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Così la Sicilia svolazzava con frivolezza sulle tragedie del Novecento

Nadia Terranova

Nel 1903 nasce una rivista per narrare le bellezze dell’isola. La Sicile Illustrée è la gloriosa autorappresentazione della nobiltà. Un mondo incantato, inutile ed eterno, che gira a vuoto. Ma a un passo dalla Grande guerra

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La Sicilia della belle époque è poliglotta e policroma, leggiadra e vivacissima, ha un cuore di ostinata vaghezza e un altro di focosa vacuità, è un pieghevole di concerti e operette e commedie dove ogni tanto spunta qualche tragedia collettiva vera e spettacolarizzata, ma solo distrattamente, è un registro di nascite, nozze e morti in cui ogni dettaglio viene offerto sull’altare della mondanizzazione, un cunto in cui c’è posto per l’attenzione sociale, sì, ma in forma di caritatevole distanza, quel tanto che non guasta ma rafforzi la “profumata cartolina” dell’isola dove c’è sempre il sole, l’isola adorata dai turisti, attraversata dalle passerelle dei nobili, baciata da balli e tornei, a cui piace mostrarsi al mondo con la facciata del progresso e ruggire di modernità. Ecco di cosa possiamo avere contezza sfogliando i fascicoli della più scintillante fra le riviste di allora, che inaugurò nell’aprile del 1904: per gli inglesi Illustrated Sicily, per i tedeschi Das Illustrirte Sicilien, per i francesi, per i siciliani e per tutti gli altri fuori e dentro il regno La Sicile Illustrée. Nell’isola che non dimentica la rabbia di aver dovuto sottomettersi agli angioini, il francese resta la lingua dei nobili; un titolo internazionale e svagatamente chic era la parola d’ordine perché quel foglio patinato circolasse in ogni salotto, fosse letto con piacere da piacenti e piacioni, si facesse racconto e specchio di una società di lustrini che non sarebbe sopravvissuta alle stesse guerre e agli stessi cataclismi di cui si affrettava, di volta in volta, a negare o minimizzare l’esistenza o l’incombenza. 

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La Sicilia della belle époque è poliglotta e policroma, leggiadra e vivacissima, ha un cuore di ostinata vaghezza e un altro di focosa vacuità, è un pieghevole di concerti e operette e commedie dove ogni tanto spunta qualche tragedia collettiva vera e spettacolarizzata, ma solo distrattamente, è un registro di nascite, nozze e morti in cui ogni dettaglio viene offerto sull’altare della mondanizzazione, un cunto in cui c’è posto per l’attenzione sociale, sì, ma in forma di caritatevole distanza, quel tanto che non guasta ma rafforzi la “profumata cartolina” dell’isola dove c’è sempre il sole, l’isola adorata dai turisti, attraversata dalle passerelle dei nobili, baciata da balli e tornei, a cui piace mostrarsi al mondo con la facciata del progresso e ruggire di modernità. Ecco di cosa possiamo avere contezza sfogliando i fascicoli della più scintillante fra le riviste di allora, che inaugurò nell’aprile del 1904: per gli inglesi Illustrated Sicily, per i tedeschi Das Illustrirte Sicilien, per i francesi, per i siciliani e per tutti gli altri fuori e dentro il regno La Sicile Illustrée. Nell’isola che non dimentica la rabbia di aver dovuto sottomettersi agli angioini, il francese resta la lingua dei nobili; un titolo internazionale e svagatamente chic era la parola d’ordine perché quel foglio patinato circolasse in ogni salotto, fosse letto con piacere da piacenti e piacioni, si facesse racconto e specchio di una società di lustrini che non sarebbe sopravvissuta alle stesse guerre e agli stessi cataclismi di cui si affrettava, di volta in volta, a negare o minimizzare l’esistenza o l’incombenza. 

