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Metti una donna etero nel marasma di un gay party

Simonetta Sciandivasci
A Barcelloneta si svolge il Circuit Festival, uno degli eventi “gay&lesbian” più importanti del mondo. Dove gli eccessi, e talvolta l’esibizionismo, vincono su tutto. Persino sulle droghe.
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Meriggio, assorta nella mia decadente eterosessualità - non che io stia cambiando gusti sessuali, ma la storia evidentemente sì - al lido Be Gay, pieno Poblenou, qualche chilometro più in lá della Barcelloneta, la spiaggia giovane di Barcellona, dove tutto è comunque giovane, persino gli ultra settantenni a pranzo fuori. Circondata da uomini che amano gli uomini e donne che amano le donne, tutti in città per il Circuit Festival, "the biggest international gay&lesbian event", mi impegno nell'attività prevalente, il gaywatching, notando che sulle spiagge omosessuali non esistono cellulite, panza, tette flosce, biancore, peli superflui, smagliature. Insomma, non esiste la natura. Assenti anche bambini, vucumprà, pedalò: scopro, così, che la riviera non fa estate.

 

Bevo mojito a un prezzo irragionevole - è allungato con la salsa dolce Fabbri o qualcosa di simile. Sono l'unica: mediamente, l'omosessuale del Circuit, prima dell'una di notte, beve solo frullati di aminoacidi e steroidi. Quello che deve succedere, dopotutto, succede dalle tre alle dieci del mattino, nei bagni del Razzmatazz, del Metro, dell'Arena (una specie di franchising di locali gay friendly).

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Là dentro, dove si arriva prima ancora di aver fatto un salto in pista o al bar, si consuma più droga che in tutta Bogotà. E nessuno ci resta secco. Nessuno, neanche quelli che mostrano, nei loro jockstrap (se non sapete cosa siano, v'invidio e vi rimando a Google Immagini: facciamo del living journalism) erezioni perpetue e immotivate (ma sarà una cosa etero, questa di credere che l'erezione obbedisca alla meccanica causa-effetto: al Circuit, l'erezione è più che altro una posizione), ottenute con chissà quali cocktail di viagra e strisciate addosso a chiunque, come carezze o bancomat. Al Metro, dove ci sono una donna eterosessuale (la sottoscritta), due lesbiche e 987 maschi che amano i maschi, lo spazio abitabile tra un essere umano e l'altro è esattamente quello necessario ad accarezzarsi con l'inguine e il culo.

 

"Possono entrare anche le donne?", mi chiede un francese, divertito. Gli dico di sì e mi implora di farci un selfie, come usano i cinesi in Cina con gli occidentali. Dopodichè mi domanda se posso pure ballare. Annuisco e lui esplode in gaudio e tripudio, mi si avvinghia addosso per un sexy valzer, ma non c'è spazio sufficiente, quindi rinuncia e mi regala un baciamano perfetto, ottocentesco. È sudato ma profuma, come tutti qui. In una discoteca eterosessuale, con 38 gradi, ci sarebbe odore di corvo morto, di cimitero in estate, invece qua è tutto un Eau de Toilette di Narciso Rodriguez. Esco a respirare. Sono seduta con un mio amico che ha adocchiato un cub (un bear giovane, cioè un ragazzetto peloso): alza il drink in sua direzione e quello si avvicina urlando: "Where are you from?". Il mio amico risponde con la sua età e io capisco che è così ubriaco che mi toccherà fargli da interprete. Anche il cub mi chiede come mai io sia lì e soprattutto se sia lesbica, poi mi racconta che in Danimarca sono tutti pazzi per Il Volo. Mi mostra una sua foto e mi sottopone una questione annosa: "Assomiglio o no a Clint Eastwood?". È gentile, sembra addirittura felice.

 

Rientro. Un gruppo di americani mi prende a cuore e mi fa aria con un enorme ventaglio. Mi chiedono tutti, in continuazione, se sto bene, tanto che per liberarmene devo fingere un malore e andare in bagno, trentaquattro scalini sotto il livello della decenza, mille gradi sotto quello di ebollizione. Anche qui, nemmeno un miasma. Nemmeno un collasso. Nemmeno una molestia. L'amore vince anche sulla droga, tanto che a chiamarla così mi sento vecchia, animale morente, cara estinta, insomma eterosessuale.

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Viro verso una serata bear (i bear sono quelli massicci e pelosi, i più misogini e settari di tutti: hanno persino una bandiera con le strisce marrone, gialla e ocra - che corrispondo alle carnagioni che ammettono - e bianca, grigia e nera, che sono un tributo ai colori dei peli), si chiama Megawoof. All'ingresso, una tizia della sicurezza mi svela che non posso entrare perché sono una donna. Resto fuori, incredula.

 

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[**Video_box_2**]Vedo uno che mi guarda e mi illumino di vittoria. Scopro poco dopo che fa marchette. Vorrei dirgli che sono lesbica e umiliarlo, ma evito, per fortuna (il giorno dopo scoprirò che la lesbica bear non esiste: ci sono al massimo i bear che vanno a letto esclusivamente con i bear, guadagnandosi per questo l'appellativo di lesbiche).

 

Incontro un calabrese che mi racconta la sua vita in otto secondi. Si offre di accompagnarmi, anche se non so dove - e nemmeno lui. Rifiuto. Mi odia. Salgo su un taxi e il tassista indossa una polo.

 

È il primo essere umano di sesso maschile che vedo a non vestire un gilet di pelle, carne tatuata, canotta. Mi sembra persino bello, ma so che è merito della polo, che mi mancava quasi quanto mi manca Marcello Mastroianni. Spero tanto che sia gentile. Spero tanto che mi faccia un baciamano, non mi chieda se sto bene, se voglio aprire il finestrino, se sono italiana, spagnola, raffreddata, in salute, felice, se mi sono divertita, se ho un lavoro. Invece, nulla. Vuole solo sapere dove abito. Vuole solo fare il suo mestiere, non ha voglia di fare anche l'uomo.

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