Liberarsi del dogma del liberalismo: sì, ma per che cosa?
Il legno dell'umanità è storto, il liberalismo non può rigare dritto. Si vuole qualcos'altro, e il libro di Mattia Ferraresi è un documento prezioso per intenderlo. Anche se cos'altro si voglia è sempre più oscuro
Nella corsa affollata a liberarsi del dogma del liberalismo Mattia Ferraresi con il suo nuovo bel libro (Il secolo greve, Marsilio) è in buona posizione, perché non è un liberale. Come me, come alcuni nel recente passato e in antico, pensa che la società aperta, globale, individualista, secolarizzata non ha un fondamento in altro che in sé stessa e nei suoi miti, dunque è fragile. Per dimostrarlo ha scritto un saggio, un saggio di inusitata bravura e leggibilità, partendo dal suo osservatorio fogliante, Brooklyn. Trump è un imbroglione, ma il sistema che ha scardinato si era imbrogliato da solo, e per ragioni forti (come direbbe Sganarello o Leporello). Ferraresi critica gli indici monodimensionali, così li chiama, che registrano ricchezza e prosperità e pacificazione della società moderna. Il Pil e la disoccupazione, anche quando ai minimi del pieno impiego, non spiegano abbastanza. L’elegia dei diseredati che non si vedono, che si dimenticano, ha una sua penetrazione, una sua verità. Come il grido di quanti hanno paura. Guardano al passato, si fanno trascinare da miti edenici talvolta anche grotteschi, ma efficaci. D’accordo.
Manca a Ferraresi, come a molta della letteratura post liberale corrente, una sola vaga idea di quale possa essere un’alternativa, il reinnesco della storia. Mettiamola così. Il legno dell’umanità è storto, il liberalismo non può rigare dritto. Ma i regimi dell’impostura e della tirannide, anche dolce, anche dissimulata nella democratura, si allineano oggi sulla linea retta della demagogia, e non sono preferibili. Il liberalismo può essere rivoluzionario o conservatore, radicale o moderato, innovatore o tradizionalista, lento o rock, ma sta alla radice dell’umanità come la sipuò concepire con decenza e virtù. Il suo vuoto è un pieno, non solo di cose da consumare, non solo di oppiacei da ingurgitare magari tritati, non solo di ineguaglianze e di sacche di povertà, non solo di dati e tecnologie arruffate per quanto onnipotenti, è un pieno di speranza, non è compiuto, non è ridotto come sembrerebbe a sé stesso e basta, è una specie di cammino catecumenale, una religione, una fede sempre in attesa di battesimo. Che qualcos’altro lo si voglia, lo si persegua, è diventato chiaro, sempre più chiaro, negli ultimi anni, e il libro di Mattia è un documento prezioso per intenderlo, ma che cos’altro si voglia è sempre più oscuro.