La gogna dei social che manda al macero il romanzo
Basta che i lettori gridino “razzista” e la scrittrice Amélie Zhao e Random House si cospargono di cenere
Roma. Nata a Parigi e cresciuta a Pechino, Amélie Wen Zhao aveva sognato di diventare una scrittrice fin dalle elementari. Un anno fa, Zhao aveva pubblicato un messaggio di estasi sul suo sito web: il suo romanzo fantasy, “Blood Heir”, era stato venduto a un’importante casa editrice e sarebbe uscito nell’estate del 2019. Quando l’agente di Zhao, Pete Knapp, sottopose il manoscritto agli editori, gli editori svennero, intravedendoci il successo. Le offerte arrivarono dalle cinque più grandi case editrici e Zhao strappò un contratto da mezzo milione di dollari. Ma la sua carriera si è già fermata, dopo che alcuni critici, che hanno letto le prime copie del romanzo, hanno denunciato il libro come “apertamente razzista”.
Questa settimana, Zhao ha annunciato di aver ritirato il libro a causa delle obiezioni che i lettori avevano sollevato sulla rappresentazione della schiavitù nel romanzo. “Non è mai stata mia intenzione recare danno a nessun lettore e ho deciso di chiedere al mio editore di non pubblicare ‘Blood Heir’”, ha scritto Zhao. “Rispettiamo la decisione di Amélie”, ha dichiarato in una nota Random House Children’s Books, la nega conglomerata editoriale.
L’incredibile vicenda dimostra che adesso i social, oltre a rovinare carriere in ambito giornalistico e accademico, possono decidere anche se un libro può essere pubblicato o meno, anche senza averlo letto. Ma cosa diceva di così terribile il romanzo? È ambientato nell’impero di Cyrillia, in cui la stirpe degli Affinity è schiavizzata a causa dei poteri sovrannaturali. Zhao aveva immaginato e scritto il romanzo come un “richiamo alla giustizia sociale”, basandosi sulla propria storia di immigrata. Ma si tratta di “appropriazione culturale”, nel nuovo gergo cretino del politicamente corretto. Schiavi non di colore! Impossibile! Razzista! Le persone sono discriminate per i poteri magici e non per il colore della pelle. “Negazione della presenza del razzismo nella società ed un’appropriazione della sofferenza degli afroamericani”.
Il romanzo "Blood Heir" della scrittrice Amélie Zhao è stato bersagliato dai social
E non è certo il primo caso. È successo anche alla scrittrice americana Laura Moriarty. Il suo libro, “American Heart”, aveva ricevuto una stella dalla Kirkus Reviews, la storica rivista che “benedice” i romanzi americani. Ma dopo un torrente di attacchi sui social, la Kirkus ha ritirato la stella. Motivo? Il romanzo non sarebbe abbastanza “sensibile” nel descrivere la protagonista musulmana. “A Birthday Cake for George Washington” è il libro per bambini giudicato colpevole di aver ritratto gli schiavi a casa del presidente americano come troppo sereni, quindi sottomessi. Il fatto che il libro fosse stato scritto da Ramin Ganeshram, una iraniana di Trinidad, e illustrato da due afroamericane, non ha salvato il libro. Al macero! Stessa sorte per “A fine dessert” di Emily Jenkins, colpevole di aver “degradato” gli schiavi mostrandoli felici nel preparare i dolcetti.
La giornalista Cathy Young, commentando il caso Zhao sul New York Daily News, ha paragonato la vicenda alla rivoluzione culturale cinese, in cui “gli scrittori e gli intellettuali venivano terrorizzati fino al punto da autocensurarsi. Le masse online, al contrario delle masse nella Cina di Mao, non possono picchiare le persone o rubare i loro averi, ma quando hanno il potere di spingere qualcuno all’autocensura e alle scuse, la nostra libertà diminuisce”. Durante la rivoluzione culturale cinese la parola d’ordine fu “ripulire il paese dei rottami borghesi”: gli scrittori furono costretti al silenzio o all’anonimato, i musei resi inaccessibili perché strumenti “di diversione”, le biblioteche trasformate in immensi scaffali vuoti. Le nuove guardie rosse sono in allerta in rete e agitano il libretto dell’antirazzismo.
Scrittori del novecento