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Il sud è la terra dove ogni giorno falliscono modernità e tradizione

Camillo Langone

Pensieri sul “Diario dello smarrimento” di Andrea di Consoli

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"Per me il sud è il luogo dell’anima e della letteratura. Ma vivere è un’altra cosa – ed è una cosa seria, specie se si è padri di famiglia”. Mi trovo nel sud e leggo di sud ovvero Diario dello smarrimento di Andrea Di Consoli, pubblicato da Inschibboleth (che caspita di nome è? È stato studiato per allontanare i già pochi lettori?). Cerco conferme alla mia insofferenza verso questa terra e nel diario spesso notturno, quasi flaianeo, di un meridionalissimo antimeridionalista che abbastanza ovviamente il sud lo ha lasciato molti anni fa, ne trovo parecchie. “Il sud è la terra dove quotidianamente falliscono sia la Modernità che la Tradizione”. Io l’ho sempre pensato. Al nord si immagina che il residuo pittoresco meridionale (processioni, feste patronali, fuochi artificiali, grossi matrimoni pieni di donne grasse…) rappresenti qualcosa di vivo mentre rappresenta semplicemente un ritardo, ritardo nel disfarsene. Un divario che comunque si va colmando in fretta: i seminari sono vuoti anche qui, le culle sono vuote anche qui… Ed è vero che sotto il Tronto (o sotto il Trigno? I confini culturali non sempre coincidono con i vecchi confini geopolitici) la modernità viene accolta in modo perfino più acritico che al nord, per il noto complesso di inferiorità.

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"Per me il sud è il luogo dell’anima e della letteratura. Ma vivere è un’altra cosa – ed è una cosa seria, specie se si è padri di famiglia”. Mi trovo nel sud e leggo di sud ovvero Diario dello smarrimento di Andrea Di Consoli, pubblicato da Inschibboleth (che caspita di nome è? È stato studiato per allontanare i già pochi lettori?). Cerco conferme alla mia insofferenza verso questa terra e nel diario spesso notturno, quasi flaianeo, di un meridionalissimo antimeridionalista che abbastanza ovviamente il sud lo ha lasciato molti anni fa, ne trovo parecchie. “Il sud è la terra dove quotidianamente falliscono sia la Modernità che la Tradizione”. Io l’ho sempre pensato. Al nord si immagina che il residuo pittoresco meridionale (processioni, feste patronali, fuochi artificiali, grossi matrimoni pieni di donne grasse…) rappresenti qualcosa di vivo mentre rappresenta semplicemente un ritardo, ritardo nel disfarsene. Un divario che comunque si va colmando in fretta: i seminari sono vuoti anche qui, le culle sono vuote anche qui… Ed è vero che sotto il Tronto (o sotto il Trigno? I confini culturali non sempre coincidono con i vecchi confini geopolitici) la modernità viene accolta in modo perfino più acritico che al nord, per il noto complesso di inferiorità.

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Di Consoli se la prende giustamente con la borghesia meridionale (“una borghesia senza valore, ossia senza nessuna capacità produttiva”) ma in verità, del sud, non salva nessuno, non trova motivi di speranza in nessun ceto, in nessuna categoria. Io invece ammiro i pochi produttori ossia gli industriali, gli imprenditori, i vignaioli, alcuni artigiani, alcuni artisti, tutti coloro che realizzano cose importanti senza far parte del metastatico settore pubblico e suoi dintorni. Sono troppo pochi e quasi sempre troppo piccoli per fare massa critica e dare vita a un sogno collettivo, ma io sono attratto dai sogni individuali, dalle esistenze estetiche, dalle eccezioni alla regola… Anche per me, come per Montale, “un imprevisto / è la sola speranza”, e quando scendo sotto Pescara vado sempre a caccia di personaggi capaci di trascendere il mesto contesto. Mentre Di Consoli del metastatico settore pubblico fa parte pienamente e direi ideologicamente, essendo un autore Rai. Nel suo caso c’è l’attenuante della lucidità: “Sono un autore televisivo e conosco bene le case dei vecchi e delle persone sole e infelici. Chi guarda la televisione non è mai felice – le persone felici non la guardano mai, la televisione”. Fantastico, ma la prima frase andava completata in questo modo: “Conosco bene le case dei vecchi, delle persone sole e infelici, dei meridionali”. Perché la Rai è concepibile solo al sud se non soltanto in Lucania: solo nella regione degli avi miei e di Di Consoli, la regione che entrambi ci ostiniamo a non chiamare mai Basilicata, può apparire normale che la diretta di Capodanno si risolva da anni fra Potenza, Matera e Maratea, e che sul palco salgano uno dietro l’altro Al Bano, Gigi D’Alessio, Rocco Hunt, Arisa, Alberto Urso, The Kolors, una lista di cantanti più meridionalmente sbilanciata della lista dei ministri del Conte 2. Chissenefrega dei polentoni che pagano il canone a Udine…

 

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Ho citato Matera: né l’autore né il recensore sopportano la troppo famosa Città dei Sassi, Di Consoli per colpa dell’overdose turistica e io per quella e per “nativa obiezione” dovuta a “ascendenze e umori potentini” (come ha ben compreso l’intellettuale materano Vincenzo Viti, che a differenza di tanti suoi concittadini non ha reagito alle mie critiche con l’insulto ma con l’analisi). Devo citare Roma, dove Di Consoli vive, sospirando di nostalgia, dal 1996: “Roma è la città di quanti sono indecisi se andare a sud o a nord”. È la città dei meridionali che non ne possono più del sud ma non se la sentono di trasferirsi al nord, è la vera capitale del sud (Napoli grazie a Garibaldi non ha più ruolo alcuno). Non a caso nel diario spuntano spesso la Stazione Termini, il quartiere San Giovanni, il Casilino, i luoghi più meridionali, non solo in senso geografico, dell’Urbe. È impensabile un Di Consoli ai Parioli, a Vigna Clara… Infine cito Rotonda, il suo paese sperduto ai confini con la Calabria, sulla montagna del Pollino: “Promettimi che quando un giorno starò per morire qui in un ospedale di Roma tu avrai la forza nottetempo di staccare i tubi, di portarmi fuori con tutta la forza che hai, di infilarmi nella tua macchina, e di portarmi in Lucania, a Rotonda, a Fratta”. Dunque il sud come posto non per vivere ma per morire, dunque chiudo il libro, mi infilo in macchina e scappo a Parma.

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