Dopo il disastro delle Marche riecco le critiche sterili. Appunti per un ambientalismo vero

Giulio Boccaletti

Quando si hanno risorse, istituzioni e competenze per gestire i rischi, la colpa degli eventi meteorologici sarà anche del clima ma quella dei disastri è nostra. Sostituire al vuoto ecologismo degli indignati una vera gestione dei rischi ambientali e dei territori

A leggere i giornali, il rapporto che l’Italia ha con il proprio clima sembra essere basato su una sequenza infinita di eventi stupefacenti. La cronaca meteorologica è una versione nostrana di “Ricomincio da capo”, il celebre film degli anni Novanta in cui il protagonista, interpretato da Bill Murray, riviveva continuamente lo stesso giorno.

   
Dopo la profondissima siccità dei mesi scorsi – peraltro già dimenticata – ecco il ripresentarsi dei temporali. Solo quattro settimane fa si parlava di alluvioni record in nord Italia: tutti stupefatti dai fiumi esondati in Trentino. Poi è venuto il momento del centro Italia. La cronaca descrive “bombe d’acqua”, un’iperbole che non ha nessuna base scientifica, ma che ha il valore retorico di enfatizzare imprevedibilità e incontrollabilità. 
E così le persone colpite dalle alluvioni, il cui numero tragicamente cresce di ora in ora, diventano le vittime di un nuovo, straordinario fatto senza precedenti. Di nuovo. Ma di precedenti ce ne sono eccome. Non nello stesso posto, non nello stesso modo. Ma alluvioni di questo tipo si ripresentano con una certa frequenza, tanto più distruttive se l’estate precedente, calda e secca, ha compattato il suolo, accelerando il deflusso dell’acqua.

 
E noi ci stupiamo. Un destino fuori dal nostro controllo che giustifica la nostra paralisi. In realtà, i dettagli delle piogge saranno pure imprevedibili, così come imprevedibile è quando ci sarà la prossima siccità. Ma il fatto che questi eventi succedano è tutt’altro che imprevedibile. Ed è notoriamente prevedibile che saranno sempre più frequenti, a causa del progressivo cambiamento climatico. E interamente prevedibile è il loro impatto su di noi. Quando si hanno risorse, istituzioni e competenze per gestire i rischi – come l’Italia indubbiamente ha – la colpa degli eventi meteorologici sarà anche del clima, ma quella dei disastri è nostra.

  
Non possiamo prevedere quando, dove, o come ci saranno incidenti automobilistici, ma non facciamo dipendere la nostra sicurezza dal prevederli: installiamo cinture di sicurezza e airbag, compriamo macchine robuste e seggiolini per l’infanzia, guidiamo con prudenza. Lo stesso vale per la gestione dei rischi ambientali. Il fatalismo è una scusa, la paralisi una scelta. Come è una scelta, prevedibile come un orologio svizzero, che dopo aver espresso stupore e impotenza ci si affidi all’indignazione, sentimento nazionale inutile quanto comune, spesso accompagnato dalla recriminazione. E così parte la ricerca del colpevole. Già si è levato il coro di coloro che lamentano il “fallimento” delle previsioni – sulla falsa riga di quella follia tutta italiana (arrivata fino in Cassazione) che imputava ai sismologi le conseguenze dei terremoti.

  

La politica è spesso un colpevole utile per un paese che raramente si guarda allo specchio. Ma non è vero che la politica non si interessi dell’ambiente. Il problema è che rimane sempre in un ambito piuttosto teorico e distratto. Pochi mesi fa, il Parlamento ha votato a stragrande maggioranza la riforma in senso ambientalista dell’articolo 9, uno dei princìpi fondamentali della sua Carta costituzionale, cosa singolare per una nazione che ha fatto della zuffa costituzionale un’abitudine. Ma come questa riforma aiuti a gestire le scelte sul territorio a fronte degli eventi climatici di questi giorni rimane da vedere. C’è poi una tendenza profondamente radicata alla distrazione di massa. Ci si infiamma sul nucleare, per esempio, questione piuttosto teorica dati i tempi e costi di costruzione e l’assenza di un settore industriale nazionale. Ma nessuno sembra interessarsi del Piano di adattamento ai cambiamenti climatici – cosa pratica e fattibile oggi per gestire il mutare degli eventi meteorologici – che langue da quattro anni senza un piano finanziario nel disinteresse più totale non solo degli amministratori ma anche dei cittadini.

 

Non c’è dubbio che l’Italia debba diventare più ambientalista: le condizioni ambientali saranno sempre più determinanti per la sicurezza sul territorio. Ma ciò che serve non sono indignazione rumorosa, recriminazioni o una ricerca litigiosa di colpevoli, tutto pur di evitare scelte difficili. Serve invece un ambientalismo la cui missione centrale siano la sicurezza e la prosperità della comunità nazionale, e il cui strumento sia la gestione attiva del territorio della Repubblica. Questa è la vera transizione ecologica, ed è responsabilità di tutti noi.