PUBBLICITÁ

Il procuratore ignoto

Riccardo Lo Verso

A Caronia come ad Avetrana. I gialli dell’estate trasformano in protagonisti magistrati che nessuno conosceva

PUBBLICITÁ

Un uomo avanza lungo la strada sterrata della collina. Zainetto, camicia bianca e capelli sulle spalle. Potrebbe essere chiunque, eppure tutti capiscono che sta per accadere qualcosa. Lo hanno riconosciuto. Sanno che è Angelo Vittorio Cavallo, il capo della Procura di Patti che coordina le indagini sulla morte di una mamma e del suo bambino. E’ accaduto anche a Caronia. La tragedia segna il confine. Prima c’era l’anonima vita di un piccolo paese della provincia di Messina, con i suoi tremila abitanti orgogliosi del mare cristallino, delle montagne – i Nebrodi –, del castello normanno. Poi vennero i giorni di agosto, giorni di un tragico destino che si è portato via Viviana Parisi e il figlio, il piccolo Gioele Mondello, morti in un bosco. Caronia è diventato un posto tristemente “familiare” dallo stretto di Messina a Bolzano. I luoghi diventano riconoscibili al grande pubblico. E pure i volti, soprattutto i volti. Il dolore degli altri, doverosamente raccontato ma troppo spesso morbosamente sezionato, diventa il dolore di tutti.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Un uomo avanza lungo la strada sterrata della collina. Zainetto, camicia bianca e capelli sulle spalle. Potrebbe essere chiunque, eppure tutti capiscono che sta per accadere qualcosa. Lo hanno riconosciuto. Sanno che è Angelo Vittorio Cavallo, il capo della Procura di Patti che coordina le indagini sulla morte di una mamma e del suo bambino. E’ accaduto anche a Caronia. La tragedia segna il confine. Prima c’era l’anonima vita di un piccolo paese della provincia di Messina, con i suoi tremila abitanti orgogliosi del mare cristallino, delle montagne – i Nebrodi –, del castello normanno. Poi vennero i giorni di agosto, giorni di un tragico destino che si è portato via Viviana Parisi e il figlio, il piccolo Gioele Mondello, morti in un bosco. Caronia è diventato un posto tristemente “familiare” dallo stretto di Messina a Bolzano. I luoghi diventano riconoscibili al grande pubblico. E pure i volti, soprattutto i volti. Il dolore degli altri, doverosamente raccontato ma troppo spesso morbosamente sezionato, diventa il dolore di tutti.

PUBBLICITÁ

 

La macchina mediatica fa presto a mettersi in moto. E’ ormai rodata dal ripetersi di casi drammatici. La stazione di servizio lungo la statale diventa il campo base di uomini in divisa di ogni ordine e grado. Ai cronisti delle piccole cose si affiancano gli inviati, i fotografi, i cameraman. Arrivano i curiosi, i volontari e i professionisti dell’improvvisazione, coloro che sanno già tutto senza nulla sapere. Città ignote dove lavorano procuratori della Repubblica altrettanto ignoti. Almeno fin quando la cronaca non si fa nerissima. Allora cambia tutto. Il procuratore Cavallo avanza. Si ferma, giorno dopo giorno, davanti alla muraglia di obiettivi e microfoni. Passano i giorni, scorrono i titoli e un interrogativo disorienta. E’ la gabbia del circo mediatico che rende le tragiche storie uguali nella loro evoluzione o sono le indagini che assecondano gli schemi da talk-show del dolore?

 

PUBBLICITÁ

Di dolore si tratta, è bene ricordarlo. Vero, come la carne e le ossa di una donna di 43 anni e di un bambino che di anni ne aveva appena 4. Vero, come le ferite che mai si rimargineranno nella mente e nel cuore di chi li ha amati. Vero, come il tarlo del dubbio che si potesse fare qualcosa prima che tutto ciò accadesse o magari solo nel tentativo disperato di limitarne gli effetti drammatici. I procuratori (ex) ignoti diventano i personaggi chiave di un mondo che pare traslato dalla tivù alla realtà. Il caso mediatico si ingrossa, come la lista dei personaggi che vi partecipano. Hanno ruoli che fino a ieri erano sconosciuti ai più. Basta scorrere l’elenco degli esperti che sono stati assoldati: medici legali, geologi forensi, zoologi, biologi, entomologi che studiano gli insetti, esperti di segni e tracce animali impresse sui corpi, studiosi della macro fauna selvatica dei Nebrodi, dei terreni e dei resti umani in essi conservati. Il magistrato ha organizzato un comitato tecnico-scientifico. E rigorosamente scientifico è il linguaggio utilizzato.


