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Il coronavirus stravolge i piani editoriali delle case editrici

David Allegranti

Librerie chiuse, pubblicazioni bloccate. Come se ne esce? Parlano Carletti (Laterza) e Di Brizzi (Marsilio)

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Roma. Le librerie sono chiuse, le consegne online stentano e le case editrici hanno bloccato la pubblicazione dei libri. Le conseguenze indirette del coronavirus sull’editoria potrebbero essere o sono già molto pesanti. Secondo l’Aie, Associazione Italiana Editori, nel 2020 saranno pubblicati 18.600 titoli in meno, 39,3 milioni di copie non saranno stampate e 2.500 titoli non saranno tradotti. “Una ricaduta – ha detto il presidente di AIE Ricardo Franco Levi – che rende il settore del libro una delle prime vittime economiche dell’emergenza Coronavirus, al pari del mondo dello spettacolo, del cinema e dell’audiovisivo. Siamo allo stremo”.

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Roma. Le librerie sono chiuse, le consegne online stentano e le case editrici hanno bloccato la pubblicazione dei libri. Le conseguenze indirette del coronavirus sull’editoria potrebbero essere o sono già molto pesanti. Secondo l’Aie, Associazione Italiana Editori, nel 2020 saranno pubblicati 18.600 titoli in meno, 39,3 milioni di copie non saranno stampate e 2.500 titoli non saranno tradotti. “Una ricaduta – ha detto il presidente di AIE Ricardo Franco Levi – che rende il settore del libro una delle prime vittime economiche dell’emergenza Coronavirus, al pari del mondo dello spettacolo, del cinema e dell’audiovisivo. Siamo allo stremo”.

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La filiera dell’editoria d’altronde è lunga. Dietro un libro ci sono case editrici, stampatori, distributori. C’è quindi un aspetto economico ma a cascata, dice al Foglio Giovanni Carletti, editor della casa editrice Laterza, ci sono anche altri problemi. “Non soltanto si pubblicheranno meno libri ma nella saggistica in particolare dovremo riprogrammare e ricostruire quasi ex novo il programma editoriale. Una serie di libri legati ai temi del momento vengono azzerati e devi immaginare quali saranno le questioni che interesseranno i lettori a settembre, ottobre, novembre, dicembre. In più ci sono i titoli acquistati dall’estero. Noi abbiamo comprato i diritti dell’ultimo libro di Branko Milanovic, ‘Capitalism, alone’ ma gli abbiamo chiesto di fare un capitolo finale che tenga conto delle conseguenze economiche del coronavirus, perché quello che sta succedendo interagisce con le tesi del libro e uscire con una pubblicazione già vecchia sarebbe un problema. Ne abbiamo anche uno di Abhijit Banerjee e Esther Duflo, ‘Good economics for hard times’, con cui hanno vinto il Nobel, ma non si può parlare di ‘good economics’ oggi se non c’è almeno un capitolo che ti parli del virus o delle conseguenze dell’emergenza sanitaria”. 

 
La questione è economicamente centrale, preoccupante, ma anche editorialmente interessante. Difficile che escano, dopo mesi e mesi di bombardamento, libri unicamente sul coronavirus. Ma sulle conseguenze economiche e sociali, analisi e di scenario, inevitabilmente sì. Altri settori, invece, non vengono coinvolti e proseguono il loro normale ciclo. Come quelli di storia, anche se magari, spiega Carletti, è possibile mettere in cantiere una “storia delle epidemie”. “Per la narrativa è diverso, in quel campo ci sono romanzi di autori importanti e rimangono quelli. Non è che saranno smontati e ricostruiti per farci entrare il tema della pandemia”. Anche perché che cos’altro può aggiungere la finzione alla realtà già debordante che stiamo vivendo oggi? Certo, il discorso sarebbe stato diverso se uno avesse previsto per tempo uno scenario come quello attuale.

