foto di Lucie Jansch

Luce e lutto, libertà e costrizione: ecco a Firenze la Maria Stuarda di Bob Wilson

Eugenio Murrali

Alla Pergola va in scena "Mary Said What She Said". Nella regina, simbolo della controriforma, troviamo “l’universalità e l’eternità del conflitto” tra visioni religiose, spiega l'attrice Isabelle Huppert

Il bianco è un colore difficile. Piuttosto è un non-colore pericoloso, a teatro. Bob Wilson, l’inclito regista americano, lo sa. Eppure lui di questa luce bianca, che fa risaltare il nero dell’anima del mondo, non ha paura e lo dimostra nello spettacolo in scena fino a oggi alla Pergola di Firenze: "Mary Said What She Said" di Darryl Pinckney, ovvero Maria ha detto quel che ha detto, laddove Maria è la Stuarda, regina di Scozia del XVI secolo, e quello che ha detto è il monologo affidato alla voce e al corpo bianchissimi di Isabelle Huppert, vestita di un abito scuro che, con il fondale accesso di abbacinante luce fredda, due linee luminose che attraversano e dividono il palco, trasforma, all’inizio, la candida e irreale figura dell’attrice francese in una marionetta del teatro di ombre.

 


foto di Lucie Jansch


 

In questa trama di bianchi, di luce e di lutto, di oscurità e di nitore privi di dubbi, si stacca, si staglia, nella sua surrealtà, il personaggio di Maria Stuarda: “Un tempo ero così bianca che i poeti sono diventati pazzi. Ero bianca, bianca e liscia e senza difetto. Ero così bella che sono diventati pazzi”. Questa regina, elevata a simbolo della controriforma, fulcro, lei cattolica, dello scontro con il protestantesimo, appare sulla scena in un controtempo dello spirito, alla vigilia della sua esecuzione, prigioniera dei suoi pensieri e di sua cugina Elisabetta Tudor. In lei si coagula, ha spiegato Huppert in un incontro con i giornalisti, “l’universalità e l’eternità del conflitto” tra visioni religiose: “Non permetteranno di dire che è per la religione cattolica che muoio”, afferma la Stuarda nel monologo.

 


foto di Lucie Jansch


 

Il flusso trascinante delle peregrinazioni mentali di questa donna incastrata nel suo ruolo, ma allo stesso tempo erosa dalle passioni, chiamata dai desideri, è reso con una prova d’attrice titanica, in cui l’interprete sul palco affronta la plenipotenza del regista, domina la circolarità del testo, si infila tra le note preponderanti della musica di Ludovico Einaudi e le cavalca, in certi momenti, aprendo varchi con la propria voce tra le strutture rigide che vorrebbero incatenarla. “C’è una dialettica tra costrizioni e libertà. Quando si lavora con Bob Wilson, si scopre che più costrizioni ci sono più libertà si ha”, ha assicurato l’attrice, capace di sprigionare nello spettacolo un’energia prometeica, per contrastare un contesto scenico visivo e sonoro che forse la invitava volutamente a una rivolta, simile allo sforzo che ognuno di noi tenta di fronte a un destino opprimente.

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