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Per gli inglesi è Illustrated Sicily, per i tedeschi Das Illustrirte Sicilien, per i francesi, i siciliani e gli altri fuori e dentro il regno La Sicile Illustrée

La Sicile Illustrée apre sotto la direzione di una donna, la duchessa Mara di Villa Gloria, e di un uomo, il principe Pietro Lanza di Scalea; è lei a firmare l’editoriale del primo numero: “Poeti e scienziati, giornalisti e politici, artisti e commercianti, pensatori e industriali, patrizi e modesti lavoratori, tutti, senza distinzione di classe, di professione o di partito, hanno voluto la nostra bella Rivista, e l’hanno accolta con un vero scoppio d’entusiasmo”, scrive. E ancora: “mai una pubblicazione è venuta fuori con tanta cerchia di lodi e di affetti”, persino al nord, aggiunge, dove pure girano le calunnie di certi denigratori dell’isola, questi denigratori sono messi in minoranza dall’innegabile splendore artistico, culturale, commerciale di tutto ciò che è avvenuto, avviene e avverrà in Sicilia. Shelley e Maupassant, Goethe e Strabone, Ovidio e Shakespeare non possono essersi sbagliati e sulla loro scia, enfatizza la duchessa, anche i forestieri avranno benvoluta cittadinanza tra le pagine della Sicile Illustrée, che anzi li accoglie così: “PRIMO REFERENDUM INTERNAZIONALE agli stranieri ed ai continentali: Quale opinione vi siete Voi formata della Sicilia avendola visitata o avendone sentito parlare? Indirizzare le risposte alla nostra Casa Editrice”. Intanto, augurano buon lavoro ai direttori e alla redazione l’onorevole Alfredo Baccelli e il senatore Emmanuele Paternò, i colleghi di tutte le riviste “cugine”, dalla Scena illustrata di Firenze al periodico Napoli nobilissima, dalla Tribuna illustrata di Roma a Les Voyages Universels di Parigi, e quelli degli storici giornali palermitani, dall’Ora al Giornale di Sicilia. Gli auguri vengono dalla società benestante, dal direttore dell’orto botanico al monsignore che presiede la biblioteca comunale, ma chi conta davvero li ha già fatti di persona al lancio del 31 dicembre 1903, nella caffetteria del Teatro Massimo, dove la rivista è stata tenuta a battesimo da un brindisi di mezzanotte tra fiumi di champagne, litri di Marsala Florio, vassoi di dolci mandati in regalo dalla ditta Gulì e “gelati finissimi” offerti dalla caffetteria stessa. Infine, chi conta più di tutti si riconosce perché non si prende nemmeno il disturbo di essere a Palermo: il principe di Scalea ha mandato un telegramma da Roma salutando gli astanti e augurando un’alba nuova e un anno nuovo all’insegna della rivista che lui stesso stava fondando.

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La rivista apre sotto la direzione di una donna, la duchessa Mara di Villa Gloria, e di un uomo, il principe Pietro Lanza di Scalea

Accompagnata dagli scintillii comincia dunque il suo viaggio in carrozza di prima classe La Sicile Illustrée, creata con il doppio intento di divulgare in ogni dove le bellezze di Trinacria e farsi resoconto pulsante della vita dell’alta società isolana – sempre spacciandola per la vita di tutti e sempre con l’ardire di zittire i diffamatori, i negazionisti, quelli che ciecamente non vogliono vedere quanta mitomane grazia, quante sbrilluccicanti e segrete sorprese, quanta inaspettata evoluzione possa offrire la Sicilia a chi sa viverla con lo sguardo giusto e soprattutto con i soldi giusti. In quattro lingue, da subito, vengono decantate Monreale e Piana dei Greci, Siracusa e Tindari, la grande esposizione agricola a Catania e le rassegne di Taormina, sempre descritte nelle loro eccezionalità e imperdibilità, con i loro primati incontestabili e le loro bellezze assolute; accompagnano questi testi geografico-narrativi rubriche come “Cronache bleu”, “Sicilia elegantissima”, “Chroniques Mondaines”, “Famiglie patrizie siciliane”, selezionati elenchi di hotel e indirizzi raccomandati, recensioni di opere in scena ai teatri Massimo di Palermo e Bellini di Catania, contributi di artisti che con il loro nome, il loro talento o il loro semplice passaggio hanno dato lustro all’isola. Spicca, su una serie di dimenticabili e dimenticati, una lunga intervista a Nino Martoglio.

