Dark Polo Gang (foto di Youtube)

Come cambia il rap

Stefano Pistolini

Talenti strafottenti che sentono l’aria che tira e la trasformano in musica senza mediazioni

Oggi vediamo come il 666, numero prediletto dal demonio e dunque dalla musica satanica, si trasformi in 777, numero del jackpot alle slot, quello che paga un sacco di soldi: evviva! Perché le cose cambiano rapidamente. Anzi, se parliamo di pop, cambiano continuamente. E’ inutile fare i sorveglianti: i superamenti sono all’ordine del giorno e la questione non è essere aggiornati, ma continuare a intercettare cose che ci piacciono e ci fanno venire delle idee. Sentire come suona il mondo – se è di musica che stiamo parlando. Non dibattere se il rock è morto, ma accorgersi che quest’anno sono usciti dischi rock mica male, a opera di ragazzini che sono i nipoti degli originali. Che suonano senza implicazioni: lo fanno e basta. Nel rap, stesso discorso. Su questa musica si sono convogliate un sacco di intenzioni, perfino da noi, dove in passato si diceva che non era una musica “nostra”, che era solo un fenomeno d’importazione. Sciocchezze. Poco alla volta di questo linguaggio hanno imparato a servirsi anche i giovanotti italiani, per un motivo semplice: ne avevano bisogno. E funzionava, era un suono dei tempi, naturale.

Adesso la storia del rap italiano è lunga. Ci sono rapper di cinquant’anni e qualcuno ancora assalta il ritmo con dignità. E ce ne sono altri che hanno segnato lo scandire di questa musica, spesso con connotazioni violentemente locali. A Roma, sei o sette anni fa, finiva la stagione del Rome Zoo, il collettivo servito a dare forza alla scena, raccogliendo in una confraternita il meglio che c’era in città – Colle der Fomento, Gente di Borgata, Cor Veleno. Arrivò la stagione del Truceklan, un fulmine a ciel sereno. Con Metal, Gel, Noyz e soci, il rap rinunciava a qualsiasi missione e diventava pura rappresentazione, anarchica, perversa negazione di quel che offriva la società del posto (non c’è globalizzazione nella musica del Truce). Musica autoreferenziale, liturgia del disastro, rabbrividente forma di splendida arte, in arrivo dalla pattumiera della gioventù. Poesia alta e disperata, trasgressione estrema e sanguinante, scheggia di lucidità prima del botto o, peggio ancora, prima di crescere.

 

 

Ma il tempo passa e macina. Il Truce oggi è un passato sbiadito e la lingua del rap si è evoluta, si è arricchita, continuando a tenersi grandiosamente al passo coi tempi. E se qualcuno è rimasto attaccato alla voce nichilista del Klan, le cose continuano a spostarsi in avanti, perché ogni giorno c’è un ragazzino che comincia a farle, senza chiedersi perché. Qualcuno disegna beat con gli strumenti di adesso, dentro a un laptop, col supporto di un auto-tune. E qualcun altro butta giù parole, che parlano di quanto gli frulla per la testa, delle cose che gli piacciono e gli stanno a cuore. Qui, in questo punto, a Roma, c’è la Dark Polo Gang. Il 777 è il logo di DarkSide, Pyrex, Tony e Wayne e di un paio di membri aggiunti, il produttore Sick Luke e il filmaker ALXSSVNDROMAN. Come la Flaminio Maphia vent’anni fa e il Truce dieci, sono un segno dei tempi e un concentrato di talenti svelti e strafottenti. Una crew che sente l’aria che tira e la trasforma in musica senza mediazioni, con la spontaneità di farlo, perché altrimenti farebbero altre cose. I suoni sono un ininterrotto slow, scandito da un certo numero di bassi cupi e da ricami sintetici sui timbri alti. Le parole parlano di come vanno le cose tra loro, quel che conta di più (i soldi), quel che piace di più (i vestiti firmati) quello a cui si appartiene (il rione, ma mica un ghetto di periferia, questi sono ragazzi qualsiasi, che “hanno studiato” e hanno gente di spettacolo in famiglia).

E poi le droghe, i sogni, i nemici e le ragazze, adesso trattate con più rispetto, affetto e dolcezza. I video sono minimi e piuttosto belli da vedere, per capire che c’è sempre un dopo, un domani e niente è assoluto. Dark Polo Gang nei suoi rap ha perfino messo da parte la rima, una delle regole assolute, smontata senza remore. In “Full Metal Dark” , il primo album, che si scarica free dal sito (tutto è cambiato: la musica è gratis, si cede, non si difende – argomenti che risuoneranno nelle orecchie dei veterani) ci sono raffiche di racconti imperdibili, che mettono in chiaro come stiano le cose dalle parti dei ragazzini, più di mille indagini sociologiche. Sono, ovviamente, turbolenti, un po’ incazzati, nervosi e impazienti. Non si fidano. Stanno tra di loro. Tutt’al più li si può guardare di lontano. Il che fa pensare che grande è ancora il disordine sotto il cielo. E tutto va piuttosto bene. O, almeno, va.

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