Raccontare la malattia (a fumetti)
<p>Dall'Alzheimer di “Rughe”, al cancro di “Triplo Guaio” di Isabella Di Leo. Che dice: “Ho cominciato a disegnare le prime vignette in una serata di grande sconforto. E mi sono sentita meglio”</p>
Raccontare la malattia non è mai semplice. A volte le parole sono così pesanti che non si riescono neanche a pronunciare. Trattare a fumetti questo argomento è una soluzione che ne facilita il racconto e l'esperienza, anche se di fatto non è così semplice. Il fumetto è spesso associato a qualcosa di leggero, letto per svagarsi ed evadere dalla propria quotidianità. Come sempre più spesso accade però, sa raccontare storie più o meno drammatiche, intense ed emozionanti, con lo stesso entusiasmo e la stessa consapevolezza di narrazione. Anche le storie più intense e dure, riescono con il fumetto a divenire “digeribili” e a essere godibili, senza tralasciare il messaggio di fondo. Non c'è dunque da stupirsi se chi affronta la malattia, decide di raccontarla a fumetti. È il caso di Isabella Di Leo, autrice di Triplo Guaio (Becco Giallo). Questo fumetto è la realizzazione di un sogno, ma segna anche il debutto dell'autrice nel mondo delle nuvolette. “In Triplo Guaio ci sono io, in positivo e negativo. Il modo in cui parlo nel fumetto è come io parlo nella realtà coi miei amici. Sono sempre stata un libro aperto con le mie emozioni”, racconta Di Leo al Foglio.
“Quando molte donne che stavano affrontando il mio stesso percorso hanno cominciato a scrivermi per ringraziarmi di come le stavo facendo stare meglio coi miei disegni, ho provato una gioia indescrivibile”, racconta l'autrice. “Ho capito che volevo aiutare le persone e volevo essere vicina a loro nelle sale d'attesa: so bene cosa si prova a stare lì. Sono ore lunghe, noiosissime e spesso angoscianti. Come la malattia, anche ogni carattere è diverso. Ridere mi ha sempre aiutato a superare tutte le avversità, fin dai tempi della scuola. Non è però detto che quello che ha funzionato con me funzioni con tutti, ma almeno la risata non ha effetti collaterali”, racconta Di Leo.
Sebbene affronti il tema di una grave malattia, il risultato del lavoro di Di Leo è molto leggero, ironico e divertente. “Per me questi disegni sono stati una linfa”, dice. “La ragione per cui ancora non sono impazzita è stata proprio la realizzazione di Triplo Guaio. Ho messo in forma grafica tutte le mie ansie e paure. Ho cominciato a disegnare le prime vignette in una serata di grande sconforto. Notando che nel farlo mi sentivo meglio, ho semplicemente continuato. Disegno da quando sono bambina, quindi il disegno per me è sempre stato presente, dovevo solo rendermene conto. La mia vicenda è stata anche una scusa per parlare della malattia in sé, dal mio punto di vista naturalmente”.
Una lettura terapeutica, quella di Triplo Guaio, che aiuta a sorridere alla vita, anche nei momenti più bui. “Sono una grande estimatrice del lavoro di Paolo Villaggio che affermava più o meno che Fantozzi è 'terapeutico', perché quando vedi che una persona affronta i tuoi stessi problemi, ridendoci sopra, improvvisamente senti di non essere solo e ciò ti solleva il morale. Risata e disegno hanno fatto funzionare questa terapia artistica”, afferma Di Leo. È comunque importante ribadire che in questo nuovo percorso di vita, Di Leo si è lasciata guidare dalla medicina e dai medici. “Bisogna stare alla larga il più possibile da Google – dice – quando si scopre di avere una malattia così grave. Anzitutto perché tra i risultati di ricerca vengono fuori anche molte fake news e quelle attecchiscono nei nostri momenti di massima debolezza. In secondo luogo, perché spesso i siti medici ufficiali parlano di percentuali di mortalità in maniera molto fredda. Ho trovato il coraggio di leggere qualcosa al riguardo solo molti mesi dopo la diagnosi e ricordo esattamente le parole usate per i casi specifici come il mio: 'la diagnosi peggiore'. Se lo avessi letto agli inizi penso che non ce l'avrei fatta”.