Una scena del film Romeo e Giulietta (1996)

Romeo e Giulietta al tempo degli smartphone, ecco la vera impresa

Annalena Benini
Gli smartphone sono antiletterari. Non solo perché portano con sé distrazione e devastazione intellettuale, ma anche perché non stanno bene nei romanzi, spesso rovinano la trama perché rendono poco credibile il fatto che due persone non riescano a incontrarsi.

Gli smartphone sono antiletterari. Non solo perché, come sostiene Jonathan Franzen, portano con sé distrazione e devastazione intellettuale, ma anche perché non stanno bene nei romanzi, spesso rovinano la trama perché rendono poco credibile il fatto che due persone non riescano a incontrarsi, che uno dei due non arrivi in tempo all’appuntamento, e trasformano in un’immagine poco romantica anche una passeggiata al parco: è davvero necessario descrivere persone sedute sulle panchine intente a tuìttare, è importante per la verità di una scena casalinga raccontare che lei lava i piatti con il telefono aperto su Facebook, e descrivere il suono delle notifiche, il display che si illumina, l’ansia per la batteria che si scarica, la ricerca di un cavetto per collegarsi al computer? Secondo il sito letterario americano The millions, definito dal New York Times indispensabile, la sfida della vita reale richiede che un autore sia in grado di scrivere un romanzo che tenga conto del mondo di Google, o almeno sappia escogitare una trama in cui un personaggio getti nel fiume o perda in taxi il proprio telefono e venga così separato dalla tecnologia per tutta la durata del libro.

 

I telefoni hanno cambiato le relazioni fra le persone, e se Romeo e Giulietta avessero avuto un cellulare forse sarebbero ancora vivi e pluridivorziati, il marito di Emma Bovary avrebbe scoperto i tradimenti quasi subito, Penelope si sarebbe rifatta una vita senza aspettare Ulisse e Ulisse avrebbe evitato le Sirene cambiando percorso grazie a Google Maps. Con un telefono connesso a internet in mano non c’è scampo dalle informazioni, e invece l’assenza di informazioni e l’inesistenza di WhatsApp costruiscono le storie alla vecchia maniera, e già nel 2009 con il titolo “Se solo la letteratura potesse essere una zona libera dai cellulari” il New York Times lamentava il fatto che la tecnologia stesse rendendo obsolete le trame narrative classiche, eliminando del tutto l’impossibilità di comunicazione, i treni e gli indirizzi perduti, e cambiando completamente la quotidiana vita da romanzo. Così, scrive The millions, è accaduta una cosa piuttosto disorientante: romanzi ambientati in una specie di “presente nostalgico”, ambiguamente atemporale, un momento storico vago fra gli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Novanta, subito prima della rivoluzione tecnologica. O, ancora peggio, in un presente chiaramente connotato, ma privo di iPhone e di messaggini che arrivano sul più bello.

 

[**Video_box_2**] E’ più facile fingere che non esistano, piuttosto che ammettere la frustrazione provocata dalla realtà in uno scrittore che passa metà della giornata a scorrere la timeline di Twitter e l’altra metà a fingere che i suoi personaggi non possano entrare in contatto fra loro in qualsiasi momento. Così, gli anni Settanta, Ottanta e Novanta sono tanto amati dalla produzione letteraria non solo per i cambiamenti generazionali, per gli anni di formazione degli scrittori, per i decisivi avvenimenti politici, ma perché risolvono un gran numero di problemi narrativi. Senza Instagram era tutto più semplice.

  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.