Fabio Volo (foto LaPresse)

Perché dire che Fabio Volo è un genio non è una bestemmia

Stefano Sgambati
Ogni giorno Fabio Volo nel suo programma radiofonico su Radio Deejay riesce a mandare in onda un’epica grandiosa, senza crolli e senza mai prendersi sul serio, senza crociate, senza pretese di evangelizzazione e soprattutto improvvisando. Il suo istinto drammaturgico in ogni circostanza è cristallino, anche se forse non bellissimo da vedersi.

Nel Paese dei subalterni culturali e degli invidiosi di professione, dei “vorrei farlo ma non ci riesco e quindi la colpa è del Sistema”, asserire che Fabio Volo è un genio conduce a isolamento, ostracismo o peggio, dimostrando che i fondamentalismi non riguardano solo tizi barbuti che vivono nei deserti coi mitra al collo.

 

Fabio Volo genio. Queste tre parole si possono eccome allineare: è sufficiente vederlo “in azione” per pensare alla scintilla vivificatrice, a quel complesso sistema di cose che esalta ciascuna idea, anche la più sciocca, e la ricompone producendo “bellezza”. Fabio Volo è genio, se non “letterario”, (ma chi siamo noi per decidere se uno scrittore è tale tout court e in particolare se vende milioni di copie dei suoi libri, per giunta tradotti?), di certo “narrativo”; genio creatore di storie, di situazioni. Il suo istinto drammaturgico in ogni circostanza è cristallino, anche se forse non bellissimo da vedersi, come un Garrincha o un Bobo Vieri, (di cui pure in questi giorni il Paese degli invidiosi di professione eccetera dice peste e corna, colpevole com’è di aver dato alle stampe un libro autobiografico), ma efficacissimo e produttivo. La sua striscia quotidiana su Radio Deejay, “Il Volo del mattino”, è imperdibile e dimostra come “mercato” e “modernità” possano andare d’accordo e soprattutto dimostra che un “narratore” si può riconoscere sempre, anche lontano dai suoi libri, se è tale.

 

Ogni giorno Fabio Volo riesce a mandare in onda un’epica grandiosa, senza crolli e senza mai prendersi sul serio, senza crociate, senza pretese di evangelizzazione e soprattutto improvvisando. Prendiamo in esame una delle ultime puntate, che a mio giudizio costituisce un apice, quando il Nostro ha ricreato in diretta ciò che in narratologia è conosciuto come “Triangolo di Freitag”, lo schema perfetto di una narrazione efficace, qualcosa che sfugge a tre quarti degli scrittori italiani della sua generazione (per non parlare di quelli delle generazioni precedenti). Succede che Fabio Volo, in evidente stato di grazia, esponga il contesto con agilità e introduca il conflitto rappresentato da una giovane ascoltatrice in procinto di sottoporsi a un test di gravidanza in tempo reale ("Sono in ritardo di un mese e mezzo…"). La “complicazione degli eventi” è inscenato dal conduttore stesso con una sequenza di domande precise, comiche e un po’ petulanti che ottengono lo scopo di prolungare l’attesa, contribuire alla sospensione dell’incredulità dello spettatore (sarà vero? Saranno complici? Sarà tutto preparato?) e di generare suspense stabilendo al contempo una complicità totale con la momentanea partner (“Normalmente che taglia di reggiseno hai? Dalla voce direi una seconda…”) e continuando a tardare il momento fatidico della “pipì sul bastoncino” (il climax).

 

La capacità di Fabio Volo di salire e scendere di ritmo, mescolando ai picchi di tensione quelli che Stephen King chiama “momenti di bonaccia”, ossia fasi in cui sostanzialmente non succede nulla dal punto di vista drammaturgico ma che diventano utilissimi per stabilire un legame forte tra lettore e personaggio e ambiente, si fa sorprendente: un istante prima che la ragazza faccia realmente pipì sul test, Fabio Volo la interrompe e le dice “aspetta aspetta”, facendo sì che sia lei a dovergli domandare, nell’incertezza della tempistica, “Sei pronto?”, per poi risponderle coi riflessi del miglior John McEnroe e tradendo così forse anche i suoi fasti da fornaio bergamasco: “Sono prontissimo, anzi posso dire? Mi imbarzottisco anche un po’…”.

 

Il ritorno in studio (i tre minuti necessari allo stick per dare responso vengono “coperti” da un brano musicale) è altrettanto degno:  Fabio Volo chiama per nome l’ascoltatrice (“Laura”) un paio di volte fino a ottenere in risposta un semplicissimo “Ciao!”, tuttavia così entusiastico e rasserenato che il narratore che è in lui si accende e blocca nuovamente tutto: è lo “scioglimento del conflitto” perfetto, in cui l’esito non viene comunicato subito e didascalicamente (“Sono incinta”, oppure “Non sono incinta”) ma attraverso un’azione pura, l’emotività. La voce di Laura è così frizzante, forse commossa, che Fabio Volo capisce e la ferma un attimo prima che lei lo dica («Aspetta aspetta aspetta!»), perdendosi poi in numerosi altri sotterfugi («Ho sentito le goccioline di pipì!», «Fermi tutti!», «Signore e signori…!»), ammiccamenti e calembour velocissimi fino alla dichiarazione ufficiale di gravidanza e alla “risoluzione” magistrale: «“Il Volo del Mattino” va a prendersi gli ascoltatori già da quando sono ancora un feto!».

 

[**Video_box_2**]Sipario.

 

Applausi.

 

Morale: i “Ritratti italiani” di Arbasino dovrebbero costituirsi di un nome in più, alla lettera “V”.

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