Valentino Parlato, il comunista cortese che vegliò fino all'ultimo sulla sua creatura
Nato nel 1931, tra i fondatori del Manifesto, è morto ieri a Roma
Nella “banda dei cinque” che nel lontano 1969 fu radiata dal Partito comunista per frazionismo, era il sesto: giovane giornalista e redattore, seguiva in ordine d’importanza Rossana Rossanda, di cui Togliatti diceva che era l’unico uomo della direzione del partito, Luigi Pintor che era già deputato e vicedirettore dell’Unità, Aldo Natoli che era segretario della potente federazione romana, Lucio Magri che era seducente e parlava di medi ceti esibendo vezzose affinità con l’inglese. E Luciana Castellina che era la più bella comunista d’occidente e si sa che la bellezza è una qualità dell’intelletto.
Ma quello con cui andare a cena senza illanguidirsi d’amore o farsi venire una crisi di faziosità politica era Valentino Parlato. Leggero, ironico, mai noioso, uno che non se la menava e nulla faceva cadere dall’alto. E poi amava sconsideratamente bacco, tabacco e venere.
Era cortese. Se lo incontravi vestito di lino bianco e ti scappava uno stupidissimo “Oh Valentino ma sei vestito come le brocche del biancospino”, incurvava un po’ la schiena, ruotava la testa e sorridendo se ne usciva con “beh va beh”, come a dire non tu, non questo.
Era cortese al punto che ogni interlocutore ne ricavava l’impressione di trovarsi di fronte a una porta aperta, a una disponibilità illimitata all’ascolto e al dialogo. Così potevano anche nascere malintesi. Ci furono gruppuscoli un po’ coglioni che si baloccarono con l’idea di unirsi a loro che venivano da lontano, avevano già una rivista e si accingevano a lanciare un quotidiano. Solo che volevano contarsi, presentarsi alle elezioni, spostare a sinistra il Pci, programma più che vasto, insulso. Ne risultarono infatti partiti scomparsi in un pomeriggio.
Con coerenza rigida e fedeltà all’impegno preso più di quarant’anni prima, il Manifesto è stato quotidiano comunista e giornale partito e ha formato generazioni di militanti, ha aiutato a ordire, tessere, fondare e rifondare, una lunga alternanza di entusiasmi e depressioni, il suo gruppo dirigente sempre affetto dalla dipendenza psicologica prima ancora che politica dalla casa madre. Parlato è quello che l’ha sentita di meno e ha resistito più a lungo, ultimo della vecchia guardia a vegliare sulla creatura. Per quattro volte direttore e innumerevoli salvatore, riuscendo a rimpinguare casse disperatamente vuote e raddrizzare conti che condannavano senza appello. E’ stato cauzione morale presso abbonati e sottoscrittori e procacciatore di fondi presso banchieri, da Cuccia a Geronzi a Abete, di cui era frequentatore abituale e disinteressato. Insomma esercitava il ricatto sentimentale, anche lui era un rompicoglioni come Marco Pannella, ma delicato.
E mai ci saremmo immaginati che il suo ultimo atto politico potesse essere il voto per la sindaca Raggi.