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La stupida storia del monolite dello Utah

Francesco Stocchi

Il ritrovamento della struttura di metallo nel deserto è l'eccezione a un mondo dove tutto è immediatamente spiegabile. Una storia che non merita di essere rovinata

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In giornate come queste, poi diventare settimane, ora mesi, caratterizzate da una costante mole di dati, curve che salgono ma sembra che rallentino, percentuali così precise da dover essere interpretate, variabili indici di contagio R0, etc.; in un periodo come questo dove il bisogno di rassicuranti convinzioni prende la forma di numeri quali antidoto alla paura, è liberatorio (forse salvifico) poter raccontare una storia stupida. Non le quotidiane stupidaggini dursiane dal sacro tenore provinciale che regalano un po’ di distrazioni in cambio di qualche segreto svelato ad arte. Non una bufala per indicizzare il tasso corrente di creduloni nel mondo, ma una storia genuinamente stupida, dal carattere universale che ingegnosamente unisce quegli elementi riconducibili al sublime: un luogo incontaminato, il mistero e l’arte. Una storia così stupida che speriamo di non dover rovinare.

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In giornate come queste, poi diventare settimane, ora mesi, caratterizzate da una costante mole di dati, curve che salgono ma sembra che rallentino, percentuali così precise da dover essere interpretate, variabili indici di contagio R0, etc.; in un periodo come questo dove il bisogno di rassicuranti convinzioni prende la forma di numeri quali antidoto alla paura, è liberatorio (forse salvifico) poter raccontare una storia stupida. Non le quotidiane stupidaggini dursiane dal sacro tenore provinciale che regalano un po’ di distrazioni in cambio di qualche segreto svelato ad arte. Non una bufala per indicizzare il tasso corrente di creduloni nel mondo, ma una storia genuinamente stupida, dal carattere universale che ingegnosamente unisce quegli elementi riconducibili al sublime: un luogo incontaminato, il mistero e l’arte. Una storia così stupida che speriamo di non dover rovinare.

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Lo scorso 18 novembre, in un canyon a sud dello Utah, viene avvistata una struttura di metallo, subito etichettata come “Utah Monolith”. La scoperta è di due biologi che, assistendo la Divisione delle risorse naturali dello Utah, sorvolano la zona per censire il sesso prevalente nelle greggi di pecore selvatiche “bighorn”. Siamo in mezzo a rocce rosse di un’area desertica, non lontano dal punto di incontro dei fiumi Colorado e Green. A una prima ispezione la struttura è alta tre metri circa, metallica e dalla fattura “poco scientifica e più artistica”. Per fortuna la definizione di arte può sempre venire in soccorso per aiutarci a voler definire qualcosa che non riusciamo a spiegare. Una versione laica e oggettuale della fede per preservarci dal fin troppo fascinoso campo dell’ignoto. La struttura è infatti descritta come ben fissata al terreno roccioso, mettendo in chiaro che “non è stata lasciata cadere dal cielo”, quindi creata dall’Uomo… La storia stupida funziona facendo presa sugli attuali bisogni di reazione al dominio dell’informazione ormai ubiqua e istantanea. Esplorare le eccezioni della logica di un mondo Google/Wikipedia dove tutto deve essere immediatamente definibile, circoscrivibile e spiegabile. Vengono presto diffuse numerose, fantasiose spiegazioni, tutte tranne quella più ovvia e cioè un anonimo esperimento “artistico” interrotto, abbandonato, dimenticato in mezzo al nulla. Quasi certamente la meno interessante delle teorie anche se la più probabile. Ma in questo modo la storia stupida non funzionerebbe.