 

Il lancio del 31 dicembre 1903 nella caffetteria del Teatro Massimo, con un brindisi di mezzanotte tra fiumi di champagne

E il dolore, la contestazione sociale, i lutti collettivi, le repressioni, i cataclismi, gli eventi che sconvolgono le masse per erodere dall’interno la patina? Solo ogni tanto la soffocante radiosità festaiola si concede tracce degli episodi che le cronache mondane scartano e su cui i libri di storia si fondano, allo stesso modo in cui, con qualche eccezione, quasi tutti i nomi celebrati in quelle pagine come grandi poeti e pittori, sempre appartenenti al rango dei privilegiati, sono oggi sconosciuti. Vediamo dunque cosa accade in quegli anni, come vengono raccontate le crepe che, sconvenientemente, fanno l’offesa di guastare le feste natalizie: l’uragano del Capodanno 1905 distrugge decine di imbarcazioni lasciando senza lavoro intere famiglie di pescatori, l’esplosione dell’armeria di via Grande Lattarini a Palermo pochi giorni prima del Natale 1907 fa settantacinque morti nel cuore della città, il terremoto di Messina e Reggio Calabria all’alba del 27 dicembre 1908 miete oltre centomila vittime fra entrambe le coste. Fra le pagine della rivista compaiono ogni tanto, con ritardo sensibile, una lacrimevole retorica, un rimando alla carità e alla filantropia, la variante di un inconfessato mormorio: mangino brioches, gliele mandiamo noi purché tacciano! Sono tutte spie di quanto ammalato, moribondo sia l’universo che va festeggiando il culmine tappandosi occhi e orecchie per non vedere il declino. Un numero del 1910 dedica una pagina alle vittime illustri del terremoto del 1908: il commendatore Giuseppe Arigò, la contessa Maria Carducci Carpi, l’onorevole Nicola Fulci. Più sono ricchi più sono compianti. In toni melò, un racconto in lingua inglese descrive a uso dei benestanti lo strazio di un proletario, senza fantasia chiamato Turiddu, mentre una minuscola foto pittoresca mostra, a Messina, un gruppo di operai a colazione. Ma è solo un attimo. Subito, nella pagina accanto, il “Carnet Mondaine” ricomincia a raccontare l’essenziale: il ricevimento a Palazzo Reale offerto dal conte e dalla contessa di Rovasenda agli ufficiali tedeschi delle navi ancorate al porto di Palermo (tra gli invitati, l’onnipresente Franca Florio), i venerdì a palazzo della duchessa Flavia Arezzo di Celano, le commedie nei saloni di Casa Galati di Rieda con i personaggi-macchiette che raffigurano innamorati flemmatici, vecchie decane del matrimonio, parenti educande, attori sconosciuti ma allora sempre accolti e salutati con applausi a scena aperta e lodi sperticate.

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Un doppio intento: quello di divulgare in ogni dove le bellezze di Trinacria e farsi resoconto pulsante della vita dell’alta società isolana

Quanto agli speciali su Messina, chiamati “la trilogia del dolore” (da segnalare a tutti quelli che pensano che la spettacolarizzazione delle tragedie l’abbiano inventata la contemporaneità e la televisione), vengono a lungo rimandati di numero in numero: non c’è tempo, i redattori non sono ancora pronti, scusate il ritardo ma qui abbiamo molto da fare tra un ballo e un’esposizione di cappelli parigini però stiamo lavorando alacremente per mostrarvi tutto il nostro strazio. Come si fa a non essere affascinati da tanta stucchevole incoscienza, da tanta raffinata malafede? Sfogliare La Sicile Illustrée è una droga per quello che racconta e per come lo racconta, per quello che omette e per come lo omette, per le righe che l’autorappresentazione gloriosa è costretta a concedere a una realtà che fa ai nobili lo sgarbo di non essere neppure lontanamente altrettanto gloriosa. Se volete conoscere una società, frugate nei calici dei ricchi, interrogateli come fondi di caffè, passate il platino al ruvido setaccio delle cronache, e non dimenticate mai le réclame. 