Caronia è diventata tristemente “familiare” da Messina a Bolzano. I luoghi diventano riconoscibili al grande pubblico. E pure i volti


 

PUBBLICITÁ

Si dice “macro fauna selvatica” perché parlare di cinghiali o maiali non rimarcherebbe quella condizione di inferiorità conoscitiva che distingue, ed è giusto così, un esperto da un ascoltatore-lettore. Il linguaggio tecnico segna quella distanza fra chi sa e chi non sa, e fa avvertire in chi non sa la necessità di incollarsi al video per colmare le proprie lacune. Le parole del procuratore diventano la porta di ingresso per i posti in prima fila sul palcoscenico del dolore. Ci sono segnali, più di altri, che dimostrano quanto i due piani, mediatico e scientifico, finiscano spesso per intrecciarsi. Si può stare sul campo e contemporaneamente sul palcoscenico. Il procuratore Cavallo ha affidato a uno psichiatra il compito arduo di farsi largo nella mente della povera Viviana per cercare di intuire cosa abbia pensato nei minuti in cui lasciava la galleria dell’autostrada Messina-Palermo, ultimo luogo in cui è stata vista viva, per perdersi nel bosco.

PUBBLICITÁ

 

Il capo dei pm ha scelto Massimo Picozzi, docente di Psichiatria presso le Università di Parma e Bocconi di Milano. Un autorevole professionista e al contempo un ascoltato opinionista della televisione di genere. Le cronache di uomini e donne che sanno essere spietati con i più indifesi ha dato vita a una ricca programmazione dove sono gli esperti a guidare il telespettatore. E tra questi c’è spesso Picozzi, che si è occupato di alcune delle più note vicende criminali degli anni scorsi: Cogne, Avetrana, le stragi di Erba e Novi Ligure, il caso delle Bestie di Satana ed altre ancora. Quando c’è da tracciare un profilo psico-comportamentale è a lui che gli investigatori si rivolgono. Nel frattempo scrive libri e partecipa a programmi televisivi come “Quarto grado” e “Porta a porta” alternandosi con un altro volto noto, la criminologa Roberta Bruzzone, a cui è stato chiesto più volte un parere sulle vicende di Caronia.

PUBBLICITÁ

 

Non sorprende che Daniele Mondello, marito di Viviana e papà di Gioele, si sia affidato agli avvocati Nicodemo Gentile e Antonio Cozza. Sono gli stessi legali che si sono occupati di casi noti come quello di Sarah Scazzi o della studentessa Meredith Kercher. Della morte della povera Sarah ricorre in questi giorni il decimo anniversario. Anche lì, ad Avetrana, piccolo paese in provincia di Taranto, il dolore era e resta reale. Ci sono dei colpevoli: Cosima e la figlia Sabrina, condannati all’ergastolo, e il padre Michele Misseri che fra non molto uscirà dal carcere. Ma ci sono pure molti dubbi, alimentati anche, e forse soprattutto, da quell’intreccio fra media e aule di giustizia che provoca un cortocircuito. Ci si concentra su una montagna di dettagli e si finisce per smarrire la verità.


Poi capita qualcosa che l’apparato del talk-show non ha previsto. Il copione si inceppa dinanzi a un carabiniere in pensione


 

 

Non passa giorno a Caronia senza una dichiarazione del procuratore, degli esperti o degli avvocati. Pungolato dai cronisti Cavallo ripete che si indaga a 360 gradi, che nessuna pista può essere esclusa, che vige il massimo riserbo. Frasi che fanno parte del protocollo. Ogni microfono, però, raccoglie una parola diversa, una sfumatura che vale un titolo nuovo. E si va avanti all’infinito. Se si mettono in sequenza, le frasi sembrano dire tutto e il contrario di tutto.

 

Poi capita quello che non ci si aspetta, qualcosa che l’apparato del talk-show non ha previsto. Il copione si inceppa dinanzi a un carabiniere in pensione che, armato di buona volontà e falcetto, trova i resti del piccolo Gioele laddove non c’erano riusciti i cacciatori di Sicilia, i vigili del fuoco, l’esercito con i droni e i cani molecolari. Si scopre pure che uno dei droni ha filmato il corpo di Viviana già all’indomani dell’incidente nello stesso punto dove sarebbe stato ritrovato quattro giorni dopo. E tutti a chiedersi come sia potuto accadere. Per primi i parenti di Viviana e Gioele che hanno presentato un esposto affinché si indaghi sui soccorsi e sulle ricerche.

