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Gli “errori fattuali” del NYT, che presenta l’America come un paese fondato sulla schiavitù

Mattia Ferraresi

Un gruppo di storici ha chiesto con una lettera la correzione delle "distorsioni" pubblicate sul "1619 Project"

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Lo scorso agosto il New York Times ha lanciato il 1619 Project, un articolato progetto giornalistico che aveva come scopo dichiarato quello di “ripensare la storia del paese mettendo le conseguenze della schiavitù e il contributo dei neri americani al centro della nostra narrazione nazionale”. Non si trattava soltanto di ripercorrere e documentare la storia della schiavitù in America, iniziata nell’agosto del 1619 con lo sbarco in Virginia di una nave carica di schiavi africani, ma di smantellare e rifondare i presupposti su cui si basa il racconto tradizionale dell’esperimento americano. Un racconto scritto dai bianchi, che lo hanno modellato omettendo o edulcorandone l’origine peccaminosa, promuovendo pregiudizi e storture che si sono cristallizzati nell’immaginario collettivo, fino a creare un impianto narrativo fondamentalmente falso. Nella versione falsificata, la dichiarazione d’indipendenza, che proclama la verità “autoevidente” secondo cui tutti gli uomini sono stati creati uguali, e gli altri documenti che presentano gli ideali fondativi dell’America, sono le foglie di fico che hanno malamente coperto e giustificato l’oppressione razziale e la supremazia bianca, i veri pilastri su cui è nato il paese.

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Lo scorso agosto il New York Times ha lanciato il 1619 Project, un articolato progetto giornalistico che aveva come scopo dichiarato quello di “ripensare la storia del paese mettendo le conseguenze della schiavitù e il contributo dei neri americani al centro della nostra narrazione nazionale”. Non si trattava soltanto di ripercorrere e documentare la storia della schiavitù in America, iniziata nell’agosto del 1619 con lo sbarco in Virginia di una nave carica di schiavi africani, ma di smantellare e rifondare i presupposti su cui si basa il racconto tradizionale dell’esperimento americano. Un racconto scritto dai bianchi, che lo hanno modellato omettendo o edulcorandone l’origine peccaminosa, promuovendo pregiudizi e storture che si sono cristallizzati nell’immaginario collettivo, fino a creare un impianto narrativo fondamentalmente falso. Nella versione falsificata, la dichiarazione d’indipendenza, che proclama la verità “autoevidente” secondo cui tutti gli uomini sono stati creati uguali, e gli altri documenti che presentano gli ideali fondativi dell’America, sono le foglie di fico che hanno malamente coperto e giustificato l’oppressione razziale e la supremazia bianca, i veri pilastri su cui è nato il paese.

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Il saggio che inaugura il progetto si apre con questa frase: “Gli ideali su cui si fonda la nostra democrazia erano falsi quando sono stati scritti”. Questa formulazione, firmata da Nikole Hannah-Jones, che è anche la responsabile dell’ideazione del 1619 Project, supera la versione comunemente accettata di un esperimento nato attorno a ideali nobili e giusti che per secoli sono stati traditi da disumane pratiche schiaviste. Hannah-Jones dice che gli ideali erano falsi: l’America non è stata fondata sulla libertà e l’uguaglianza, ma sulla schiavitù e la superiorità razziale dei bianchi. Questa è la premessa che informa il mastodontico lavoro storico-giornalistico che ha occupato un intero numero del New York Times Magazine e ha inaugurato una serie di contributi multimediali elaborati e presentati come solo il più importante giornale del mondo sa fare. Ogni singolo aspetto della vita del paese, dalla pianificazione delle reti stradali al sistema sanitario fino alla concezione delle strutture economiche e istituzionali è figlio della slavocracy, il principio generativo da cui discende l’intera vicenda americana. L’orizzonte in cui si muove il Times è quello dello smantellamento e della ricostruzione, non della semplice documentazione.

 

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Il progetto è stato un successo globale. Ha dato origine a un podcast, presto diventerà un libro e grazie alla collaborazione con il Pulitzer Center ha plasmato un curriculum destinato agli studenti delle scuole superiori. I docenti di storia che lo desiderano avranno così a disposizione materiali per insegnare la storia americana secondo la rilettura del Times. Le occasionali voci critiche, provenienti per lo più dai ranghi conservatori, sono state sommerse da un coro di elogi.

 

Qualche giorno prima di Natale, però, il Times ha pubblicato una lettera firmata da cinque storici di prestigiose università americane che critica frontalmente un lavoro pieno di “errori fattuali” che falsificano aspetti decisivi della vicenda che intendono illuminare. Gli accademici hanno così dato voce a un sottobosco di critici, all’interno del panorama degli storici, che finora ha esitato ad esporsi pubblicamente su un tema così sensibile. Una dettagliata inchiesta dell’Atlantic spiega che altri professori sostanzialmente d’accordo con i cinque dissidenti si sono rifiutati di firmare una lettera dai toni eccessivamente pugnaci. 

 

Victoria Bynum (Texas State University), James M. McPherson (Princeton) James Oakes, (City University of New York), Sean Wilentz, (Princeton) e Gordon S. Wood (Brown University) si dicono “costernati” dagli sfondoni presentati dal giornale, che riferisce di essersi avvalso di una commissione di esperti per il fact-checking storico dei contributi: “Questi errori, che riguardano eventi fondamentali, non possono essere descritti come interpretazioni o ‘framing’. Sono questioni che riguardano fatti verificabili, che sono il fondamento dell’onesta ricerca scientifica e dell’onesto giornalismo”, scrivono i professori, accusando il Times del tradimento di entrambe le discipline.

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Wilentz, il promotore della lettera aperta che recentemente ha lanciato una petizione a favore dell’impeachment di Trump, scrive che è falso che le colonie hanno dichiarato l’indipendenza dall’Inghilterra “perché la schiavitù potesse andare avanti”, premessa che anima tutti gli articoli in questione, e “tutte le dichiarazioni esposte nel progetto per convalidarla sono false”. Non del tutto falsa, ma ampiamente distorta, è l’idea che gli afroamericani abbiano combattuto da soli la battaglia per l’emancipazione. “Il progetto – continua la lettera – afferma che gli Stati Uniti sono stati fondati sulla schiavitù di tipo razziale, un argomento rifiutato dalla maggioranza degli abolizionisti e proclamato dai campioni della schiavitù come John Calhoun”. Gli storici in rivolta non si contentano però di segnalare le manchevolezze: pretendono “la correzione di tutti gli errori e delle distorsioni”, la “rimozione delle falsità da tutti i materiali destinati all’uso scolastico” e chiedono al Times trasparenza sul processo “opaco” con cui il giornale ha raccolto e convalidato le fonti su cui si poggia il 1619 Project. Chiedono cioè di correggere il progetto nato con lo scopo di correggere la narrazione storica vigente. Richieste sostanzialmente respinte a stretto giro con una lunga lettera di Jake Silverstein, direttore del magazine.

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