 


Niente riproduce con la stessa esattezza il rumore di una società che decade: è lo stesso di un ciuffo di piume che si affloscia e si disperde sul pavimento


 

Dal liquore Strega al cioccolato Talmone, dall’olezzo di Verbena (venduto come profumo giapponese in comode “fialette geisha”) alle pomate depilatorie, dai gioielli di Fecarotta al Poliarkon re dei ricostituenti, dalla menta glaciale alpina all’amaro Salus, dalle polveri farmaceutiche per epilettici e nervosi alle creme per rassodare il seno e renderlo turgido, dalla pastina glutinata Buitoni all’acqua Chinina-Migone contro la calvizie, dai lubrificanti ai ricostituenti, dai pellami alla lingerie: per leggere le pose di un’epoca bisogna saperne decodificare i desideri, i bisogni indotti, i balocchi e le mitizzazioni. Bisogna sentire i profumi, i tintinnii dentro le stanze, riconoscere il tentativo di contrastare la morte brandendole contro qualsiasi cosa risplenda, il gesto di affermare la propria esistenza raccontandosi come unici, meravigliosi, danzanti, come personaggi eterni dal sorriso di cera e gli occhi rivolti al futuro. Niente riproduce con la stessa esattezza di queste pagine il rumore di una società che decade: è lo stesso di un ciuffo di piume che si affloscia e si disperde sul pavimento.

 

Solo ogni tanto la soffocante radiosità festaiola si concede tracce degli episodi che le cronache mondane scartano

Un’intera pagina ospita la lettera con cui il nucleo della redazione che si andava formando annuncia a Guglielmo di Germania che La Sicile Illustrée sta per nascere, e anche la cortese lettera di risposta dell’imperatore. Quanta megalomania serve per concepire un’operazione del genere? Guglielmo e la moglie in carne e ossa furono accolti da una passerella di legno sul lungomare di Giardini e portati in carrozza a Taormina, all’hotel Timeo, per affacciarsi sul terrazzo da cui poter ammirare il golfo e l’Etna, e da lì sfilarono ovunque: al porto di Messina, al parco dell’Olivuzza, a casa Florio, ogni volta accostando le labbra a una coppa, salutati dagli inchini del cerimoniale. Per La Sicile Illustrée le visite dei nobili sono sempre accompagnate da aggettivazioni cariche di entusiasmo per i luoghi che li ospitano: quando i principi Pignatelli arrivano a Caronia per soggiornarvi un mese, la rivista dice che il territorio esteso e boschivo del paesello “nulla ha da invidiare alle ridenti contrade della Svizzera.” Non c’è niente di più siciliano del confronto con altri luoghi e altre culture, per sottolineare piccati che la fama è una questione di fortuna e con un po’ di orgoglio la si può ribaltare.

 

Per leggere le pose di un’epoca bisogna saperne decodificare i desideri, i bisogni indotti, i balocchi e le mitizzazioni. Sentirne i profumi

Nel 1906, gli ospiti più illustri del bel mondo palermitano sono Vittorio Emanuele e la moglie Elena, con la scusa dell’inaugurazione del nuovo ospedale; in realtà vanno soprattutto alla Favorita, per le corse, chiusi in una torretta liberty tutta loro e circondati da scudi Savoia. A maggio dello stesso anno inaugura invece l’evento che da allora in poi dominerà le pagine sportive di tutta Italia e anche della Sicile Illustrée: nell’aprile 1908, a firma di Raffaele Perrone, compare un articolo intitolato Il significato morale della Targa Florio. “Ho nominato solo la Targa Florio perché essa è ormai diventata sinonimo di avvenimenti automobilistici siciliani”, vi si legge, e ancora: “Se la Targa Florio si fosse fermata ai soli successi, diciamo così, dell’ora, ai soli successi sportivi (e quali e quanti!) noi dovremmo esserne già soddisfattissimi perché un risveglio sano e fecondo essi l’hanno concesso alla Sicilia e, starei per dire senza tema di errare, al Mezzogiorno intero, ma la Targa Florio ha un significato ben maggiore di quello enunciato; essa ci dice che nelle opere buone, efficaci, ed è qui il caso di denominare così quest’opera, bisogna insistere, continuare, perseverare, perché il successo possa servire all’avvenire radioso, al raggiungimento di uno scopo prefisso… La Targa Florio è ormai un avvenimento internazionale… Vada quindi lode a chi tale impresa e tale lavoro compie, al benemerito Cav. Florio ed ai suoi amici e collaboratori”. Seguono foto dei concorrenti del 1907, un lungo articolo sul circuito siciliano, una mediocre, roboante poesia dedicata agli automobilisti in concorso, “forti e intrepidi, novelli eroi / che tempo e spazi sfidano, vincono”, e una pagina di pubblicità di autovetture, la Isotta Fraschini e la Itala, con relative medaglie conquistate.