 

Domande su domande, che resteranno senza risposta chissà per quanto tempo ancora. Arriva il giorno dell’autopsia sui resti del bimbo, annunciata dai media come “la svolta”. La stanza del Policlinico di Messina è affollata. Alla lista dei presenti si sono aggiunti quattro periti di parte della famiglia. Come è morto Gioele? Neppure l’esame autoptico, al momento, fornisce certezze. Non può fornirle subito. Ci sono di mezzo l’aria, la terra, il vento, le pietre, la fauna selvatica, gli insetti che hanno modificato tessuti e luoghi. Agli esperti vengono concessi novanta giorni per scrivere una relazione conclusiva. Sperano di “starci nei tempi”, dicono. “Siamo un gruppo ben affiatato”, aggiungono. Una task force più che un gruppo, il cui lavoro adesso si sposta nei laboratori. “Ma è un caso difficilissimo”, però. “In via aleatoria è possibile sapere come è morto Gioele”, dicono i medici legali calcolando il rischio dell’insuccesso. Un rischio la cui percentuale potrebbe essere alta.


Il procuratore Angelo Vittorio Cavallo avanza. Si ferma, giorno dopo giorno, davanti alla muraglia di obiettivi e microfoni


 

Il criminalista, che fa un mestiere diverso dal criminologo, incaricato dalla famiglia per scoprire dove e come è avvenuto il decesso fa alcune dichiarazioni che riportano indietro le indagini all’ipotesi che Gioele possa essere morto nell’incidente in galleria. E’ la ricostruzione iniziale, quella che era sembrata plausibile ma fu smentita dai testimoni, i quali dissero che il bimbo era vivo in braccio alla mamma quando si allontanarono nel bosco. Tutto riparte dall’inizio, dalla galleria della Palermo-Messina e dalle possibile tracce rimaste sulla macchina di Viviana Parisi. Le indagini sono concentriche. 

 

Ci vorrà tempo prima che gli strumenti del talk-show vengano riposti. Arriverà però il giorno in cui le luci accese sui procuratori si spegneranno. E’ successo a quello di Como che indagò sui coniugi Olindo e Rosa per la strage di Erba; di Vigevano per l’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco; di Aosta per il caso del piccolo Samuele a Cogne. Si potrebbe continuare tornando in Sicilia, a Santa Croce Camerina, nel Ragusano, dove fu ucciso il piccolo Loris Stival, o a Rosolini, nel Siracusano, dove è morto Evan Lo Piccolo.

 

Le lacrime per Evan sono ancora fresche, temporalmente sovrapponibili a quelle versate per Viviana e Gioele, eppure sembrano già confinate nel passato. Perché? Perché a Rosolini i volti dei due presunti colpevoli sono stati subito individuati. Il compagno della mamma è accusato di omicidio volontario. Stesso reato contestato alla madre che non avrebbe evitato che l’uomo picchiasse a morte il suo bimbo di ventuno mesi. Il dolore da solo non “giustifica” i riflettori anche se i lividi sul corpo di Evan e le fratture sono i segni di una crocifissione che meriterebbe di essere ricordata ogni santo giorno.


Quell’intreccio fra media e aule di giustizia provoca un cortocircuito. Ci si concentra su un mare di dettagli e si finisce per smarrire la verità 


Tanti, troppi bambini, uomini e donne sono stati uccisi con una ferocia che non ti aspetti. Eppure la cronaca ha insegnato il contrario. Quando, per la prima volta, si è scoperto che l’orrore era molto più vicino di quanto si potesse immaginare? Forse nell’autunno del 1971, quando a Marsala, nel tragitto che li conduceva a scuola scomparvero tre bambine di nove, sette e cinque anni. Le ricerche di Antonella, Ninfa e Virginia sono frenetiche. Migliaia di uomini in divisa e volontari battono ogni centimetro della città trapanese. Li guida il giudice istruttore Cesare Terranova, che otto anni dopo sarebbe caduto in un agguato mafioso a Palermo. I corpi vengono ritrovati e lo zio di una delle bimbe condannato a 29 anni, anche se in molti, ancora oggi, dicono che non può avere agito da solo.

 

Allora come oggi sono indagini difficili, che si prestano a molteplici letture. Neppure le sentenze definitive riescono a escludere del tutto alcune ipotesi. Il grado di colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio” si scontra con la realtà. La differenza fra allora e oggi sta nella invasività mediatica.

 

Le parole del procuratore Cavallo hanno condotto lo spettatore, giorno dopo giorno, passo dopo passo, dentro il giallo. Partendo dall’incidente nella galleria del 3 agosto lungo l’autostrada Messina-Palermo si è arrivati dentro il bosco, sotto il traliccio dell’energia elettrica dove c’era il corpo di Viviana e nel letto di rovi che ha accoglieva i resti di Gioele. Il luogo della morte è diventato riconoscibile, come i volti dei protagonisti. La tragedia segna il confine. Prima c’era l’anonima vita di un piccolo paese della provincia di Messina e dopo la paura e l’orrore. Quando il palcoscenico sarà stato smontato resterà il dolore – vero e atroce – di chi ha amato Viviana e Gioele. E i procuratori torneranno a essere ignoti.

PUBBLICITÁ