La fine di Rat-Man, il supereroe che racconta l’Italia
Con il numero 122 finisce la serie ideata e sempre scritta e disegnata da Leo Ortolani, un unicum nel fumetto italiano
Da dove nasce Rat-Man? Se per Walt Disney tutto cominciò con un topo per Leo Ortolani tutto è iniziato da un muso. Un muso di scimmia. È il 1976, Ortolani ha nove anni, vive a Parma dove si è trasferito all’età di due anni dalla natia Pisa e dove abita ancora adesso, in televisione trasmettono il telefilm di fantascienza “Spazio 1999” vuole disegnare i volti della serie, ma non riesce a realizzare facce umane. Nascono così i famosi "umani dal muso di scimmia”, che diventano il tratto caratteristico del suo stile grafico, oltre all’influenza di un gigante dei comics come Jack “King” Kirby, co-creatore con Stan Lee e Steve Ditko dell’Universo Marvel di Avengers, Thor, Hulk, Fantastici Quattro.
“Kirby è l’autore che mi ha fatto innamorare dei comics” dice Ortolani al Foglio. “Ne parlo come se fosse ancora vivo, perché in qualche modo lo è, con le sue storie e i suoi personaggi. Faceva fumetti che sembravano in 3D anche se erano nelle solite due dimensioni. Un bambino non può che essere sedotto dal suo mondo, fin da piccolo ho cercato di scimmiottare (in tutti i sensi visto che i miei personaggi hanno il muso di scimmia) la sua narrazione, che però è nulla in confronto alla sua.” Rat-Man ha diverse origini. La prima storia esce nel 1989, su “Spot”, un libretto allegato alla rivista di fumetti “L'Eternauta”, dopo esser stata selezionata per un concorso dedicato ai nuovi autori. Nel 1995 Ortolani decide di autoprodurre una serie dedicata al personaggio, che guadagna un nutrito numero di fan. Rat-Man è un eroe Marvel a tutti gli effetti: se i supereroi di Kirby, Lee e Ditko hanno superpoteri con super-problemi, Rat-Man ha super-problemi ma nessun superpotere. Per lui tuttavia va bene così, visto che si illude di poter essere un eroe.
La serie diventa sempre più personale, Leo ci mette il proprio vissuto. Nell’ultima saga si scopre che Rat-Man ha una figlia segreta, Thea, e infatti, qualche anno fa, Ortolani è diventato padre, adottando con la moglie Caterina due bambine colombiane, Johanna e Lucy Maria e ha raccontato l’esperienza nel libro “Due figlie e altri animali feroci” (Sperling & Kupfer). “La definizione migliore di quello che faccio è di mia figlia Johanna. Mi ha definito ‘fumettiere’. Non ‘fumettista’, che sa di ‘artista’, ma ‘fumettiere’, come ‘panettiere’. Uno che tutti i giorni deve sfornare pane, come io devo sfornare storie a fumetti. Senza questa dedizione non sarei riuscito a portare in edicola per vent’anni un albo ogni due mesi. Anche se tutti i miei piani di lavoro, come i miei piani di studio all’università quando facevo geologia, vanno in crisi dopo due giorni!”.
Ovviamente, Ortolani non smette di fare il fumettiere. “Ormai, quando passo davanti alle case editrici, c'è un ‘butta-dentro’ che cerca di farmi collaborare con loro. Tanta strada, da quando mi si chiudevano le porte in faccia. Onore e gloria, quindi, a Panini Comics, che ha avuto il coraggio di accogliere le mie matite, per tanti anni”. Progetti nuovi? “Tanti, in primis il volume C'è spazio per tutti
C’è molta italianità nel mondo di Rat-Man. Un’italianità squisitamente provinciale. I fumetti italiani umoristici hanno sempre raccontato l’Italia, a differenza di quelli realistici (le praterie di Tex, la Londra di Dylan Dog), basti pensare a Benito Jacovitti, che muore nel 1997, proprio quando esce in edicola il primo albo di Rat-Man. O alle tante storie Disney italiane, con Paperopoli che sembra Milano. Ortolani lo nega (“il mio umorismo è di impronta angloamericana, e poi io sono di Parma, che è una città, e quando esco non mi riconosce nessuno!”), ma è innegabile che narri realtà spesso molto italiche. Non solo in Rat-Man, nella serie “Le meraviglie”, ad esempio, racconta gli anziani che detestano tutti tranne l’Ispettore Derrick, ma a Derrick, essendo anziano “stanno suoi coglioni i suoi spettatori.”
Sfidando un tabù ormai secolare, c’è anche molta religione nelle ultime storie di Ortolani. L’ultima saga è una lotta fra Bene e Male, la religione ci sta, ma il cattolicesimo di Ortolani è squisitamente italiano, con Padre Angelini, il sacerdote amico di Rat-Man che ammette di essersi fatto prete per riconoscenza verso Dio “dopo tutte le interrogazioni di matematica che mi ha evitato”. Non a caso tra i fan più accaniti di Rat-Man c’è un sacerdote genovese, don Tommaso Danovaro che quando è uscito l’ultimo numero ha commentato, citando le parole di Gesù sulla croce: “Tutto è compiuto!”.
“Fletto i muscoli e sono nel vuoto” pensa sempre Rat-Man prima di lanciarsi da un palazzo come Spider-Man o Daredevil (e a differenza di loro in genere cade rovinosamente). Ma non è forse quello che facciamo tutti noi mentre viviamo e andiamo incontro al futuro del quale il vuoto è metafora perché ancora da scrivere? L’Ortolani del 1995 non si sarebbe certo immaginato il successo di questi vent’anni. All’epoca Dylan Dog vendeva centinaia di migliaia di copie e Topolino solo due anni prima aveva raggiunto il milione di copie grazie al gadget allegato. Però allo stesso tempo erano impensabili gli eleganti (e costosi) libri a fumetti che quest’anno hanno festeggiato i cento anni dalla nascita di Jack Kirby. Noi tutti, come Rat-Man e come Ortolani, flettiamo i muscoli e siamo nel vuoto.