Vogliamo tutti una principessa, per questo BuzzFeed fa clic con le eroine Disney
"Considera l'immaginario comune e piegalo alle tue esigenze" è un vecchio comandamento della teoria pubblicitaria degli anni Cinquanta, preistoria delle tecniche utilizzate oggi. Vecchiume, direbbero, ma ancora valido. Perché l'immaginario comune non crolla, resiste al mutamento di medium e fruizione, persevera. Esattamente come la Disney, che continua a produrre animazione e novità, ma non tralascia mai le vecchie glorie, i Topolino e Paperino, i Peter Pan e gli Alladin, le principesse soprattutto. Ritornano costantemente, nonostante mostriciattoli e Violette, perché quello è l'immaginario, quello è il passato che non tramonta, Pocahontas sarà sempre l'indigena carina, Cenerentola la servetta che ruba il cuore al principe, Ariel la sirenetta che riscatta la categoria dalle malignità di Omero e seguaci. Sono ricordi di ogni bambino, alla faccia di Pokemon e Digimon, raccordo tra generazioni, le storie dei genitori che vengono riproposte ai figli che a loro volta, diventati genitori, continueranno la catena. Perché funzionano, piacciono, continuano a piacere. A tal punto da essere utilizzate da uno dei siti che ha nel click baiting (ossia la scelta di puntare su titoli e immagini acchiappa clic) la sua dimensione e missione, BuzzFeed, in maniera seriale.
Come sarebbero le eroine della Disney oggi, come sarebbero in una periferia di New York oppure a Hollywood, come sarebbero se fossero dei politici, se si sottoponessero a interventi di chirurgia estetica, da vecchie. Articoli e gallery del genere, per sfruttare curiosità e voyeurismo e tramutarli in clic. Funziona, almeno nel BuzzFeed pensiero. Gli utenti guardano, si interessano, cliccano. Piace perché modernizza il nostro immaginario fanciullesco, "perché creano quello stacco dal reale verso l'immaginario che genera curiosità", scrive Kim Hullot-Guiot su Libération: Crudelia Demon con la faccia di Angela Merkel prima della "svolta umanitaria" con i siriani, Ariel dal viso di Taylor Swift, bambini cresciuti che riguardano la quotidianità con gli occhi di un tempo.
"E' innegabile come rielaborare i ricordi fanciulleschi attualizzandoli riesca a generare un'attenzione maggiore rispetto a molte altre rappresentazioni", disse il sociologo della comunicazione John Baptist Thompson alcuni anni fa al Telegraph analizzando alcune opere dello street artist Banksy.
Un meccanismo già individuato da Alfred Schültz nei primi anni Cinquanta dall'analisi della propaganda di Goebbels, che richiamava l'immaginario di storie e rappresentazioni folcloristiche della Germania di allora e le distorceva per adeguarle all'ideologia nazista. E proseguito analizzando una serie di articoli del quotidiano belga Soir nella quale l'ex primo ministro socialista Paul-Heri Spaak veniva presentato ai cittadini utilizzando l'immaginario del fumetto Tin Tin.
[**Video_box_2**]Nulla di nuovo quindi, soprattutto nel giornalismo. L'utilizzo di personaggi ed eroi dell'infanzia è un cliché che si ripropone quasi serialmente adeguandosi ai tempi e ai media. Ne sanno qualcosa i giornalisti sportivi che molto spesso hanno utilizzato nomi di personaggi del mondo animato come soprannomi per campioni e atleti. Da Edmondo Fabbri "Topolino", ad Andrea Noè "Brontolo", da "Pluto" Aldair a "Peter Pan" Claudio Bellucci, da "Bubu" Evani a "Peperoga" Van Looy, questi sono solo alcuni dei personaggi sportivi ricordati e amati dal pubblico grazie (anche) all'accostamento con gli eroi dell'infanzia, tanto da far dire all'ex centrocampista del Real Madrid Francisco Gento: "Ero forte, sono stato un giocatore vincente, ma mi ha fregato il soprannome (La Galerna del Cantabrico): fossi stato un personaggio dei fumetti o una cosa atmosferica, mi ricorderebbero di più".