 

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Le autorità decidono di non diffondere le coordinate del ritrovamento per evitare raduni di curiosi intenti a indagare le origini dell’oggetto misterioso, ma internet come sappiamo non ama il vuoto e il periodo attuale è smanioso di distrazioni leggere e positive. Il sito viene presto rintracciato e studiando gli storici di GoogleEarth, viene rivelata anche la data di installazione (tra luglio e ottobre del 2016). Ci sono voluti quattro anni per trovarlo, basta un giorno per che il sito venga invaso da curiosi alla ricerca di un selfie più che della verità. La storia stupida funziona finché non si trova la soluzione e il coinvolgimento passa dalla condivisione di credulità.

 

Lo “Utah Monolith” è efficace perché si trova perfettamente in bilico tra lo specifico e l’evasivo. Lo specifico per accogliere riferimenti pop-fantascientifici utili al coinvolgimento generale, la dimensione indefinita utile da poter colmare con qualsiasi significato si voglia. Le tesi cospirative funzionano allo stesso modo, basandosi su un’ipotesi accettata come vera, accompagnata da quel grado di indefinibilità che lascia aperta ogni porta si voglia aprire. Si parla monolite per evocare la forma nera nel deserto nelle prime scene di “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick (o dell’omonimo racconto di Arthur C. Clarke) ma monolite non è. Si tratta di un prisma vuoto, formato da tre lastre di acciaio accostare l’una all’altra. Si pensa ai resti di una scenografia di film girati nella zona, quali “Indiana Jones”, “Start Treck” o “Mission Impossble” ma le case di produzione hanno prontamente smentito. Si è poi pensato a un’opera di Land Art, simile ai “Planks” che realizzava John McCracken (1934-2011), artista minimalista californiano. Il suo gallerista David Zwirner sembra dire di sì (o magari), suo figlio dice forse, gli amici artisti lo escludono (poi la data del suo posizionamento nel 2016 conferma che non poteva essere McCracken). Si pensava ovviamente a forme di “intelligenza superiore”, i tanto attesi alieni che tra la minaccia e la burla abbiano offerto al genere umano questo oggetto alto e luccicante. Più le teorie erano fantasiose, più funzionavano al servizio storia, dove la ricerca della verità passava dalla ricerca delle ipotesi più improbabili.

 

Passano pochi giorni e la struttura sparisce. Il giorno successivo il New York Times titola (veramente) “Abitanti della terra e non alieni hanno rimosso il monolite del deserto”, presto sostituito con un più sobrio “Come un misterioso monolite è svanito durante la notte (non erano alieni)”. Instagram svela che anonimi spazzini del deserto hanno portato via nottetempo l’ingombrante oggetto, dichiarando laconicamente che “questo è il motivo per cui non si lascia spazzatura nel deserto”. Una storia stupida che è un brillante caso di diffusa “capacità negativa”, cioè la teoria articolata per primo da John Keats sull’accesso dell’artista alla verità, senza la pressione della logica o della scienza. Contemplando le sue capacità e quelle degli altri, in particolare di William Shakespeare, in una lettera ai parenti Keats supponeva che un grande pensatore dovesse essere “capace nelle incertezze, nei misteri, nei dubbi, senza alcun bisogno di raggiungere i fatti e le ragioni”. Un poeta, quindi, ha il potere di seppellire l’autocoscienza, dimorare in uno stato di apertura a ogni esperienza e identificarsi con l’oggetto contemplato (nel poema “To Autumn” di Keats, il potere ispiratore della bellezza, secondo Keats, è più importante della ricerca di fatti oggettivi). Ma ora che ogni teoria è stata confutata, ora che questo bisogno di domande che attirano più delle certezze viene sospeso, ora che la logica incombe sulla fede, cosa fare?

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Per fortuna, il giorno successivo alla sparizione del “Utah Monolith”, un altro oggetto molto simile è apparso dal nulla su una collina vicino alla città Piatra Neamt, in Romania. Se si traccia un triangolo equilatero tra il punto di ritrovamento dello Utah e quello rumeno si arriva a un terzo, misterioso luogo in mezzo all’Atlantico tutto da scoprire, e per fortuna la storia stupida può continuare.

 

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