiddette “bianche”, inizia ora ed è più che affascinante. Nell’Agorà della Scherma (Centro nazionale di Arte, Scienza, Storia e Cultura della scherma), il nostro Virgilio è il maestro Giancarlo Tòran, l’odierno curatore del ricchissimo Museo, fondato nel 2012 a Busto Arsizio. Ci mostra virtualmente trattati amanuensi (il primo risale tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300), compilati in latino da monaci combattenti di spada medievale e brocchiero (un piccolo scudo di forma circolare o quadrata), le cui meravigliose immagini colorate e istoriate, non differiscono se non per la presenza delle armi, magari nascoste da strumenti musicali, da quelle di coevi trattati di danza. Entrambi fiorirono vigorosamente nell’epoca delle corti rinascimentali italiane che fecero a gara ad ingaggiare i trattatisti nonché maestri di danza e scherma migliori, per imparare a muoversi e a “sapersi portare e comportare”. La danza, così come emerge nei trattati del XV secolo, sembra appartenere, scrive la storica Eugenia Casini Ropa, alla categoria di quelle pratiche che partecipano al processo di civilizzazione, finalizzato alla cultura dell’autocontrollo o, se seguiamo il pensiero di Michel Foucault, indirizzato a una disciplina del corpo come “incorporazione del potere”. La scherma non fu da meno. Tuttavia, quando le corti rinascimentali crollarono, i trattatisti e maestri di danza e scherma fuggirono altrove, soprattutto laddove le economie consentivano il loro mantenimento; e dove, se non nella Francia, epicentro di un potere assoluto e granitico?


Per l’indimenticabile regista Giorgio Strehler la scherma era “idonea ad affinare la gestualità dei miei giovani attori”


 

Ed ecco svelato un altro legame. La danza – o meglio il balletto che tale divenne dopo l’esperienza coreutica del cosiddetto “proto-balletto” nelle corti rinascimentali – parla solo in francese al pari della scherma. Vi sono termini in comune, come “le pas en avant” e “en arrière” e “le saut en arrière”, “le dedans” e “le dehors” che se pur applicati in contesti diversi non se ne discostano troppo, ad esempio “le battement battu”: nel balletto accademico è il battere di una punta del piede sulla caviglia dell’altro e nella scherma è di un’arma sull’altra. Galoppando nel tempo il nostro Virgilio ci mostra un trattato del catanese Blasco Florio (1828), in cui si conferma l’impossibilità per qualsiasi ballerino che voglia anche solo passeggiare in teatro, atteggiandosi da guerriero, di farlo senza aver appreso alcuni principi di scherma. “Da dove improntare l’aria, la dignità, di Sovrano, di Generale, di Grande, da dove…?”. La risposta al Florio la dà nell’ampia ballettografia che corre dal ’700 a oggi il maestro d’armi. Figura assai diversa dalla leggendaria Cerani, ma necessaria tuttora per impostare i duelli, per esempio tra Montecchi e Capuleti in quel “Romeo e Giulietta” di John Cranko o di Kenneth MacMillan che tuttora si contendono primati sui palcoscenici del mondo. Gli spadaccini/ballerini non possono che muoversi con destrezza; Mercuzio muore con un touché a tradimento per mano di Tebaldo; vacilla, scherza, stramazza al suolo. Romeo, più leale, colpisce Tebaldo con una stoccata frontale. La musica di Sergej Prokof’ev, utilizzata in entrambi i balletti anni Sessanta, è un duello che si può vedere ad occhi chiusi, tanta è la potenza battagliera della partitura. Non serve lo sferragliare delle armi bianche per capire che qui si tira non “al primo” bensì all’“ultimo sangue”, come si diceva di quei duelli non teatrali ma veri, tra mariti gelosi, o contendenti di varia natura, ancora tollerati in Italia sino al 1955.

 

Eppure musica e scherma si abbracciarono anche nelle palestre. Curiosa l’esperienza ormai dimenticata di Giovanni Marrazzi. Nel 1930 costui non riuscendo a ottenere, da didatta, grandi risultati, si rivolse allo studio della musica. Scoprì che il fraseggio musicale come quello schermistico sono in sintonia non solo perché suoni e gesti sono logicamente collegati, ma perché entrambi rispondono all’impulso di emozioni particolari dove i ritmi sono più o meno rapidi o lenti. Se poi nella musica vi sono improvvise “pause” o “fermate” che del ritmo sono parte essenziale, pure nella scherma emergono stati di sospensione attiva; la coordinazione del movimento scaturisce dall’interiorizzazione del ritmo. Così l’arguto Marrazzi cominciò a utilizzare la musica per insegnare scherma, e scoprì che quegli allievi che più mostravano musicalità, diventavano “solisti”: possedevano dentro di sé, esattamente, come i ballerini solisti, ritmo, fantasia, armonia. Certo non occorre essere spadaccini per danzare la “pizzica della spada” alla festa di S. Rocco a Terrepaduli, in provincia di Lecce, come avviene dalla fine del XV secolo quando gli zingari – parenti poveri e diseredati dei Rom – la introdussero qui come a Riace, in Calabria, e la chiamarono “danza della scherma”. Due uomini si affrontano tuttora danzando, indice e medio della mano destra tesi a simulare la presenza di un coltello: duellano sino a che uno dei due contendenti viene toccato per la terza volta dalle dita dell’avversario.


La danza – o meglio il balletto – parla solo in francese al pari della scherma. Ci sono molte espressioni in comune 


Oggi forzatamente lontani da teatri, pedane e feste popolari (ma quella di San Rocco si svolge il 15 e 16 agosto… chissà?), non ci resta che affidarci a qualche film: l’immarcescibile “Scaramouche” di George Sidney (1952); “I Duellanti”, grazie al quale Ridlney Scott vent’anni dopo e con due grandi attori Harvey Keitel e Keith Carradine, avrebbe messo a segno la sua prima stoccata cinematografica. E ancora “By the Sward - Sfida d’onore” (1991) di Jeremy Paul Kagan, primo lungometraggio sulla scherma accompagnato da musica, come un vero balletto. Servirebbe pure una visita online all’Agorà di Busto Arsizio, magari per leggere un illuminante documento, datato 1970, del grande mimo Marcel Marceau nel quale lui stesso si lascia ritrarre in divisa accanto al suo maestro di sciabola. Marceau considerava la scherma un fattore importante per lo sviluppo mentale e fisico di attori, danzatori, mimi. E qui ricorda il momento in cui Cyrano de Bergerac declama, prima di iniziare il duello all’Hotel de Bourgogne contro Valvert: “Elégant comme Cèladon, agile come Scaramouche, je vous préviens, cher Marmidon, qu’a la fin de l’envoi je touche”. Marceau cita queste parole perché Cyrano “sa che potrà toccare il suo avversario in qualunque momento lo voglia, suprema prova che il più importante scopo umano è la padronanza di sé. L’unica via per portare l’uomo oltre le sue passioni e conquistare la più preziosa meta della vita: la libertà”.

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