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“In Inghilterra – dice Carletti – hanno registrato un aumento delle vendite dei libri legato alla quarantena. Lì però il mercato online arriva al 60 peer cento e c’è una abitudine all’acquisto online di libri. Il problema da noi è che Amazon ha sospeso le consegne di alcune merci considerate non essenziali”. Tra queste ci sono anche i libri, come sa chi ha provato ad acquistare dei titoli negli ultimi dieci giorni. Alcuni si trovano, altri no. “In Italia il mercato online vale il 25 per cento, ed è stato ridotto, mentre il 75 per cento è sparito perché le librerie sono chiuse. Amazon ha bloccato i magazzini, che non vengono riforniti di libri”. E le ricadute sono già evidenti: “Un fumetto femminista che abbiamo pubblicato, ‘Bastava chiedere!’, stava andando benissimo. Anche seimila copie la settimana. Dal blocco in poi però ne abbiamo vendute solo 600 alla settimana”. Una parte del fatturato delle case editrici poi adesso arriva anche dagli eventi. Laterza organizza molti eventi, come le lezioni di storia nei teatri. Tutte saltate. Alcuni festival invece sono stati spostati, come quello della Salute a Padova, slittato a novembre. Sì, sono aumentate le vendite degli gli ebook. Questo viene registrato da più parti ed è inevitabile: “Ma in Italia il mercato degli ebook vale il 3 per cento, se anche è raddoppiato arriva al 6. Ma non basterebbe a sopravvivere. Anche in questo caso nel mondo anglosassone è diverso, il mercato degli ebook vale tra il 10 e il 15 per cento”. 

  
Ottavio Di Brizzi, direttore editoriale della saggistica Marsilio, che non è un ottimista per natura ma in questo caso sì, dice al Foglio  che è lecito sperare in una riapertura “a blocchi”. “E mettere fra le prime cose la riapertura delle librerie sarebbe un bel segnale. Io spero che la fase due della gestione dell’emergenza arrivi verso fine aprile, al massimo nella prima settimana di maggio. Riaprire le librerie avrebbe un valore anche simbolico, perché mentre cinema e teatri non potranno riaprire prima di qualche mese le librerie, con le dovute accortezze, sì In questo modo potremmo tornare complessivamente anche al 70-80 per cento dell’attività editoriale entro qualche mese. Visto come siamo messi adesso, non sarebbe affatto male”. Insomma, dice Di Brizzi, “penso che pascalianamente ci convenga scommettere che dopo la crisi ci saranno delle energie positive da usare”. A quell’appuntamento, quando sarà, gli editori, Marsilio compreso, dovranno arrivarci preparati, avverte Di Brizzi. “Nelle prime due settimane ci potrebbe essere un effetto imbuto, che poi verrà riassorbito gradualmente”. Ridurre l’effetto imbuto sarebbe prezioso, il problema è che adesso ci sono alcuni titoli, lavorati e distribuiti, che sono fermi perché non possono essere venduti. Un problema per gli editori, grossi o piccoli, ma anche per le librerie, specie quelle indipendenti “alle quali spero arriveranno dei contributi, prioritari rispetto a quelli per l’organizzazione degli eventi”.

 

Le grosse catene avranno il problema di “gestire molti titoli in poco tempo”, dice Di Brizzi, ma le piccole librerie dovranno fin da subito lottare per sopravvivere. Le case editrici dovranno “redistribuire le uscite anche perché altrimenti il sistema rischierà il collasso, con un certo numero di titoli che finiranno fra i resi. Meglio metterci qualche settimana in più che fare tutto e subito insomma. I piani editoriali adesso cambieranno sia in funzione dell’attualità delle tematiche ma anche in funzione della distribuzione dei titoli da qui alla fine dell’anno. Per la saggistica, per esempio, giugno, luglio e agosto non sono mai stati una grande stagione per i libri giornalistici. Non ci sono talk, non c’è la tv a pieno regime, stavolta però dovremo ragionare su un scenario diverso in termini di consumi. Quindi anche i mesi estivi diventeranno utili”. Di Brizzi dunque preferisce vedere le cose in una “prospettiva ottimistica”. Alcuni dati sono incoraggianti ma vanno presi con le pinze. “Stiamo vendendo il 50 per cento in più degli ebook, ma in assoluto i valori sono così piccoli che non bastano”.

 

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Ma che libri usciranno nei prossimi mesi? Il virus sarà anche nelle future pubblicazioni? Marsilio aveva comprato per tempo, appena scoppiata la crisi, i diritti di un libro di un giovane epidemiologo britannico, Adam Kucharski, che sta andando molto bene in Inghilterra, ‘The Rules of Contagion’. Ma a parte questo, “per ora ci sono gli instant book di alcuni giornalisti pubblicati dai giornali, in futuro dubito che ci saranno libri sul coronavirus dopo l’alluvione di informazioni che si è riversata sulla gente. Ma la saggistica non potrà non tenere conto della degli scenari e delle lezioni apprese. Alcuni libri non saranno sul virus ma affronteranno le sue conseguenze. Io penso che tutta la saggistica scommetterà sul ritorno dell’interesse per i temi forti, nei quali l’oggetto principale non necessariamente sarà il virus in sé, ma ciò che ne deriva, ovvero mutazioni sociali, economiche, culturali”.

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