Inge Feltrinelli (foto LaPresse)

Così Inge Feltrinelli ha sposato e salvato un'idea di editoria

Francesco M. Cataluccio

Occhi orientali, grandissimo sorriso, esuberante in bici e nelle scelte

Nelle librerie Feltrinelli, accanto alle gigantografie con i faccioni delle scrittrici e degli scrittori, fa capolino una famosa foto in bianco e nero che ritrae una bella donna in costume da bagno, con un sorriso trionfante, che assieme al barbuto e malinconico Ernest Hemingway tiene in mano un pesce spada come trofeo di pesca. In questa immagine c’è tutta Inge Schönthal, che allora era una fotoreporter tedesca, nata a Gottinga nel 1930, figlia di un industriale tessile ebreo costretto a fuggire negli Stati Uniti, e poi dimenticatosi di lei, e di una coraggiosa donna che mise la figlia sotto la protezione di un ufficiale della cavalleria tedesca che le fece da patrigno e così la salvò.

 

  

Nel Dopoguerra, Inge aveva sofferto la fame e le privazioni e si era dovuta fare strada inventandosi un mestiere di fotoreporter a giro per il mondo e immortalando, con uno stile assai personale e sbarazzino, molti personaggi famosi. La sua vita cambiò quando, nel 1958, si innamorò di Giangiacomo Feltrinelli e si legò al lui (nel 1960 si sposarono e, nel 1962, nacque il loro figlio Carlo) e alla sua impresa editoriale che, una decina di anni dopo (quando Giangiacomo entrò in “clandestinità” e poi, nel 1972, saltò in aria mentre preparava un attentato a Segrate), passò nelle sue mani.

 

Giovedì Inge Schönthal Feltrinelli si è spenta dopo una lunga malattia. Dal panorama abbastanza plumbeo dell’editoria italiana, scompare uno dei pochi rappresentanti dell’allegria e dell’entusiasmo nel lavoro, della passione genuina per i libri cartacei e la circolazione della cultura.

 

Ho lavorato con Inge Feltrinelli, dalla caduta del Muro di Berlino alla metà degli anni Novanta, e la ricordo come una donna appassionata ed esuberante. Proverbiali erano le sue sfuriate e alcuni suoi capricci espressi in una buffa lingua che non è stata mai del tutto l’italiano. Aveva occhi piccolissimi, quasi due tagli orientali, e un sorriso sempre grandissimo. A una prima impressione sembrava sempre “sopra le righe” ma, conoscendola, si capiva che la sua era una carica vitale al servizio di un’idea di cultura ed editoria. Era una persona appassionata e molto più intelligente di quanto il suo comportamento spesso bizzarro, e il suo abbigliamento eccessivamente sgargiante, lasciassero trapelare. Nel lavoro non era una persona spericolata: soltanto nel suo modo di sfrecciare in bicicletta per le strade del centro di Milano costituiva un pericolo per sé e i pedoni. Penso che le cose che le facevano più paura fossero la noia e la monotonia. Questa mi pare la misura di molte sue scelte professionali e umane.

  

Oltre alla passione per i libri e gli autori, Inge Feltrinelli era aiutata, nel suo mestiere, da una grande capacità di intessere relazioni. Alla Fiera di Francoforte, ad esempio, dove si muoveva come una vera padrona di casa, era difficile starle dietro: si ficcava in un turbinio di incontri, feste, presentazioni dei quali sembrava non stancarsi mai. L’editoria per lei erano anche contatti personali, sussurri durante una cena, soffiate durante una festa. Ma non era una mondanità fine a se stessa. La sua casa era sempre aperta alle persone più svariate: i suoi autori venivano coccolati e stimolati dal suo entusiasmo e dalla sua energia.

 

Inge Feltrinelli ha salvato la casa editrice nel suo momento più difficile e si è battuta, nonostante parecchie spinte contrarie, perché fosse mantenuto un livello di produzione il più possibile in linea con la gloriosa tradizione iniziale, che vide la Feltrinelli pubblicare i più importanti scrittori contemporanei e scoprire filoni narrativi nuovi, come la letteratura dell’America latina. Lungo gli anni ha dato un impulso allo sviluppo della catena delle librerie che lei considerava un po’ come la continuazione di casa sua e che avrebbe voluto sempre affollate e allegre. Non sempre è riuscita a far sì che la Feltrinelli mantenesse la barra dritta in un mondo editoriale che è mutato profondamente negli ultimi anni. Ma la sua figura è stata fondamentale per garantire indipendenza della casa editrice, preparando la strada all’ingresso di suo figlio Carlo nella conduzione dell’impresa familiare, affiancandolo per molti anni. Così amava definire il loro lavoro assieme: “Lui è la mente, io l’anima, ma spesso ci scambiamo i ruoli”.

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