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L’antimafia delle fake news

Massimo Lugli

 Bufale da smontare su Pasolini e la banda della Magliana

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“L’omicidio di Pasolini legato al furto della pellicola di Salò. Coinvolta la banda della Magliana”. Una su due è una bufala clamorosa. Detta così, la notizia fa drizzare i capelli a qualsiasi cronista di nera, magistrato o poliziotto che abbia un minimo di conoscenza della storia della mala romana. Accusare la gang più celebrata d’Italia, raccontata magistralmente da Giancarlo De Cataldo, celebrata in film, serie tv e perfino opere teatrali, dell’assassinio del poeta è come puntare il dito su Jack The Ripper per la morte di Giulio Cesare.

 

Il 2 novembre 1975, quando il registra fu ammazzato su uno spiazzo incolto dell’Idroscalo, la banda del Freddo, del Dandy e del Bufalo non esisteva ancora. La prima azione criminale dei “Bravi Ragazzi”, il dilettantesco sequestro e l’omicidio del duca Massimiliano Grazioli, risale al 7 novembre del 77, il primo delitto come organizzazione criminale fu l’agguato a Franco Nicolini, detto Franchino er Criminale, freddato a raffiche di mitra nel suo regno, l’ippodromo, il 25 luglio del 78. Ma per arrivare ai fasti della “Stecca para”, del “Pijamose Roma” e del coinvolgimento più o meno millantato con mafia, camorra, d’ndrangheta, servizi segreti, oscuri intrighi e trame mai accertate bisognerà aspettare i primi, ruggenti, anni 80.

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Ma prima di analizzare le conclusioni della commissione presieduta dal senatore Nicola Morra e del comitato che si è occupato del giallo Pasolini, guidato dalla deputata Stefania Ascani, che sono molto più articolate di quanto faccia pensare un titolo d’agenzia, è il caso di fare un salto nel passato. Nelle strade insanguinate di una Capitale oscura, frastornata, spaventata. A Roma, già da due anni, si sono insediati i Marsigliesi, la terribile banda delle Tre B  che, sfuggita alla guerra tra cosche di Marsiglia, ha importato in Italia i business dell’eroina e dei sequestri di persona: fino a undici ostaggi imprigionati contemporaneamente. I ventenni della Magliana, coi pantaloni a zampa d’elefante e i capelli alla Rod Steward, guardano, imparano, sognano. Quanto i Marsigliesi imploderanno, fra arresti e vendette interne, verrà il loro turno. Nella relazione dell’Antimafia, in realtà, si parla di molto altro. Più che della gang come tale, i relatori scrivono di “Crispino”, al secolo Maurizio Abbatino, pentito storico arrestato dalla mobile a Caracas il 14 gennaio del 92, che sta scontando 30 anni di carcere ai domiciliari e ogni tanto non disdegna di saltar fuori con qualche intervista o qualche rivelazione a orologeria.

 

Chi è Crispino? Uno che sa tanto e tanto tace, che ha vuotato il sacco per vendicare l’assassinio del fratello Roberto, massacrato con 35 pugnalate nel marzo del 90 e che di sicuro ha preso parte alla prima, eroica fase della Banda. Credibile, insomma, si. Affidabile è tutto da dimostrare. Che cosa dice Abbatino? Sostanzialmente Crispino si autoaccusa del furto delle pizze dell’ultimo, funereo, contestatissimo, censuratissimo film di Pasolini “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, trafugate da un deposito il giorno di ferragosto del 1975. Le bobine furono recuperate grazie alle indagini di un ex agente del Sismi, Nicola Longo, che è stato ascoltato a lungo in commissione antimafia.

 

I parlamentari hanno riesaminato anche la testimonianza di Sergio Citti: quasi in punto di morte, l’attore affermò che Pasolini si era messo in contatto con alcuni malavitosi nel tentativo di farsi restituire i nastri di celluloide. Giuseppe Pelosi, alias “Pino la Rana”, l’unico condannato per l’assassinio del poeta, insomma, sarebbe stato solo un’esca. Niente incontro sessuale con un marchettaro ma un’imboscata per assassinare Pierpaolo Pasolini, una voce libera che si era attirato veleni da destra e sinistra. La commissione ha anche citato le lettere che il neofascista Giovanni Ventura inviava a Pasolini e inserito nella lista dei possibili moventi, l’interesse e il lavoro dello scrittore e regista sulle stragi di stato. Possibile? Forse. Probabile? Decisamente no perché la pista delle bobine rubate fu seguita per anni ma non portò mai a nulla.

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Che sulla scena del delitto all’Idroscalo ci fossero tracce di diverse persone è accertato e scritto nero su bianco nella sentenza di primo grado, quando Pelosi fu condannato “In concorso con ignoti”. Ma che si trattasse di un complotto organizzato è da dimostrare. Come facevano i cospiratori a sapere che quella sera, dopo aver cenato con Ninetto Davoli, Pasolini sarebbe andato ai giardinetti della Stazione? Ed è credibile che un piano tanto complesso e diabolico si appoggi a un prostituto diciassettenne terrorizzato e inaffidabile? “Appaiono ormai improbabili soluzioni di carattere giudiziario”, conclude la Commissione. Il giallo Pasolini resterà un giallo. Per sempre.

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