 

Molto si perdona a quest’alta borghesia e a questa nobiltà nella loro ontologica evanescenza, perfino quell’ottimismo di postura

Dunque, molto si perdona a quest’alta borghesia e a questa nobiltà che nella loro ontologica evanescenza, di cui La Sicile Illustrée è preciso sismografo, lasciano dietro di sé villini liberty tra i più belli del secolo, memorabili rappresentazioni liriche, visi acquerellati di ritratti interessanti, musei, monumenti, ospedali che sopravviveranno alle inaugurazioni strillate diventando luoghi di ricovero, alfabetizzazione e aggregazione comunitaria. Si perdona la pervicacia con cui le classi agiate ignorano le reali, fondative tendenze estetiche e culturali, preferendo seguire venti modaioli o favoritismi di ceto, si perdonano l’autocelebrazione e l’autoreferenziale magniloquenza, si perdonano i lunghi elenchi di hotel come non esistessero altri luoghi di ritrovo sociale al mondo, come se tutto potesse iniziare e finire solo dentro stanze a pagamento di rifugi transitori. Si perdona quell’ottimismo autentico, anche se di postura. La Sicile Illustrée, organo ufficiale dell’Associazione Siciliana per il Bene Economico, tutta orientata al patriottismo e a una magnifica, cieca positività, non avrebbe potuto raccontare un’altra Sicilia: assolve al suo compito offrendosi all’élite con lussuosa dedizione e sfoggiando un corredo di immagini a testimonianza di una sontuosità che desidera disperatamente essere viva e feconda, e che a tratti ci riesce, nei limiti tracciati da una costituzionale inadeguatezza a sostenere il cambiamento che brucia sotto la cenere. Il popolo, nei numeri, resta estraneo alla maggioranza degli episodi a cui nella rivista si dà risalto, e quegli episodi, quei margini dorati, sono il centro di un mondo che sta per essere ucciso dall’avvento della Grande Guerra ed è già debilitato nel profondo. Il compito rutilante che La Sicile Illustrée si era autoassegnata – quello di attrarre, accattivare – non solo può dirsi riuscito, ma riesce doppiamente anche come marcatore involontario del declino: si suona la sirena quando si è già percepito il pericolo della fine, quando la stagione dei balli raggiunge l’acme e tuttavia si teme, con ragionevolezza, che alla prossima festa potrebbe, all’improvviso, non venire nessuno. Sono le proporzioni saltate a restituire l’idea di un disorientato affannarsi: le pagine dedicate a onorificenze, nomine, trasferimenti universitari, decessi famosi, ringraziamenti considerati imprescindibili, nozze celebri, visite autorevoli soverchiano e strangolano qualsiasi parvenza di notizia relegata a noticina, creando l’illusione di un mondo incantato, inutile ed eterno, che gira a vuoto.

 

Il popolo, nei numeri, resta estraneo alla maggioranza degli episodi a cui nella rivista si dà risalto. Margini dorati di un mondo intero

Qui risiede il magnetismo della rivista, la sua inviolabile, aristocratica magnificenza: tutto ciò che vi si racconta è vero e nulla è di vero interesse, eppure tutto ciò che vi si racconta è interessante e ogni cosa sembra falsa. E’ il paradosso delle narrazioni dei ricchi, le rare volte in cui c’è chi le sa fare, è il dono dei romanzi e dei racconti di Fitzgerald, del brio di Dorothy Parker. Non vi è qui nessuna corrosione artistica consapevole e neppure il morboso fascino dell’istinto suicida dell’opulenza, piuttosto il fascino della rivista è tutto in questa involontaria grazia di noiosi elenchi, in questa placcata riproduzione di sé, in questa incessante esposizione dell’argenteria di famiglia. Quando Giolitti inaugura gli impianti elettrici della Sicilia Orientale, a Catania, le foto delle dighe e degli stabilimenti, le informazioni sui voltaggi e sui dati tecnici sono un curioso corpo estraneo; scritto nel solito stile celebrativo, l’articolo è dovizioso come il calco di un comunicato, tutto rivolto agli ingegneri. Lo accompagnano pubblicità accostate fra loro con esiti comici: cartucce, polveri da sparo, parrucchieri, macchine per scrivere, voci che continuano a sussurrare l’unica cosa che sappiamo della Sicilia, persino noi che ci siamo nati: una volta capito che non si può capirla, meglio arrendersi a subirla, e forse a festeggiarla.

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