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C’è vita nel centrodestra, dottor Parisi?

Redazione
Nonostante le urla di Salvini e il gelo dei colonnelli di Fi, il manager designato dal Cav. ha lanciato il suo progetto unitario. Vasto programma.
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Il momento attuale è il più propizio al centrodestra che si sia presentato da almeno due anni a questa parte. Giovanni Orsina: «Mai l’azione di governo di Renzi era apparsa così appannata, né mai il Movimento 5 stelle s’era dedicato così intensamente, e con così straordinario successo, all’autolesionismo. L’interesse per il convegno organizzato da Stefano Parisi dipende anche da questo» [1].
 
 
«Non vogliamo essere una setta, vogliamo mandare un messaggio agli altri partiti del centrodestra: solo uniti si vince. Vogliamo costruire le fondamenta del liberalismo popolare, è vero che quel famoso credo delle libertà del ’94 era un grande manifesto liberale in cui gli italiani hanno creduto. Quella spinta nel tempo si è un po’ persa. Quelle politiche vanno riprese e aggiornate». Questo è stato il messaggio finale di Stefano Parisi dal palco di “Energie per l’Italia”, la convention che si è svolta venerdì e sabato scorso all’ex capannone industriale Megawatt di Milano [2].
 
 
Prima dell’estate Berlusconi ha benedetto la discesa in campo del manager affidandogli la due diligence di Forza Italia. Barbara Fiammeri: «Del resto il leader di Fi per il momento preferisce rimanere alla finestra per verificare “l’effetto che fa”. Nessuna sorpresa invece per la mancata partecipazione dello stato maggiore di Fi. Che Toti, Romani, Brunetta e Gasparri guardino con occhio non particolarmente benevolo l’iniziativa di Parisi (e soprattutto l’endorsement di Berlusconi) non è un mistero» [3].
 
 
Primo obiettivo di Parisi: riportare la nuova Forza Italia (o quella che diventerà anche nel possibile nuovo nome) attorno al 20%. Amedeo La Mattina: «Da quella posizione di forza sarà possibile trattare con Salvini e Meloni. E se poi Renzi dovesse scivolare sul No al referendum, allora ok al governo di scopo per fare la legge elettorale e magari qualcos’altro. Cosa che non vogliono Salvini e Meloni, sarebbe “inciucio”. Posizione che tra l’altro condivide l’altro oppositore all’“operazione Parisi“, ovvero Toti» [4].
 
 
Stefano Folli: «Sono note le qualità di Parisi, un “manager” che conosce la politica e le sue regole. Ma lui è il primo a sapere che non siamo più nel 1994, quando il crollo del sistema permise a un abile imprenditore delle televisioni di presentarsi come il leader liberale che in realtà non vorrà né saprà mai essere. Il buon senso e il pragmatismo di Parisi sono doti preziose, ma oggi rimettere in piedi un’area politica distrutta è un compito immane. Non basta avere qualche buona idea in politica interna e internazionale. Bisogna avere la tempra per fare e vincere una serie di battaglie realmente liberali, senza paura di scontentare – quando è il caso – intere categorie di elettori e di intaccare sacche di privilegio consolidato. Nessuno infatti può credere che quei dieci milioni di voti che Parisi vuole ritrovare siano tutti di liberali delusi» [5].
 
 
Contemporaneamente alla convention di Parisi si è svolto il tradizionale raduno leghista di Pontida. Alberto Mattioli: «A parte “buongiorno”, la prima frase che pronuncia Stefano Parisi è un omaggio a Carlo Azeglio Ciampi. E il solco già larghissimo con l’altra metà del centrodestra, quella leghista, diventa subito una voragine. Poche ore prima, da Pontida, a cadavere ancora caldo, Matteo Salvini aveva tacciato di “traditore” il Presidente emerito. E qui c’è già tutta la differenza, politica, di stile e perfino antropologica fra le due destre che giocano a distanza il loro derby» [6].
 
 
Orsina: «Proprio perché barbara, l’uscita di Salvini su Ciampi ha funzionato come meglio non avrebbe potuto: s’è guadagnata grande rilievo su tutti i siti di informazione.  Questo meccanismo – ben noto e sperimentato, basti pensare a Donald Trump – crea un’asimmetria comunicativa evidente fra il centrodestra responsabile e moderato alla cui costruzione vuol lavorare Parisi e il populismo leghista. Un’asimmetria destinata a durare, per altro, visto che i mass media non pare diano segno di voler modificare il loro modo di trattare le notizie, né gli italiani di voler punire nelle urne quelli che urlano troppo. Al contempo, l’uso intensivo del “metodo Salvini” allarga la frattura fra destra e centrodestra ben al di là delle loro reali divergenze programmatiche, e rende quindi più difficile un’alleanza che, soprattutto se al referendum dovesse vincere il sì, sarebbe comunque inevitabile» [1].
 
