Fausta Bonino (foto LaPresse)

L'infermiera e i killer

Annalisa Chirico
Intervista a Fausta Bonino da Livorno, che spiega come “i giornali mi hanno trasformato in un mostro senza diritto di replica”. Oggi la decisione della Corte di Cassazione sulla sua scarcerazione.

Si attende per questa mattina la decisione della Corte di Cassazione: la signora Fausta Bonino, l’infermiera di Piombino, potrebbe tornare in carcere. Teoricamente, è possibile. Inizia intorno alle ore 10 l’udienza con cui la Corte suprema si pronuncia sul ricorso del sostituto procuratore di Livorno, Massimo Mannucci, contro la scarcerazione della Bonino decisa dal tribunale del Riesame di Firenze lo scorso aprile. Dopo 21 giorni di carcerazione preventiva, e di gogna mediatica. “L’accanimento nei miei confronti è palese. Io vorrei soltanto riprendere la mia vita e il mio lavoro”. L’estate l’ha trascorsa così, rintanata nella casa di Rio Marina sull’isola d’Elba, con la compagnia esclusiva del marito Renato e dei due figli. “Mi hanno gettato il marchio dell’infamia. Io sono innocente e i responsabili di quelle morti sono a piede libero”. Se la Cassazione desse ragione alla procura, per lei si potrebbero riaprire le porte del carcere.  Il ricordo del 31 marzo scorso quando la signora Bonino, 56 anni, fu tratta in arresto, punge l’anima. “Qualche mese fa – racconta – facevo zapping con mio marito. Per caso ho visto su Rai2 un uomo che non conoscevo e che ripeteva: ventuno giorni di carcere, c’è di peggio in Italia, c’è gente che si è fatta vent’anni di galera… Ho capito che si parlava di me. Renato ha afferrato il telecomando ma io ho insistito, volevo ascoltare. ‘E’ un errore fisiologico’, ripeteva quell’uomo. Mi sono sentita morire dentro”. Il programma televisivo è Virus, conduce Nicola Porro, l’uomo cui fa riferimento la signora Fausta si chiama Alfonso Sabella, magistrato, già assessore alla legalità di Ignazio Marino.

 

“Per qualcuno saranno pure pochi ma a me quei ventuno giorni hanno distrutto la vita. Un innocente non dovrebbe restare neanche un’ora dietro le sbarre. La donna che ero se n’è andata per sempre. Io non mi sento un errore fisiologico, mi considero una persona violentata dallo stato”. Quando lo scorso 20 aprile il Riesame ordina la sua scarcerazione, la diretta interessata lo apprende dai giornali. Allora raccoglie i pochi effetti personali in un sacco e telefona al marito: “Vieni a prendermi”. I tre giudici del riesame sono gli stessi che negarono il carcere per capitan Schettino incuranti del clamore mondiale per il disastro della Concordia. Le motivazioni della loro decisione vanno ben oltre la fisiologia del processo. “Gli indizi contro l’infermiera Fausta Bonino non sono connotati da gravità, precisione e concordanza”. E ancora: “I carabinieri del Nas avrebbero concentrato gli sforzi investigativi solo nel senso di riscontrare tale ipotesi senza indagare ad ampio raggio”. L’unica certezza sono le tredici morti sospette nel reparto di rianimazione dell’ospedale Villamarina di Piombino. “Il gip si è limitato a un copia e incolla delle suggestioni della procura – rincara l’avvocato Barghini, seduta accanto alla signora Bonino – I riscontri dei nostri periti sono inequivocabili: alcune persone sono morte a causa di un errore medico, e le responsabilità colpose, non dolose, sono state coperte da un patto di silenzio. Per questo l’allarme è stato dato in modo tardivo. Il presunto killer in corsia è un’invenzione mediatica, esistono dei responsabili che non sono stati indagati e, per giunta, hanno aiutato la procura a indagare sul conto della mia assistita al fine di concentrare i sospetti su di lei”. Fausta riprende la parola, come se si fosse destata da un turbine di torva inquietudine. “La direzione sanitaria sa che io sono innocente. Io non ho mai fatto del male a nessuno. Le prove contro di me sono state confezionate al solo scopo di incastrarmi per nascondere le responsabilità dei piani alti. Dovrebbero chiedermi scusa i direttori, la caposala, i pm e i Nas. Invece resto l’unica indagata e non posso tornare a svolgere il mio mestiere. Come si può infierire così contro una persona?”.

 

Lei è stata arrestata sulla base di un sospetto. “Quando mi hanno ricoverato, io non ci credevo”. Ricoverato, in che senso? “Volevo dire arrestato. Non riesco a pronunciare quella parola. I giornali mi hanno trasformato nel mostro senza diritto di replica, sono diventata per il mondo intero l’infermiera killer che somministrava eparina a cuor leggero. Hanno costruito un giallo attribuendomi conversazioni immaginarie, confondendo la mia voce con quella di un’altra persona. Hanno dato valore a elementi insignificanti dal momento che tutti sapevamo di essere attenzionati dall’autorità giudiziaria. Mi hanno arrestato dopo che ero stata allontanata dalla corsia. Che bisogno c’era? E’ giustizia questa?”. Me lo dica lei. “Prima io mi fidavo della giustizia. Ora dico che questo sistema, così com’è, non funziona, non tutela abbastanza i cittadini. Penso non solo a me e a quello che ha patito la mia famiglia, ma pure alle vittime e ai loro familiari, alla disperazione per la mancanza di risposte”. In effetti, il circo mediatico giudiziario ha funzionato alla perfezione. “Io non ho mai letto un titolo di giornale, mio marito ha raccolto i ritagli di stampa in una scatola e mi proibisce di aprirla. Credo che potrei morirne. Intanto imparo di nuovo a convivere con il silenzio. Appena uscita dal carcere, ne avevo paura”. In che senso? “Il carcere è un trauma, per me la peggiore umiliazione di una vita intera. All’ingresso ti ordinano di spogliarti e ti ispezionano l’intestino con un dito… ha capito che intendo”. Oltre che con il silenzio, Fausta ha ripreso confidenza con il sonno, da qualche settimana assume soltanto i farmaci antiepilettici che secondo la procura avrebbero innescato una depersonalizzazione all’origine dei propositi criminosi. “C’è stato un istante in cui ho dubitato di me stessa. L’ho confidato a mio marito: sarà mica, Renato, che ho fatto qualcosa che non ricordo? Per fortuna è durato un istante. La pressione che avevo addosso era insostenibile. Adesso quando guardo un telegiornale non credo più a niente. Sono perennemente assalita dal dubbio che la verità sia un’altra”. Allo stato dell’arte Bonino rimane l’unica indagata. “Indagato non vuol dire colpevole. Fino a prova contraria, io sono innocente, lo dice la Costituzione. Quando la mia posizione sarà archiviata, lei pensa che qualcuno mi chiederà scusa?”.

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