La verità del male

Antonio Donno

Un nuovo libro su Otto Adolf Eichmann svela tutto ciò che la Arendt non fu in grado di vedere

Otto Adolf Eichmann non fu solo un grigio, insignificante esecutore di ordini, ma un vero “creatore” di sterminio. E’ quanto emerge dalla lettura del libro di Bettina Stangneth, La verità del male. Eichmann prima di Gerusalemme, ora fortunatamente edito in Italia dalla Luiss University Press. E’ proprio il caso di dire “fortunatamente”, perché l’opera di Stangneth è veramente fondamentale. Pubblicato originariamente in Germania nel 2011, negli Stati Uniti nel 2014, questo libro ha avuto un successo enorme perché l’autrice ribalta completamente le tesi di Hannah Arendt esposte in La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, pubblicato in Italia nel lontano 1964. Il libro di Arendt era rimasto per decenni, a livello internazionale, l’interpretazione esclusiva della figura e dell’opera di Eichmann durante gli anni della Shoah, per quanto altri importanti autori (Hilberg, Poliakov, Cesarani, Reitlinger, Friedländer, Lipstadt) avessero contribuito ad approfondire la tematica dello sterminio degli ebrei, ma senza aggiungere nulla di nuovo sul ruolo di Eichmann.

   

In realtà, Arendt scrisse il suo libro dopo aver ascoltato solo le prime quattro udienze del processo Eichmann a Gerusalemme, mentre Stangneth fonda la sua analisi su una quantità davvero impressionante di documenti, rintracciati in molti anni di ricerche in diversi archivi in ogni parte del mondo, ora raccolti negli Argentina Papers. Eichmann scrisse un numero notevole di considerazioni e ricostruzioni o dettò a Willem Stassen, un giornalista danese affiliato alle SS, una altrettanto cospicua mole di considerazioni personali nel decennio 1950-1960 in cui i due, insieme a molti altri criminali nazisti fuggiti dalla Germania, vissero in Argentina – prima che lo stesso Eichmann fosse catturato dal Mossad israeliano e condotto a Gerusalemme. Ecco perché l’opera di Stangneth ricostruisce la storia di Eichmann “prima di Gerusalemme”, mentre quella di Arendt si ferma a valutarla solo “a Gerusalemme”.

   

Eichmann passava di ghetto in ghetto, di campo in campo, dava ordini: “Inviava dispacci, decretava, concedeva, decideva, ordinava e dava udienza”, scrive Stangneth, perché Eichmann conosceva profondamente la vita degli ebrei nel ghetto o nel campo, tanto da dettare a Stassen: “Gli uomini che erano al mio comando avevano un tale rispetto nei miei confronti da spingere gli ebrei a mettermi su un trono, veramente”. E ancora: “Nessun altro aveva un nome così familiare nella vita politica ebraica, sia in patria che all’estero, quanto me”. Questa familiarità, gestita astutamente presso i rappresentanti ebrei nei ghetti, gli consentiva di avere con loro un rapporto diretto e pacifico, che al momento opportuno sfruttava per calcare all’improvviso la mano e ordinare esecuzioni o trasferimenti nei campi dove le camere a gas funzionavano a pieno regime. Così, Stangneth può affermare: “Eichmann divenne un simbolo della politica anti-ebraica, esattamente come egli aveva pianificato”.

   

Eichmann era così attivo e produttivo da avere riconoscimenti espliciti soprattutto da parte di Himmler, e da guadagnarsi l’appellativo di “Czar degli ebrei”. Egli si definiva un “idealista” perché il suo compito era quello di conferire maggior gloria al suo paese. Dettò a Stassen: “La moralità della Terra Patria che viveva in me semplicemente non mi permetteva […] di dichiararmi colpevole”, e Stangneth commenta: “Era chiaro per Eichmann che qualsiasi verdetto di colpa per le sue azioni sarebbe stato opera della parte peggiore del mondo politico, un’azione contraria alla ‘moralità della Terra Patria’ e perciò contraria alla visione etnica tedesca”. Stangneth sostiene che Eichmann aveva un’altissima concezione di sé, soprattutto dopo che contribuì in prima persona all’elaborazione delle teorie razziali all’interno dei più importanti circoli nazisti, tanto da divenire ben presto parte importante di un’“élite ideologica”.

   

Eichmann, a questo punto, poté trasferire nell’azione la reputazione conquistata. Davanti a un sottoposto urlò: “Tu… sai chi sono io? Io sono il responsabile della Aktion! In Europa, in Polonia, in Cecoslovacchia, in Austria abbiamo finito, adesso tocca all’Ungheria”. Non era una vanteria, era l’espressione di un uomo che aveva lavorato sodo e ne era orgoglioso. Eichmann era l’ideatore di metodi di sterminio nella lotta tra le razze: “Era l’eterno destino di tutti gli esseri organici, per il quale non v’è consolazione. E’ sempre stato così e sempre sarà così”, scrisse in uno dei suoi memoriali argentini. Questo fu veramente Otto Adolf Eichmann.