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La gogna social per la mamma emiliana e la nostra incapacità di tacere

Marco Archetti

La rete come assise permanente del giudizio di chi non sa nulla

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"Il problema è chi le ha permesso di essere madre". E giù, a valanga, vistose emoticon, cuori rossi, saette moraleggianti multiesclamative, hashtag sofferenza, “io non la conosco ma”, critiche feroci, epiteti grossolani ed epigrammi sentimentali in calce a esplosioni di rabbia digitata in situ senza imbarazzo. E poi sassate, insulti, sragionanti appelli e identificazione sbrigativa dei “veri responsabili” – segue elenco – in merito al fatto che una donna con un malessere depressivo possa uno avere figli, due tenerli, tre star da sola con loro. Quindi sguaiati litigi e “appoggio la tua opinione”, appelli alla moderazione e “rogooo!”, diagnosi psicanalitiche fulminanti per avventatezza e semplicismo (“se ci fate caso era una modella, si è data delle coltellate sulla pancia e ha ucciso i suoi figli, vuol dire che a causa dei figli non ha potuto continuare a fare quel che voleva…”) e avvilenti epifenomeni derivanti da ancor più avvilenti fenomeni principali, di tavole rotonde da tre righe a opinione, infiammate intorno a quesiti del genere “è una donna malata o un’assassina? è imperdonabile o può essere giustificata?”. A un certo punto, nel flusso degenere, tra immagini di fiori bianchi, emoticon di angeli e vampe infernali, spunta una clip YouTube tratta da “Gesù di Nazareth”, postata da chi, forse, in teoria, vorrebbe prendere le distanze dal vespaio e ammonire alla cautela con un semplice “chi tra di voi è senza peccato scagli la prima pietra” ma, parte egli stesso del vespaio, non si è potuto render conto che, amalgamata al torbidume del flusso, la sua stessa intenzione diviene risultato grottesco, esito irragionevole e partecipe quanto il resto di questo anticodice cui tutto si conforma, dello sversamento emotivo, del mezzo scatenato più del messaggio, della preoccupante obbligatorietà dell’azione veniale.

 

L’account Facebook di Antonella Barbieri – la donna di Reggio Emilia che ha ucciso i due figli di 2 e 5 anni e poi ha tentato il suicidio – preso d’assalto in queste ore, ci scatta una fotografia davvero impietosa. E ci mette anche troppo a fuoco. Sarà che il tema della madre scatena furie primarie, cavernose e ancestrali. Sarà che il bisogno da cui siamo vinti, di tenere sempre il polpastrello caldo, genera commenti rovinosi che eccitano rovina. Sarà tutto questo e sarà molto altro, tv del dolore pomeridiana compresa, ma visitarlo e leggerne i commenti è terribile. Perché è profondamente pornografico. Lo è nella sconcezza delle frasi e nel gesto sempre sproporzionato, lo è per l’orgia di persone che rilasciano esibizionisticamente la propria materia opinante e per la fiera sciagurata, ignara di sé e delle inevitabili derive, che deriva continuamente sotto i nostri occhi – una fiera dove sembra normale scrivere messaggi che, giudicando senza conoscere la realtà dei fatti, lamentano che la nostra società “è sempre pronta a giudicare senza conoscere la realtà dei fatti”, dando luogo, così, a un’inquietante metafisica dell’ignarità.

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Scorrendo i commenti sembra di udire i latrati dell’orda, la collera delle mute umane che, in spregio di ogni complessità, sentono sempre il premere di un assillo: dover decidere, seduta stante e come se qualcuno lo pretendesse, se condannare o scagionare, se piangere o strepitare, se essere pro o essere contro. Il risultato è che, nella rumorosa sagra dell’orrido, assuefatti ai decibel del pluritribunale sommario, quel che colpisce è la quantità di sommessi “concordo” seminati qua e là. Il diavolo (quello del giudizio altrui, dell’onniscienza social e della scellerata disinvoltura) sta proprio nei dettagli di queste opinioni, che confermano altre opinioni, che si solidificano in sentenze. E’ nella necessità di esserci per digitarlo, quel “concordo”, che muore la sana percezione della propria inopportunità, della propria incongruità: quale sarà mai il tema su cui concordare o su cui discordare sempre? Su cosa urge registrare, giorno sì e giorno sì, la propria opinione?

 

E’ così che la rete diventa l’assise permanente del nostro giudizio, giurisprudenza perpetua di chi getta sempre la propria drastica luce accecante e non sente alcuna sacralità, nella fattispecie quella di tacere davanti alla tragedia dell’Oscurità.

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