Da Aristotele al signor Spock, da Kant al capitano Kirk. Cinquant’anni con Star Trek
L’8 settembre del 1966 andava in onda per la prima volta l’epopea della nave spaziale USS Enterprise che ispirò un’epoca di scoperte. Le origini della serie che è diventata "estensione del mito delle origini americano”, secondo una famosa definizione dell’antropologo Conrad Phillip Kottak.
Cinquant’anni fa, l’8 settembre 1966, andò in onda negli Stati Uniti la prima puntata di “Star Trek”. Epopea della nave stellare federale USS Enterprise (Ncc-1701) che al servizio della Federazione Unita dei Pianeti tra il 2266 e il 2260 viaggia per la sua missione quinquennale di esplorazione nel cosmo alla ricerca di nuove forme di vita e civiltà, “fino ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima”, e allo stesso tempo “estensione del mito delle origini americano”, secondo una famosa definizione dell’antropologo Conrad Phillip Kottak. “Tanto la serie quanto la festa”, ha spiegato Kottak, che ha accostato Star Trek al giorno del Ringraziamento perché entrambi “illustrano la credenza che l’unità attraverso la diversità è essenziale per la sopravvivenza, tanto in un crudo inverno che nei pericoli dell’universo”.
Il “trek” era stato il viaggio verso quella frontiera in movimento continuo che i pionieri del Far West avevano cercato nella geografia, e che l’èra kennedyana aveva invece proiettato metaforicamente nella conquista dei diritti civili. Allo stesso modo, gli astronauti di Star Trek viaggiano come i pionieri, ma sono assortiti in modo da rappresentare tutti i segmenti di razza e cultura chiamati a collaborare a quella Conquista dello Spazio che pure fu voluta da Kennedy: lo scozzese, l’asiatico, il russo, la nera protagonista del primo bacio interrazziale trasmesso sugli schermi americani e anche l’extraterrestre di discendenza umana, Spock. Quest’ultimo era interpretato da Leonard Nimoy, che dal suo personale background israelita aveva tratto un gesto di benedizione tipico della festa ebraica di Yamim Noraim, trasformandolo nel saluto vulcaniano a mani aperte icona di Star Trek.
Scelto come consulente di una serie che vantava come autori altri celebri colleghi come Theodore Sturgeon, Robert Bloch e Richard Matheson, Isaac Asimov confessava che a dispetto dell’immagine di acuto scrittore di fantascienza e “perspicace lettore del futuro”, la sua capacità di previsione era stata in realtà tanto “bassa al punto che potremmo definirla abissale”. Ma anche se la propulsione a curvatura e il teletrasporto appartengono ancora al regno della fantasia, l’inventore del cellulare, Martin Cooper, ha confessato di essersi ispirato all’intercomunicatore del capitano Kirk. Allo stesso modo i tablet e i palmari assomigliano in maniera impressionante ai Pad in dotazione all’Enterprise, e anche minidischi e i traduttori universali sono stati anticipati da Star Trek.
Poi, suggerisce ancora Kottak, la Federazione Unita dei Pianeti è una proiezione sia degli Stati Uniti sia dell’occidente negli anni della Guerra Fredda, con i bellicosi Klingoniani nel ruolo dell’Unione Sovietica. Non a caso il passaggio dalla Star Trek classica alle successive Next Generations corrisponde anche a una nuova geopolitica in cui, come russi e americani dopo il 1989, anche la Federazione e i Klingoniani tentano una distensione. Addirittura, la rivolta contro la Federazione dell’ex-marine Balthazar Edison nell’ultimo film dello scorso luglio è stata letta come una metafora anti-Brexit e anti-Trump.
Ma soprattutto, ci avvertono appunto Judy Barad e Ed Robertson, “Star Trek ci rammenta che, nel XXIV secolo, i grandi problemi morali aspettano ancora di essere risolti”. Perché il male è più forte del bene? Il potere corrompe davvero anche l'individuo più onesto? Gli esseri razionali sono gli unici a essere degni di rispetto? “Da Aristotele al signor Spock, da Kant al capitano Kirk, il passo è fattibile”.