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in Comune, poi a teatro, infine in chiesa

Funerali grandiosi e contactless per Gigi Proietti

Michele Masneri

In una Roma nuvolosa, il corteo funebre dell'amatissimo attore attraversa tutta la città, sotto la regia di un ex sindaco che non è forse nemmeno ex 

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Alle 9,48 il feretro giunge al Campidoglio su un carro funebre Mercedes scortato da scooter dei Vigili urbani e Carabinieri e moto della Rai tipo giro d’Italia. Si arrampica su verso il palazzo Senatorio e subito parte una sirena tipo saluto navale: si pensa a qualche complicato cerimoniale nautico (forse Gigi Proietti era stato in Marina?) ma poi si ode una voce: “è l’allarme del ponteggio, poi smette”, dice uno dei rari impiegati del Comune non in smart working. E un’altra, con una mascherina leopardata: me viè da piange. E poi piange. E’ il cliché supremo, ma Roma, Roma derelitta, ininfluente, degradata, sa dare il meglio e si risolleva proprio nei funerali, in questi abbraccioni municipali urbi et orbi. Certo anche le feste, però i funerali ancor di più, perché c’è pure la malinconia. E anche in questo caso, pur con la pandemia e i protocolli, Roma non si fa guardare dietro da nessuno. Funerale spacchettato, per evitare assembramenti, funerale opposto a quello d’Alberto Sordi, diciassette anni fa, con le folle immense. Qui invece grande compostezza e mani in tasca, è il primo funerale contactless. Non si sa chi l’abbia progettato, forse il grande cerimoniere di questo show, Walter Veltroni. Ci si chiede anche se il Comune come Buckingham Palace abbia dei protocolli segreti da attivare, tipo “London bridge” per la regina madre, qui magari chiamati Ponte Milvio o Mammolo. Comunque: tre tappe. Campidoglio, poi il Globe Theatre, il teatro immerso nei boschi di villa Borghese, poi la chiesa a piazza del Popolo. Timing perfetto. Il carro funebre con product placement (cartello Onoranze Funebri città di Roma, tel. 800 20 30 30 in bella vista) dopo il saluto del presidente del Consiglio comunale (la Raggi è in quarantena) alle dieci in punto riparte. Il corteo attraversa i Fori e via del Corso a passo da parata. Passa davanti alla galleria già Colonna e poi Sordi (e che gli intitoleranno, a lui?). Sale su da via Veneto ed entra a villa Borghese, nel magnifico teatro voluto da Proietti medesimo, blindatissimo. Sta proprio di fronte a piazza di Siena, quella del famoso concorso ippico. Questo, più tutto l’epos di Mandrake e Soldatino, fanno sì che col passare dei minuti il fuori del funerale diventi tipo Capannelle: cavalli della polizia a cavallo, dei Carabinieri (in quota Maresciallo Rocca), forse di altre forze dell’ordine. Tutto un nitrire. All’ingresso, boccione sanificante per le mani della farmacia Mazzini. Arriva il feretro, partono applausi. La diretta che tutti guardiamo sui telefoni zumma su Veltroni. La Raggi collegata su Zoom dice che gli intitoleranno il teatro medesimo (ecco). Dentro c’è la famiglia di Proietti, e Veltroni, accanto a loro. Parlano amici e allievi, la Laurito piange, Pino Quartullo ricorda che come prima performance Proietti chiedeva ai suoi attori di fare il soffio del cavallo, “lo sbruffo”, insomma aumenta se possibile il mood equino del tutto. Forse per motivi tecnici lo zoom della Raggi sui telefonini non si vede, non si sente neanche la voce, almeno nel mio: vedo invece in loop gli applausi scroscianti e le lacrime dei parenti e la faccia di Veltroni, temo un colpo di Stato (sarebbe un momento perfetto), ma poi parla Veltroni, fa un bellissimo discorso evocando una Roma in cui tutti si vogliono bene, con le matrone affacciate alla finestra. Cita il Riccardo III e poi dice “Gigi ma chi non è romano come fa a capì sta città”, e insieme agli stornelli che arrivano da fuori si cade in quell’eterno folklore romano tra hostaria e sublime, ecco i pini di Roma, la vita non li spezza: spunta la lacrima anche ai più cinici.

