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Editoriali

La caccia agli scafisti “con le mani sporche di sangue” è solo un alibi

Redazione

Come dopo ogni strage di migranti, la classe politica accusa il famigerato “trafficante di esseri umani”. Una ricerca del colpevole che si risolve spesso nel guardare il dito piuttosto che la luna

Come sempre dopo una strage di migranti, anche dopo quella di Cutro la classe politica italiana si è prodigata in dichiarazioni di condanna contro i responsabili. Ecco allora che oltre a puntare ossessivamente il dito contro l’Europa, si è soliti ribadire l’urgenza di identificare il famigerato “trafficante di esseri umani”, meglio noto come “lo scafista”. Oltre alla premier Giorgia Meloni, anche i ministri Matteo Piantedosi e Guido Crosetto hanno espresso la loro condanna, del tutto condivisibile, delle reti del traffico di uomini. Eppure, la ricerca del colpevole, colui che ha “le mani sporche di sangue”, si risolve spesso nel guardare il dito piuttosto che la luna.

 

Gli scafisti sono solamente l’ultimo ingranaggio di una rete criminale internazionale molto più grande e strutturata. Nel caso della rotta ionica, da anni si indaga sulla collaborazione fra mafia turca e ’ndrangheta. Un sistema che va ben oltre il singolo timoniere dei barconi e che negli anni ha permesso di accumulare centinaia e centinaia di milioni di euro. Se i trafficanti di esseri umani si arricchiscono fra le due sponde del Mediterraneo è perché non esistono vie legali per entrare in Europa. Laddove c’è un muro, ci sarà sempre qualcuno che permetterà ai migranti di aggirarlo in modo illegale.

 

Due settimane fa, all’ultimo Consiglio europeo, per la prima volta alcuni stati hanno proposto di finanziare con i fondi comuni la costruzione di muri e barriere esterne. Per ora non è stato raggiunto un accordo su quella che sarebbe una pietra angolare della Europa-fortezza, ma ci si è impegnati comunque a dare più soldi a Frontex, l’agenzia europea tristemente nota per limitarsi a osservare passivamente con i suoi velivoli le tragedie che si compiono in mare oppure per favorire i respingimenti illegali. L’ipocrisia di fondo nella “caccia al trafficante” è che la prosperità delle reti criminali è diretta conseguenza della fortezza che passo dopo passo ci siamo costruiti attorno e che facciamo finta di non vedere.

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