Claudio De Vincenti, Federica Guidi (foto LaPresse)

Il mezzo reato inesistente dietro alla gogna di Tempa rossa

Annalisa Chirico

Il “traffico di influenze”, che ha rovinato reputazione e carriere di Guidi e De Giorgi, è una boiata pazzesca

Roma. Fino a che il gip non avrà disposto l’archiviazione, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi non intende concedersi alla stampa: “La rimando gentilmente al mio avvocato”. Non è più loquace l’ex ministro Federica Guidi: “Dopo la tempesta che mi ha travolto, non rilascerò dichiarazioni pubbliche per i prossimi dieci anni. Voglio fare la mamma ed essere lasciata in pace”. Chi ha patito il chiasso mediatico-giudiziario, esige silenzio. S’intrattiene invece con la cronista, e di buon grado, l’avvocato Pietro Nocita, veterano del Foro, direttore scientifico della storica rivista La giustizia penale e presidente della sezione La Terza Roma dell’Associazione mazziniana italiana (“Dopo quella imperiale e dei Papi, c’è la Roma repubblicana. Lo scriva, per favore”). Andiamo al processo che non sarà celebrato, all’inchiesta che si apre e si chiude sui giornali, zero udienze: la procura di Roma ha richiesto l’archiviazione per i principali indagati, la Guidi, l’ex compagno Gianluca Gemelli e il capo di stato maggiore della Marina, oggi in pensione. “E’ come se Tizio è indagato di omicidio, peccato che manchi il morto. Ha capito? Il morto non c’è!”. L’avvocato Nocita non parla, declama. Scandisce solennemente ogni sillaba e poi si assicura che l’interlocutrice abbia compreso. “Non è per lei ma io ho scarsa fiducia nella capacità di comprendonio di voi giornalisti”. Si figuri, per così poco.

Nocita difende l’ammiraglio mascariato sulle prime pagine dei giornaloni appena un anno fa e oggi citato in un discreto boxino a pagina 11. Il fatto che l’inchiesta su Tempa rossa, partita con i fuochi d’artificio a Potenza e trasferita per competenza a Roma, si sciolga come neve al sole è una notizia che non fa notizia. “L’ipotesi di reato si è rivelata del tutto infondata – prosegue Nocita – Quando lo scorso aprile ci siamo recati spontaneamente a Potenza per essere ascoltati dal pm, ho presentato una istanza motivata di archiviazione eccependo l’insussistenza assoluta delle accuse. L’ammiraglio era accusato di abuso d’ufficio, reato tipico che si perfeziona attraverso un atto del proprio ufficio. Nel caso di specie però non è mai esistito alcun atto, De Giorgi non aveva mai avuto rapporti con Siracusa e con il porto di Augusta, non esisteva una concessione né un atto della Marina che riguardasse un qualche soggetto o una qualche società di quel porto. Una vicenda surreale che non poteva che concludersi così. Mancava il morto!”. Colarono fiumi d’inchiostro attorno alla fantomatica accusa di aver favorito la nomina del presidente della Port Authority al fine di avvantaggiare l’allora compagno del ministro, in procura e a Palazzo Chigi fu persino recapitato un dossier anonimo infarcito di calunnie per offuscare la specchiata reputazione dell’alto ufficiale.

“Abbiamo querelato diversi quotidiani, inclusi il Corriere della Sera e La Repubblica. In quei mesi c’era una bordata giornalistica quotidiana, l’ammiraglio ha vissuto con il patema d’animo per il rischio concreto di essere destituito senza aver commesso la minima infrazione. A giugno è andato in pensione per sopraggiunti limiti d’età in un clima che ha precluso qualunque eventuale proroga. Oggi è un pensionato a tempo pieno benché i colleghi, con gradi e percorso analoghi al suo, abbiano ottenuto altri incarichi. Io non intendo addentrarmi in riflessioni sulle alchimie politiche superiori, non le conosco. Noto sommessamente che dal giorno successivo al suo ritiro la vicenda è caduta nel silenzio e il suo nome nell’oblio”. Per la verità gli effetti politici non sono stati meno dirompenti: l’inchiesta piomba come un macigno a due settimane dal referendum sulle trivelle, un ministro si dimette, un altro – Maria Elena Boschi – viene sentita in grande stile a Largo Chigi come persona informata dei fatti. “Voi giornalisti avete enormi responsabilità. Quando si apprende dell’inchiesta, i giornali riportano la qualunque, volano accuse di associazione per delinquere e traffici vari. Consiglio al mio assistito di andare a Potenza per rendere spontanee dichiarazioni, durante il colloquio il procuratore chiarisce che l’ammiraglio è indagato esclusivamente per abuso d’ufficio, nessun’altra incolpazione a suo carico. All’uscita mi prendo la briga di spiegarlo ai cronisti, c’è il video in Rete, io dico espressamente: l’ammiraglio è indagato sol-tan-to per abuso d’ufficio. All’indomani i quotidiani riportano in blocco che c’è l’associazione per delinquere!”. Per Federica Guidi il salto da ministro a “sguattera” è un attimo.

Sulla Stampa compaiono le intercettazioni telefoniche più succulente, a zero rilevanza penale ma ad alto tasso scandalistico. Si ciarla di sguattere guatemalteche, di tempo che passi con i tuoi figli piuttosto che con il nostro, aspetti privatissimi, instabilità di rapporti comuni a ogni coppia, recriminazioni viscerali, umane, che da un giorno all’altro condiscono talk-show e approfondimenti giornalistici. “Voi vi fareste trattare in tal guisa dal vostro compagno? Tanto più se siete un ministro?”, la spettatrice rimane perplessa, posa lo sguardo sul cane e riflette: da domani a urinare lo porta lui. Già allora dalle colonne di questo quotidiano si metteva in guardia da quella “boiata pazzesca”, copyright di Tullio Padovani, che è il traffico di influenze, reato dalla consistenza criminosa inafferrabile, arma letale nelle mani del potere togato per colpire i “comportamenti prodromici” della corruzione senza che un atto corruttivo sia stato effettivamente commesso. In un volume snello e arguto dal titolo “Trafficante sarà lei!” (Bonanno editore, 113 pp), Massimo Micucci e Santo Primavera squarciano il velo dell’ipocrisia sui pericoli di una normativa evanescente in assenza di una regolamentazione adeguata dell’attività lobbistica. “La politica industriale – si legge - non può essere degradata in blocco a traffico di influenze. C’è la tendenza a considerare le attività economiche di per sé un indizio di reato, e le scelte politiche che le favoriscono come sintomo evidente di malaffare. Così invece si è introdotto un mezzo reato, una scatola vuota che il magistrato potrà riempire a suo piacimento”.

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