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Un cicciottello molto criticato mette a nudo i limiti del pol. corr. della Disney

Antonio Gurrado
La protagonista del cartone animato “Moana” era stata scelta con ogni cura. Ma la parlamentare neozelandese Jenny Salesa, polinesiana e laburista, ha da ridire su un personaggio secondario: “Delude che Maui, uno dei nostri antenati storici risalenti a centinaia di anni fa, nel film appaia sovrappeso benché fosse un uomo di grande forza fisica”.
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E’ il contrappasso del politicamente corretto: per quanto ti sforzi di accontentare le minoranze, arriva sempre qualcuno più minoritario che si dichiara scontento. La Disney ne sa qualcosa. La protagonista del nuovo cartone animato “Moana” era stata scelta con ogni cura: donna, non appariscente, polinesiana, inattaccabile anche dai più pignoli fra i permalosi. Se non che la parlamentare neozelandese Jenny Salesa, polinesiana e laburista, all’apprezzamento per la scelta di cotanta protagonista ha associato le rimostranze riguardo a un personaggio secondario: “Delude che Maui, uno dei nostri antenati storici risalenti a centinaia di anni fa, nel film appaia sovrappeso benché fosse un uomo di grande forza fisica”. La sua intemerata è stata ampiamente condivisa (poiché “la Disney esercita un notevole influsso sui nostri bambini”) nonostante le sue approssimative nozioni storiografiche riguardo alla prestanza di questo semidio che, narra la leggenda, pescò un’isola e catturò il sole.

 


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Che il partito deputato a difendere i diritti dei lavoratori si pronunci a tutela dei semidei è indubbio segno della salute socioeconomica della Nuova Zelanda. La polemica tuttavia merita attenzione in quanto imperniata, forse inconsapevolmente, su due attività umane che hanno tormentato i filosofi da ben prima che Maui desse inizio alle proprie imprese: la fede e l’immaginazione. Se infatti la protesta di Jenny Sanesa si appunta sulla mancata corrispondenza fra il Maui storico e la sua raffigurazione nel cartone animato, allora si fonda sul rischio di offendere quei fedeli che credono fermamente che il semidio sia davvero esistito e che secoli fa pescò un’isola e catturò il sole, prestazioni che escludono a priori che potesse essere il panzone di “Moana”. In questo caso la colpa del film non sarebbe tanto di avere tradito il sembiante di un personaggio storico – come se avesse presentato un Napoleone alto e biondo – ma di avere proposto la raffigurazione denigratoria di una divinità, offensiva per chiunque ci creda.

 

L’accusa alla Disney sembra però annidarsi nel più sottile concetto di “misrepresentation”, che può essere grossomodo reso con: raffigurare qualcuno nel modo in cui una maggioranza immagina che sia, quando invece una minoranza lo immagina diverso. I polinesiani immaginano Maui come un fustacchione e, se gli autori del cartone presumono che il grande pubblico si aspetti un buon selvaggio pacioccone, allora offendono i polinesiani. Cedendo su questo punto, la Disney sconfesserebbe il proprio passato. Personaggi riuscitissimi come Alice o Pinocchio sono stati carpiti da un immaginario collettivo locale, inglese o italiano, e trasformati in cartoni di successo planetario grazie alla semplificazione, alla caricatura, al capillare inserimento di varianti infedeli; e, nonostante l’influsso della Disney sull’infanzia, non risulta che abbiano rovinato bambini in Inghilterra o in Italia. Il sospetto che un piccolo polinesiano non sarebbe in grado di superare il trauma di un Maui con meno muscoli e più grasso è fondato su un paralogismo: la Disney viene accusata di gettare discredito su un personaggio immaginario attribuendogli una caratteristica, dei chili in più, che costituisce uno svantaggio solo nella vita reale degli adulti, molto più limitata e tediosa della fantasia infantile o aborigena. Se un semidio è un semidio, può pescare tutte le isole e catturare tutti i soli che vuole senza bisogno di andare in palestra per tenersi in forma.

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