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Il tè italiano che piace alla regina Elisabetta

Fabiana Giacomotti

Viaggio a Premosello, sul Lago Maggiore, dove la coltivazione del tè è una lunga storia di famiglia. Sono gli Zacchera. Tra infusi, moda ed editoria

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Sul Lago Maggiore, il cognome Zacchera ha un peso e un significato. Indica una famiglia di albergatori molto influenti, molto abili, molto determinati e, come dire, del tutto estranei al mondo delle belle arti, applicate o teoriche che siano. Evoca il “Dino” di Baveno con la grande facciata rossa che si specchia nelle acque, fino a un minuto prima della pandemia destinazione di molti convegni, oppure il Grand Hotel Bristol di Stresa e ancora altri alberghi meno sontuosi e “tape à l’oeil” di quelli, decorati per far colpo sulla clientela russa e mediorientale ma presumibilmente tutti redditizi, almeno fino allo scorso marzo (l’unico albergo storico restaurato e curato con l’occhio del filologo della zona è il Majestic di Pallanza della famiglia Zuccari, di fronte all’“Isolino” dove vive Carlo Borromeo e che un tempo ospitava Arturo Toscanini; il resto è un accrocchio di cancelli dorati e statue in cemento e polvere di gesso pressate in Cina che una volta richiesero l’intervento della Sovrintendenza della Regione Piemonte, peraltro mai troppo sollecita da queste parti).

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Sul Lago Maggiore, il cognome Zacchera ha un peso e un significato. Indica una famiglia di albergatori molto influenti, molto abili, molto determinati e, come dire, del tutto estranei al mondo delle belle arti, applicate o teoriche che siano. Evoca il “Dino” di Baveno con la grande facciata rossa che si specchia nelle acque, fino a un minuto prima della pandemia destinazione di molti convegni, oppure il Grand Hotel Bristol di Stresa e ancora altri alberghi meno sontuosi e “tape à l’oeil” di quelli, decorati per far colpo sulla clientela russa e mediorientale ma presumibilmente tutti redditizi, almeno fino allo scorso marzo (l’unico albergo storico restaurato e curato con l’occhio del filologo della zona è il Majestic di Pallanza della famiglia Zuccari, di fronte all’“Isolino” dove vive Carlo Borromeo e che un tempo ospitava Arturo Toscanini; il resto è un accrocchio di cancelli dorati e statue in cemento e polvere di gesso pressate in Cina che una volta richiesero l’intervento della Sovrintendenza della Regione Piemonte, peraltro mai troppo sollecita da queste parti).

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Per questo, quando ci hanno invitati a Premosello, nella Val d’Ossola, a visitare quella che ci veniva annunciata come la prima piantagione di tè in Italia e il cui proprietario rispondeva al nome di Paolo Zacchera, non riuscivamo a trovare un punto di contatto fra i due campi semantici. L’insieme “piantagione di tè” non poteva intersecare l’insieme “Zacchera”, semplicemente. Una breve googlata preliminare aveva infittito il mistero, perché mostrava un uomo maturo, dai tratti solidi e netti, che oltre a coltivare e a vendere un lungo elenco di piante acidofile, alcune raffinate come il rododendro Madame Masson dai fiori bianchi purissimi, aveva in apparenza corrisposto con Marguerite Yourcenar abbastanza a lungo – vent’anni – da pubblicare un libro con Apeiron sul contenuto degli scambi.

  

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Zacchera nella piantagione di Premosello (foto di Fabiana Giacomotti)


 

Nell’elenco delle sue edizioni, tutte realizzate da case editrici di nicchia, figurava anche un memoir sulle ragioni che l’avevano spinto a cambiare la propria professione dalla docenza della lingua inglese alla coltivazione di piante ornamentali e le sperimentazioni con la camellia sinensis da cui, nelle sue tante varietà, si raccolgono le gemme del tè, e un trattato sulle camelie.

 

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Abbiamo osato chiedere informazioni di famiglia dopo il percorso nel primo sito della Compagnia delle Camelie, fra campi di azalee in forma (“i buxus sono ormai troppo soggetti a malattie, gli architetti di giardini preferiscono queste, soprattutto in Giappone, che la topiaria permette di modellare a sfera e che per di più fioriscono”) e la visita a un vivaio di camelie già alte, riparate da una leggera tettoia di rete da cui pendono infinite striscioline di tessuto annodate come le intenzioni nei monasteri tibetani: “Scampoli regalati dall’amico Claudio Marenzi”, dice Zacchera indicando l’imprenditore che, in caso non lo sapeste, è il proprietario di Herno, il presidente di Confindustria Moda, di Pitti Immagine, del Golf Club Alpino di Stresa e in generale il ras della zona.

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A quel punto non abbiamo potuto più resistere, scoprendo finalmente di avere a che fare con la “seconda famiglia Zacchera”, sempre albergatori in origine e in parte anche nel contemporaneo, tutti nati da un ceppo dell’Isola dei Pescatori, ma cugini degli Zacchera dei soffitti in vetro cloisonné e dei doppi tendaggi con la mantovana dorata. A questo ramo cadetto spetta comunque una buona dose di eccentricità, oltre a un incredibile eclettismo politico-sociale che include Marco, commercialista, ex deputato nei governi Berlusconi e possessore di una fede granitica in Alleanza nazionale; appunto Paolo che si recò adolescente a Mount Desert per conoscere l’autrice delle “Memorie di Adriano” e che oggi coltiva tè, azalee e magnolie nei luoghi della Resistenza e nel Fondotoce dove – per decenni e fino alla conversione in area protetta – si è assistito a una delle più brutte industrializzazioni della regione.