 
«Meglio soli che con gente come quella presente alla sua convention. Non chiamatelo più centrodestra, è una parola che mi fa venire l’orticaria» (Salvini da Pontida) [4].
 
 
Personaggi avvistati alla convention di Parisi, in ordine sparso: Formigoni, Mauro, Amicone, gli ex sindaci Pillitteri e Albertini, Gandolfini (quello del Family day), Catricalà, Franco Debenedetti con vistosa spilla “Io voto Sì”, Scajola, Micciché, Francesco Giro con in mano il libretto berlusconiano L’Italia che ho in mente, Lupi, Sacconi e altri alfaniani sparsi, Tiziana Maiolo, l’economista Veronica de Romanis, Gelmini, Gualmini, Razzi [6].
 
 
Carmelo Lopapa: «Il “Per” campeggia cubitale e azzurro fra i tre maxi schermi che fanno da quinta al palco montato nell’ex capannone industriale molto trendy. Qualcuno sostiene possa essere perfino il nome del nuovo soggetto politico. La platea è la più composita e variegata che sia stata messa insieme negli ultimi anni. Ne viene fuori un ibrido, un po’ Leopolda di destra, un po’ salotto meneghino zona via Magenta e tanta Comunione e Liberazione in cerca di casa» [7].
 
 
Prima ancora di esordire Parisi ha collezionato due contrapposti record, fa notare Marcello Sorgi: «Ha molti, perfino troppi, avversari, più o meno espliciti, posizionati dalla sua parte; e ha ricevuto un numero imprevedibile di incoraggiamenti bipartisan, segno che nell’Italia dominata dall’incubo populista è crescente la voglia di un centrodestra “normale”, in grado di contrapporsi all’attuale centrosinistra e di ristabilire l’equilibrio bipolare di cui c’è in giro un’esagerata (almeno pensando a come in realtà funzionava) nostalgia» [8].
 
 
C’è poi il problema del rapporto con Renzi. Sabato scorso Parisi c’è andato giù parecchio duro: «Abbiamo ora un maestro delle furbizie tattiche e questo ci costringe a una vita soffocata. Renzi non è un rischio per la nostra democrazia ma per la nostra economia. Non c’è il pericolo di un colpo di Stato, ma della morte del Paese che è molto più grave» [2].
 
 
Folli: «Per Parisi la prima prova è la posizione sul referendum e la legge elettorale. Ora il No è stato affermato con una certa decisione, dopo varie titubanze, ma resta da capire se il leader designato riuscirà a mettere ordine nel caos del centrodestra dove solo pochi (Brunetta fra tutti) si sono battuti fin qui contro la riforma renziana. Anche sulla legge elettorale Parisi dovrà prendere una linea, anziché limitarsi a lasciare la palla nel campo di Renzi per vedere come se la cava. Non basta dire che non si faranno accordi sottobanco con il presidente del Consiglio. Dopo il referendum il quadro cambierà in modo radicale a seconda che il premier esca vittorioso o sconfitto dalle urne» [5].
 
 
Facci è uscito dalla convention di Parisi con l’impressione che il progetto sia ancora molto vago: «Forse quest’ansia da decrittazione è uno stupido riflesso giornalistico: il profilo più difficile da catturare, a ben pensarci, potrebbe essere proprio quello della normalità: il celebre Paese normale di centrodestra, anzi, il Paese normale e basta. Quello che votava Berlusconi e che ora vota Renzi, ma che era, più o meno, lo stesso Paese. Difficile intrappolarlo nell’urna, difficile intrappolarlo qui, difficile credere che sia solo un jingle berlusconiano, o un circolo del buongoverno, o un club di Forza Italia, o una militanza da Family Day, o un destrismo da borgatari, o un Ulivo di centrodestra. Difficile sapere o capire quanto sia qui, questo pomeriggio, in culo ai lupi, a Famagosta. Ma c’è. Stefano Parisi lo evoca e il mistero continua».
 
 
Note: (tutte dai giornali del 17/9): [1] Giovanni Orsina, La Stampa; [2] Corriere.it; [3] Barbara Fiammeri, Il Sole 24 Ore; [4] Amedeo La Mattina, La Stampa; [5] Stefano Folli, la Repubblica; [6] Alberto Mattioli, La Stampa; [7] Carmelo Lopapa, la Repubblica; [8] Marcello Sorgi, La Stampa; [9] Filippo Facci, Libero. 
 
 
Apertura a cura di Luca D'Ammando
 
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