La tragedia di Casteldaccia, ennesima occasione perduta contro l'abusivismo
In Sicilia l'edilizia selvaggia e il consenso politico si intrecciano nel dramma del dissesto idrogeologico
Tutti a gridare allo scandalo davanti alla villetta di Casteldaccia, trappola abusiva per nove persone. Tutti a chiedersi come sia potuto accadere che una casa venisse costruita accanto a un fiume. Già, com'è possibile. Uomini, donne, figli, nipoti travolti da un piccolo corso d'acqua che si fa impetuoso. Nulla aveva fatto finora presagire che il Milicia, così si chiama il fiume, potesse uccidere. Si è sottovalutato il rischio, ci si è voltati dall'altra parte, facendo finta di non vedere. Ora tutti scoprono quello che in Sicilia si conosce da sempre. E cioè che si è costruito troppo e male, in barba alle più elementari regole del buon senso. E allora sì, che la tragica storia di Casteldaccia diventa emblematica.
Questa la fredda cronaca. Due signori costruiscono la casa abusivamente. Il Comune li scopre e intima la demolizione nel 2008. I proprietari fanno ricorso al Tar che nel 2011 dichiarata estinta la causa. Né il Comune, né i proprietari si sono costituiti in giudizio. D'ora in poi la vicenda si fa paradossale. Nel 2011 il Comune diventa proprietario della villetta, ma non la fa abbattere e neppure incassa le indennità di occupazione. I vecchi proprietari continuano a gestire l'immobile come se fosse roba loro. La affittano alla famiglia Giordano che sarà sterminata dentro la trappola abusiva nella sera in cui, che macabra coincidenza, in Sicilia si commemorano i defunti festeggiando e mangiando dolciumi. Quei dolciumi che hanno salvato la vita ad altre tre persone – un uomo e due bambini – usciti poco prima della tragedia per andare in pasticceria. Un quarto uomo è scampato alla furia dell'acqua aggrappandosi a un albero.
Di sicuro a Casteldaccia ci sono trentuno immobili da abbattere per i quali l'ordinanza di demolizione non è stata messa in esecuzione, tanto che la procura regionale della Corte dei Conti ha chiesto i danni a sindaci e burocrati del Comune in provincia di Palermo.
Mentre si piangono le vittime, si indaga per accertare le responsabilità. Si è attivata la magistratura. Ed ecco il dramma di una terra, la Sicilia, dove per intervenire si attende il lavoro delle procure. Nel frattempo restano inascoltati gli appelli degli esperti. I geologi parlano di “un sistema di gestione e pianificazione territoriale ormai obsoleto e non più efficace nella prevenzione e nella gestione del dissesto idrogeologico”. L'Ordine che raggruppa i professionisti siciliani del settore urlano che “le molteplici richieste inoltrate reiteratamente al governo e a tutti i livelli delle amministrazioni locali per una radicale azione di contrasto al dissesto idrogeologico non hanno ottenuto nessun provvedimento concreto. Tutto questo è inaccettabile”.
Il presidente della Regione, Nello Musumeci, spiega che "sono decenni che gli alvei dei fiumi dei torrenti non vengono puliti” e annuncia una svolta. È giusto concedere un titolo di credito anche a lui che guida la Regione da un anno, ma occorrerebbe lasciarsi alle spalle la logica che la colpa è sempre di chi ci stava prima. È vero, però, che ci sono enormi responsabilità da parte di chi ha lasciato inevase oltre sei mila ordinanze di abbattimento di immobili; di chi dagli anni Ottanta a oggi ha fatto accumulare oltre 700 mila richieste di sanatoria. Sono pochissimi gli esempi di sindaci che hanno fatto davvero una battaglia contro l'abusivismo. Ci ha provato Angelo Cambiano, minacciato di morte e sfiduciato. Ci è riuscito Pino Virga, neo sindaco di Altavilla Milicia, confinante con Casteldaccia, che ha abbattuto una dozzina di villette sul mare. Casi isolati, però. In Sicilia la regola è non abbattere e i motivi sono molteplici. Innanzitutto è difficile ottenere consenso elettorale quando si annuncia tolleranza zero contro l'abusivismo. E poi c'è la paura, che va comunque tenuta in considerazione, se si lascia l'amministratore di un piccolo centro condurre la battaglia in solitario. Infine, mancano sempre i soldi per fronteggiare costose demolizioni. Se non si mette mano a tutto questo la tragedia di Casteldaccia sarà l'ennesima occasione perduta per voltare pagina, mentre si piangono nove vittime. La più piccola aveva un anno.