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Quindi, Alberto l’albergatore, Anna che è traduttrice dall’inglese per importanti case editrici e insegnante liceale e Vittorio, presidente della cooperativa sociale Risorse che, nei suoi tanti siti e attività, recupera cose e uomini danneggiati dalla vita. Ve li abbiamo elencati perché, oltre a mostrare quanto possa essere sorprendente quell’istituzione sociale che risponde alla definizione di famiglia, hanno tutti degli interessi o collaborano in qualche modo, la cooperativa sociale specialmente, con i campi del tè, che in realtà sono poco più di due ettari ma che hanno suscitato l’interesse degli esperti, in particolare dalla Germania e dal Giappone.

 

Dalla zona di Shizuoka dovrebbero arrivare in tempi abbastanza prossimi due esperti di coltivazione di tè, in pensione e dunque onusti di quella gloria esperienziale che il Sol Levante ritiene a differenza nostra molto preziosa, per aiutare Zacchera ad affinare la qualità della produzione, che per la nostra modesta esperienza ci sembra già eccellente. In italiano non esiste una parola per definire l’equivalente di vignaiolo nella cura del tè, dobbiamo usare una circonlocuzione, e già solo questo lascia intendere le possibili ragioni che hanno portato la Regione Piemonte a bocciare la richiesta di finanziamento fatta un paio di anni fa da Paolo Zacchera; vorrebbe ampliare le coltivazioni e creare un centro di studi e formazione aperto a tutti nell’ambito di un bando per il recupero della zona, a lungo gravata dalle attività dei pentolai e dei rubinettai che da queste parti danno prova di sé da secoli e, fino a poco tempo fa, non delle migliori (il Lago d’Orta, per esempio, è tornato a popolarsi di pesci al termine di anni di interventi di bonifica, ma dobbiamo renderci conto che fino a tutti i Settanta nei laghi lombardi e piemontesi è stato sversato di tutto).

 

“Attività non strategica”. Nonostante la camelia sia una pianta bellissima e molto resistente, le varietà adatte per la produzione di tè hanno bisogno di condizioni climatiche molto particolari. Il primo tentativo di impiantare coltivazioni in Italia venne fatto a Napoli alla fine dell’Ottocento, certamente sulla spinta dei tanti inglesi residenti. Andò malissimo. In anni recenti si è parlato di coltivazioni nella Lucchesia, ma ormai è a Premosello che si rivolgono i florovivaisti e anche le tante signore interessate a farsi il tè in casa con un procedimento semplice e, oggettivamente, molto simile a quello della produzione di cannabis, fumo escluso.

 

Una di queste, tenetevi forte, è la Regina Elisabetta, il cui vivaista scozzese di riferimento compra le piantine a Premosello. Un bel successo, se si considera che Zacchera è vivaista da un trentennio, ma coltivatore di camellia sinensis da meno di dieci: “Nel 2014 lessi uno studio degli anni Trenta dell’Università di Pavia per impiantare una coltivazione di tè sul Lago Maggiore, che già allora era ritenuto infatti il luogo migliore in Italia per avviare questa produzione in tempi di autarchia. Si partì con la sperimentazione ma lo scoppio della guerra interruppe il progetto”.

 

Da allora, ha viaggiato in Cina, Giappone e Turchia (“il paese dove le condizioni sono le più simili alle nostre”) per visitare coltivazioni e approfondire tecniche di lavorazione. “Il vivaismo è un’attività abbastanza aggressiva”, ammette, “ma la Francia prevede contributi quasi automatici per chi sceglie di convertire la produzione”, dice Zacchera, che a 67 anni, aiutato da una ventina di collaboratori, sta invece moltiplicando gli sforzi per ottenere dal ministero della Sanità il permesso di commercializzare il tè come bevanda: le piante sono giunte ormai all’altezza e alla maturazione necessarie, ma finora i raccolti, che possono arrivare a quattro-cinque all’anno, sono stati acquistati da una multinazionale per la produzione di oli essenziali (l’estratto di camelia è un potente disinfettante e una mano santa contro il raffreddore).

 

Il prezzo del tè può variare da 4 ai 4 mila euro al chilo. Lui, che mentre parla si china continuamente sulle piante, accarezza le gemme, scorge erbacce dove noi vediamo solo perfezione, avrebbe calcolato in 70 euro un prezzo equo. Questa capacità delle camelie di rinnovarsi continuamente (una pianta può arrivare ai novant’anni di vita), questa forza vitale della natura, è forse la vera ragione che spinse Marguerite de Crayencourt/Yourcenar a interessarsi a quel ragazzo che le scriveva come le “Memorie di Adriano” avessero modellato le sue scelte di vita.

 

“Invecchiando si comprende che la gioventù ha modo di rinascere parecchie volte, sempre in maniera inaspettata”, gli aveva scritto l’Accademica di Francia due anni prima di morire, in uno dei tanti biglietti a Paolo Zacchera e a sua moglie Ilaria (“Puccio”) che commentavano l’evolversi delle stagioni a Mount Desert o che annunciavano i suoi arrivi a Pallanza o la sua nostalgia per il lago, dove frequentava la petite bande di Zacchera, Paolo Ferrero e Alberto Falck, a cui la univa una lontana parentela attraverso la moglie, Cecilia di Collalto: “Io stessa, che ho cominciato a sentirmi vecchia tre mesi fa, sento ogni tanto affiorare in me, come fiori sotto la neve, sprazzi di giovinezza”.

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