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Consigli per Virginia Raggi sul blocco del diesel

Maria Carla Sicilia

Perché a Roma lo stop ai veicoli che non inquinano è meno utile per l’ambiente del lavaggio stradale

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Roma. Per contenere l’aumento stagionale delle polveri sottili nessuna città italiana aveva mai pensato di impedire la circolazione delle auto diesel euro 6 prima di Roma. L’inedita ordinanza del sindaco Virginia Raggi è dunque un caso destinato a fare scuola, anche se tutti i dati a disposizione suggeriscono che estendere il divieto di circolazione ai veicoli più nuovi sia una soluzione illogica e inefficace. Prima di impedire a più di un milione di automobili di circolare, come ha fatto l’ordinanza che blocca da quattro giorni tutte le auto a gasolio e quelle Euro 1 e 2 a benzina, la logica suggerirebbe infatti di procedere con alcune verifiche. Tentare di misurare l’efficacia della misura, innanzitutto, e poi vagliare possibili alternative che invece di pesare sui cittadini potrebbero essere attivate direttamente dal comune.

 

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La prima contraddizione che mette in discussione l’efficacia dell’ordinanza è quella di avere lasciato fuori dal divieto le auto a benzina dall’Euro 2 in su ma di avere penalizzato quelle diesel Euro 6, che hanno invece prestazioni ambientali migliori o uguali secondo gli standard europei di omologazione che ne limitano le emissioni. Un paradosso che non si verifica in nessuna delle città dove in questi giorni sono attive le limitazioni del traffico. A Milano il blocco dei diesel Euro 6 è previsto gradualmente dal 2024 e solo nell’area B, a Bologna e Torino invece possono circolare anche durante le domeniche ecologiche. E questo non perché il problema della qualità dell’aria non sia preso altrettanto seriamente in considerazione, ma perché in termini di benefici impostare il blocco “alla romana” non ripaga. Secondo i calcoli di Unione Petrolifera, il peso delle emissioni di ossidi di azoto (NOx) delle auto diesel Euro 5 e 6 che circolano a Roma, più di 300 mila veicoli, è pari all’1,3 per cento del totale. Nel caso del particolato (PM10), si tratta invece dello 0,15 per cento del totale, 30 kg/giorno rispetto ai 20 mila kg emessi da tutti i settori, tra i quali appare predominante, almeno in inverno, quello del riscaldamento civile. Un contributo modesto insomma, che non giustifica il blocco imposto, soprattutto a fronte delle alternative che il trasporto pubblico della Capitale offre ai romani obbligati a lasciare in garage le proprie automobili. Non solo metro che fermano a singhiozzo, ma anche autobus più vecchi dei veicoli privati a cui è impedita la circolazione. La flotta dei mezzi Atac ha infatti un’età media di 12,4 anni e anche tra gli ultimi acquisti continuano a esserci autobus a gasolio. Curioso e poco coerente per un’amministrazione che all’occorrenza mette al bando anche i motori diesel più efficienti, almeno quelli dei privati.

 

 

Che siano autobus o automobili, l’altro aspetto da tenere in considerazione è quello della pulizia del manto stradale su cui i veicoli transitano. Un lavoro che spetterebbe ad Ama, già in affanno per la complicata gestione dei rifiuti che nella Capitale non trova soluzione. Non si tratta di un intervento risolutivo di per sé, anche perché il lavaggio agisce sulla sola frazione di particolato che si solleva, cioè delle polveri depositate al suolo, e non sull’ossido d’azoto. Ma è comunque una misura che un’amministrazione può disporre limitando i divieti imposti alla mobilità privata, soprattutto in casi straordinari come questi in cui si chiede uno sforzo massimo, tanto da fermare anche veicoli che emettono quote marginali di emissioni. Come ha evidenziato Unione Petrolifera nella sua nota, la città di Stoccarda è riuscita a ridurre del 60 per cento il superamento delle concentrazioni giornaliere di PM10 triplicando il numero di giorni di lavaggio delle strade. Anche Torino, per fare fronte allo sforamento dei valori registrati in questi giorni, ha disposto dei cicli di lavaggio straordinari. Ma già garantire che queste operazioni siano svolte in via ordinaria potrebbe fare la differenza, mentre a Roma la spesa destinata a questa attività è andata a diminuire dal 2012 a oggi, passando da 161 milioni di euro a 125, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali di Roma Capitale. Dev’essere difficile tenere il polso in situazioni straordinarie, se già nella gestione dei servizi ordinari le cose non vanno troppo bene.

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