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Alle 9,48 il feretro giunge al Campidoglio su un carro funebre Mercedes scortato da scooter dei Vigili urbani e Carabinieri e moto della Rai tipo giro d’Italia. Si arrampica su verso il palazzo Senatorio e subito parte una sirena tipo saluto navale: si pensa a qualche complicato cerimoniale nautico (forse Gigi Proietti era stato in Marina?) ma poi si ode una voce: “è l’allarme del ponteggio, poi smette”, dice uno dei rari impiegati del Comune non in smart working. E un’altra, con una mascherina leopardata: me viè da piange. E poi piange. E’ il cliché supremo, ma Roma, Roma derelitta, ininfluente, degradata, sa dare il meglio e si risolleva proprio nei funerali, in questi abbraccioni municipali urbi et orbi. Certo anche le feste, però i funerali ancor di più, perché c’è pure la malinconia. E anche in questo caso, pur con la pandemia e i protocolli, Roma non si fa guardare dietro da nessuno. Funerale spacchettato, per evitare assembramenti, funerale opposto a quello d’Alberto Sordi, diciassette anni fa, con le folle immense. Qui invece grande compostezza e mani in tasca, è il primo funerale contactless. Non si sa chi l’abbia progettato, forse il grande cerimoniere di questo show, Walter Veltroni. Ci si chiede anche se il Comune come Buckingham Palace abbia dei protocolli segreti da attivare, tipo “London bridge” per la regina madre, qui magari chiamati Ponte Milvio o Mammolo. Comunque: tre tappe. Campidoglio, poi il Globe Theatre, il teatro immerso nei boschi di villa Borghese, poi la chiesa a piazza del Popolo. Timing perfetto. Il carro funebre con product placement (cartello Onoranze Funebri città di Roma, tel. 800 20 30 30 in bella vista) dopo il saluto del presidente del Consiglio comunale (la Raggi è in quarantena) alle dieci in punto riparte. Il corteo attraversa i Fori e via del Corso a passo da parata. Passa davanti alla galleria già Colonna e poi Sordi (e che gli intitoleranno, a lui?). Sale su da via Veneto ed entra a villa Borghese, nel magnifico teatro voluto da Proietti medesimo, blindatissimo. Sta proprio di fronte a piazza di Siena, quella del famoso concorso ippico. Questo, più tutto l’epos di Mandrake e Soldatino, fanno sì che col passare dei minuti il fuori del funerale diventi tipo Capannelle: cavalli della polizia a cavallo, dei Carabinieri (in quota Maresciallo Rocca), forse di altre forze dell’ordine. Tutto un nitrire. All’ingresso, boccione sanificante per le mani della farmacia Mazzini. Arriva il feretro, partono applausi. La diretta che tutti guardiamo sui telefoni zumma su Veltroni. La Raggi collegata su Zoom dice che gli intitoleranno il teatro medesimo (ecco). Dentro c’è la famiglia di Proietti, e Veltroni, accanto a loro. Parlano amici e allievi, la Laurito piange, Pino Quartullo ricorda che come prima performance Proietti chiedeva ai suoi attori di fare il soffio del cavallo, “lo sbruffo”, insomma aumenta se possibile il mood equino del tutto. Forse per motivi tecnici lo zoom della Raggi sui telefonini non si vede, non si sente neanche la voce, almeno nel mio: vedo invece in loop gli applausi scroscianti e le lacrime dei parenti e la faccia di Veltroni, temo un colpo di Stato (sarebbe un momento perfetto), ma poi parla Veltroni, fa un bellissimo discorso evocando una Roma in cui tutti si vogliono bene, con le matrone affacciate alla finestra. Cita il Riccardo III e poi dice “Gigi ma chi non è romano come fa a capì sta città”, e insieme agli stornelli che arrivano da fuori si cade in quell’eterno folklore romano tra hostaria e sublime, ecco i pini di Roma, la vita non li spezza: spunta la lacrima anche ai più cinici.

 

Veltroni poi è in forma clamorosa, pare rinato, sembra Biden ma più giovane, sembra lui il sindaco, anzi forse è ancora lui il sindaco (ecco spiegata la mancanza della Raggi). Cadiamo tutti volentieri nella negazione, nel pensiero magico: evviva, siamo nel 2004. Poi però gli altri oratori dicono tutti “ciao Gigi, a presto”, “ci vediamo presto” “a prestissimo”, e all’ennesimo “prestissimo" qualcuno fuori comincia a fare scaramanzie (nel frattempo si sono radunati in tanti, alcuni podisti, tanti cani). “Io se me capita l’ho scritto, non voglio esse pronato”, dice un presente. “Clonato?”, risponde l'amico. “No, pronato, in terapia intensiva”. Insomma cade l’illusione, siamo ancora nel 2020. Alle 11:53, con micidiale precisione, il corteo scatta verso la terza tappa di questo funerale equino ed ecumenico: piazza del Popolo, chiusa, con doppia transennatura. Una tassinara con foto di Proietti appiccicata sul lunotto compie un rito romano risalente alla notte dei tempi, colloca l’automezzo in doppia fila, con le quattro frecce, e blocca tutto il traffico. Nella chiesa, per motivi tecnici, non è Veltroni a officiare, sostituito da un prete riflessivo (“Proietti non era un divo, ma un antidivo”). Nel frattempo, ulteriore spacchettamento del funerale diffuso: al teatro Brancaccio, caro a Proietti, un maxischermo rimanda la messa, gettando in confusione i pretini che escono da Santa Maria Maggiore, e sentono i cori e le preghiere ad altissimo volume provenienti (sembra proprio) dalla pasticceria Panella, dove si dà aperitivo distanziato. Ma se non sei romano, come fai a capì ‘sta città?

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