Peanuts forever
Mai un titolo di una serie a fumetti è stato più sbagliato. “Peanuts” significa noccioline, cose di poco conto. Ma la serie a strisce creata nel 1950 da Charles Monroe Schulz non solo lo ha reso, grazie soprattutto al merchandising, il cartoonist più ricco della storia, ma a oltre quindici anni dalla sua morte (il 12 febbraio 2000) è più viva che mai. Al museo Wow del fumetto di Milano (in Viale Campania 12) c’è la mostra “Il fantastico mondo dei Peanuts” (fino al 10 gennaio 2016), dalla scorsa settimana nelle sale è arrivato “Snoopy and Friends”, il primo film animato in 3D dedicato ai personaggi di Schulz. A quindici anni dalla scomparsa di “Sparky” (come veniva chiamato Schulz dagli amici) i suoi personaggi sono sempre nell’immaginario collettivo, dal timido Charlie Brown, innamorato della leggendaria “ragazzina dai capelli rossi” alla “bambina Alpha” (come la si definirebbe adesso) Lucy, all’intellettuale Linus con la sua coperta, alla “bambina hippie” Piperita Patty e, soprattutto, al geniale, simpaticissimo cane Snoopy.
Una striscia a fumetti popolarissima e al tempo stesso totalmente personale: in dieci lustri Schulz l’ha scritta e disegnata tutta da solo, ci ha messo dentro tutto il suo mondo, ed è morto (era nato nel 1922) il giorno prima che uscisse la sua ultima pagina, dove, per motivi di salute, si congedava dalla serie.
In Italia siamo stati legati per decenni all’analisi della striscia di Umberto Eco del 1965, per quanto all’epoca Schulz non avesse ancora creato personaggi importanti come Piperita Patty. Già a metà degli anni Novanta Giuseppe Pollicelli, adesso firma di “Libero” e all’epoca giovane critico fumettistico, l’aveva contestata in un articolo sulla rivista “If”. Pollicelli ribatteva a Eco che i piccoli protagonisti non soltanto rispecchiano le nevrosi e le angosce dell’uomo moderno, come sosteneva lui ma si comportano come bambini tout court. “La coperta feticcio di Linus trova perfetta corrispondenza nei bambolotti di pezza che la quasi totalità dei bambini è solita tenere con sé durante la notte. (…) La cattiveria, l’egoismo e il cinismo di Lucy sono facilmente riscontrabili nei bambini in carne e ossa; i tormenti interiori di Charlie Brown sono quelli di un ragazzino timido e ipersensibile che non si capacita della crudeltà del mondo e non riesce, anzi non vuole adeguarvisi.”
La serie ha superato ogni possibile moda. Negli anni Sessanta, l’eroe totemico, specialmente in Italia (aveva dato nome a una famosa rivista “intellettuale” di fumetti) era Linus, il fratello della bisbetica Lucy, che gira portandosi sempre dietro una coperta come protezione, in seguito è diventato Snoopy, il personaggio simbolo della serie.
Snoopy, la star
Snoopy è, fra gli altri, aviatore (un vero asso) della prima guerra mondiale, è il sedicente playboy Joe Falchetto (in originale Joe Cool, Joe il Figo), come lo stesso Schulz è amico di Bill Mauldin, celebre fumettista esperto in fumetti di guerra, è un principe del foro e, soprattutto, uno scrittore incompreso (manda sempre dattiloscritti che gli vengono regolarmente rifiutati, celebre l’incipit dei suoi romanzi: “Era una notte buia e tempestosa”), è un atleta capace di cimentarsi in diversi sport, in genere praticati dallo stesso Schulz, da golf all’hockey, al tennis.
Le avventure di Snoopy portano un tocco di surreale nella striscia e non sappiamo mai cosa sia davvero reale e cosa no.
E quanto è realmente grossa la sua cuccia, visto che può ospitare Woodstock e i suoi amici volatili, ha un megaschermo televisivo, un tavolo da biliardo, un Van Gogh e pure la vasca idromassaggio?
Lettori “piccoli” e “sapienti”
Il fascino dei “Peanuts” è anche dato dal fatto che il lettore ci si può riconoscere (persino un appassionato di tennis che sa poco o nulla di comics si può identificare in Snoopy tennista). Come tutti i grandi narratori, Schulz ha raccontato se stesso e milioni di lettori si sono visti in Snoopy piuttosto che in Linus, in Lucy piuttosto che in Piperita Patty, in Charlie Brown piuttosto che in sua sorella Sally. La sua striscia è stata un grande romanzo americano.
[**Video_box_2**]La capacità del lettore comune di capire la striscia, e i problemi di Michaelis (e, in parte, anche di Eco, che pure i fumetti li ha sempre amati), ci fanno venire in mente queste parole di Gesù nel Vangelo di Matteo, che ci stanno bene visto che la Bibbia è spesso citata nei “Peanuts” (Schulz era un ottimo conoscitore della Sacra Scrittura e aveva persino insegnato catechismo per anni, anche se nell’ultimo periodo era diventato piuttosto scettico): "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli".
Après les Peanuts?
Torniamo da Groth. La sua Fantagraphics è famosa per ristampare classici americani del fumetto (il Popeye di E. C. Segar, il Paperino e il Paperone di Carl Barks, il Topolino di Floyd Gotttfredson), ma i “Peanuts” sono davvero una serie speciale. Ed è strano essere quasi arrivati alla fine. “Mi sento orgoglioso per averla pubblicata e al tempo stesso commosso. Ricordo quando ne ho parlato per la prima volta con Sparky: eravamo seduti a un tavolo vicino alla sua pista di pattinaggio a Santa Rosa. Cinque anni dopo, io e Seth (designer della grafica dei volumi) eravamo nel suo studio, dopo la sua morte, a presentare il progetto alla vedova Jeannie. Conoscere Sparky è stato un privilegio e Jeannie ci ha sempre aiutato specie all’inizio quando ha approvato il progetto. Però sono preoccupato per il senso di vuoto che mi colpirà quando avremo pubblicato il ventiseiesimo e ultimo volume nella primavera del 2016. Cosa puoi fare, dove puoi andare dopo i Peanuts?”