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L’ultima morte di Leo Longanesi

Giuliano Ferrara

La grandissima fiducia che dobbiamo avere sulla nostra incapacità. Dialogo con Andrea Marcenaro

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Uno che ha scritto “si ha molta fiducia nella nostra incapacità” è immortale. Eppure al telefono con Andrea Marcenaro, che mi ha segnalato la sua intuizione insonne sulla nuova antropologia italiana, ho capito che la pandemia (“pandemia pandemia per piccina che tu sia…”) ha provocato un ultimo decesso, quello di Leo Longanesi e dei suoi grandi nipoti come Flaiano, Montanelli, Alberto Savinio. Arbasino sopravvive, perché era postmoderno, ma loro, strapaesani e moderni, tramontano (forse) con la disciplinata serietà della quarantena, poche multe, tanta osservanza delle norme improvvisate da un governo improvvisato, qualche balcone per onore di firma, molta fiducia nella nostra incapacità. Abbiamo chiuso per primi, riapriremo per ultimi. E non vola una mosca. Qualcosa vorrà pur dire. 

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Uno che ha scritto “si ha molta fiducia nella nostra incapacità” è immortale. Eppure al telefono con Andrea Marcenaro, che mi ha segnalato la sua intuizione insonne sulla nuova antropologia italiana, ho capito che la pandemia (“pandemia pandemia per piccina che tu sia…”) ha provocato un ultimo decesso, quello di Leo Longanesi e dei suoi grandi nipoti come Flaiano, Montanelli, Alberto Savinio. Arbasino sopravvive, perché era postmoderno, ma loro, strapaesani e moderni, tramontano (forse) con la disciplinata serietà della quarantena, poche multe, tanta osservanza delle norme improvvisate da un governo improvvisato, qualche balcone per onore di firma, molta fiducia nella nostra incapacità. Abbiamo chiuso per primi, riapriremo per ultimi. E non vola una mosca. Qualcosa vorrà pur dire. 

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E’ noto che Longanesi e i suoi nipotini non hanno mai preso sul serio gli italiani. Non li hanno censurati o condannati, perché erano persone di mondo, ma li hanno derisi ferocemente. “Ho famiglia” come motto nazionale sul tricolore, oggi molto in voga dalle parti del Corriere e non solo, e tanti altri dettagli: non vollero sorvolare, si impiccarono allegramente e ci impiccarono al carattere nazionale, la mancanza di carattere. Su questo rilievo elementare, che ha progenitori tanto illustri e secolari da non doverli nemmeno rammentare, si è costruito tra gli anni Venti e Trenta e Quaranta un tormentone aforistico, giornalistico, vignettistico e letterario che è il sottotraccia ineludibile del nostro miglior Novecento fatto di fascismo e antifascismo, con la considerazione molto longanesiana che in regime liberale e politicamente corretto, il regime dei luoghi comuni, l’ironia langue. 

           

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Marcenaro a questi qui, che ama come tutti noi, vuole un po’ fargliela pagare. E dice: “Come la mettiamo con la trasformazione dei reprobi, degli individualisti, degli opportunisti da commedia cantati per decenni in una compatta falange di casalinghi su ordine del governo?”. Non gli si può dare torto, via. Siamo diventati in una amara primavera d’obbedienza e fede i prussiani del Mediterraneo e dell’intero sud dell’Europa. Ci hanno studiato e imitato, non solo i nostri fratelli di razza e di faccia greci, anche gli inglesi che la volevano sfangare con la pastorizia della tradizione, l’immunità di gregge, anche i tedeschi che ci hanno chiesto scusa per bocca di una von der Leyen, anche i francesi che ci appoggiano sulla mutualizzazione del debito, anche gli spagnoli che sono sempre stati più Don Chisciotte che don Abbondio. Il sentimento tragico della vita che sembrava estraneo alla commedia all’italiana si è improvvisamente affacciato nella lunga pennichella decretata dai vari Dpcm dell’esecutivo e praticata, nonostante ovvie proteste disequilibri e lazzi e frizzi variamente frondisti, con caparbia capacità di discernimento. Per un miracolo, che avrebbe impressionato e deliziato (forse) la generazione dello scetticismo e del dandysmo arcitaliano, ci siamo dimostrati gente che fa fronte

         

“Se ne tirino le conseguenze fino in fondo”, invoca Andrea M. Esigiamo ora infatti una stagione di fiducia nel popolo dell’ozio consapevole e salvifico, che ha messo l’unico argine possibile, quello comportamentale, al dilagare di una influenza assai maligna e mortifera. Bando d’ora in poi al moralismo, che è il sottofondo della burocrazia diffidente. Facciamo come in America, in God we trust, e consentiamo che i prestiti bancari siano erogati senza bisogno di troppe pezze d’appoggio, autorizziamo il matrimonio tra Paolo e Francesca o Francesco senza chiedere troppe scartoffie, basta una volontà e una parola, rimuoviamo le regole che impongono la certificazione documentale negli alberghi, negli uffici postali, alla motorizzazione per la patente, in un rogito o in un cambio di proprietà, negli uffici statali, basta l’autocertificazione che una moltitudine ha scrupolosamente scritto e esibito per compiere i doveri minimi dell’esistenza in regime di quarantena. Ci scapperà, per via di questo fidarsi e affidarsi fino a prova contraria, un 3 per cento di truffe in commercio, equivalente alla evasione epidemica accertata nei due mesi del confinamento, ma è quel 3 per cento che ha seppellito definitivamente (forse) l’italianissima fiducia nella nostra incapacità.

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