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Minilockdown? Non bastano. La storia del sindaco di Latina

Gianluca De Rosa

Il 23 settembre il sindaco Coletta anticipò l’obbligo delle mascherine all’aperto. Quindici giorni più tardi la regione Lazio dispose il minilockdown. "La differenziazzione sia su base regionale, una follia delegare ai comuni ulteriori scelte"

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Chiudere Milano, lockdown cittadini, differenziazione automatica delle regole su base regionale. Il coronavirus ha inventato una nuova categoria del diritto pubblico: il federalismo del contagio. Su quale territorio devono essere stabilite le regole? Chi deve farlo? Il governo? Le regioni? O addirittura comuni? Anche ieri la questione è stata al centro del braccio di ferro tra i governatori e l’esecutivo. Da giorni, inoltre, s’invoca la chiusura di alcune città, ieri l’ordine dei medici di Milano ha chiesto a gran voce un lockdown per il capoluogo lombardo. In realtà in Italia c’è già una città medio grande che un minilockdown lo ha sperimentato. È Latina.

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Chiudere Milano, lockdown cittadini, differenziazione automatica delle regole su base regionale. Il coronavirus ha inventato una nuova categoria del diritto pubblico: il federalismo del contagio. Su quale territorio devono essere stabilite le regole? Chi deve farlo? Il governo? Le regioni? O addirittura comuni? Anche ieri la questione è stata al centro del braccio di ferro tra i governatori e l’esecutivo. Da giorni, inoltre, s’invoca la chiusura di alcune città, ieri l’ordine dei medici di Milano ha chiesto a gran voce un lockdown per il capoluogo lombardo. In realtà in Italia c’è già una città medio grande che un minilockdown lo ha sperimentato. È Latina.

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La città che Mussolini edificò come Littoria, 126mila abitanti, ha avuto regole differenziate dal resto d’Italia dal 23 settembre, quando il sindaco Damiano Coletta anticipò l’obbligo delle mascherine all’aperto. Quindici giorni più tardi, l’8 ottobre, la regione Lazio dispose il minilockdown. “In realtà il nostro non è stato tecnicamente un lockdown – chiarisce il sindaco Damiano Coletta – semplicemente con un’ordinanza la regione ha anticipato alcune regole che poi sono state imposte a tutto il resto d’Italia: chiusure dei locali a mezzanotte, ai tavoli solo seduti e con numero di posti massimo stabilito espressamente”. Coletta, un passato da calciatore nella squadra della città e una formazione quanto mai utile in questo periodo, medico cardiologo, sottolinea: “Regole che comunque allora erano diverse rispetto al resto del Paese”.

 

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E com’è andata? “Almeno in parte possiamo dire che queste misure hanno funzionato. Eravamo l’unica provincia con numeri molto negativi, mentre adesso l’incremento c’è, ma possiamo dire che si è normalizzato, ridimensionato. Addirittura rispetto alle altre province del Lazio l’incremento è minore. Certo all’ospedale Santa Maria Goretti, che serve l’intera provincia la situazione è difficile, c’è un problema con i posti letto e si lavora per scongiurare il rischio di contagi tra il personale sanitario, ma nonostante le difficoltà reggiamo”. Eppure, malgrado il parziale successo del minilockdown di Latina, Coletta, non è d’accordo con l’ipotesi di misure differenziate anche da comune a comune o, almeno, da provincia a provincia.

 

“È bene che tutti si rendano conto che le misure restrittive sono necessarie – dice – ma con altri sindaci di città medio-grandi siamo tutti abbastanza d’accordo su un punto: la differenziazzione deve essere solamente su base regionale, sarebbe una follia delegare ai comuni la scelta di un eventuale lockdown. Solo in situazioni di estrema, ma davvero estrema gravità, dovrebbero essere le regioni a disporre le zone rosse”. E per spiegare il perché il sindaco ricorda la sua esperienza.

 

“Quanto la regione impose le chiusure anticipate dei locali io fui duramente contestato, alcuni m’insultarono pesantemente, sfiorando la minaccia. Le disparità non vengono facilmente accettate dai cittadini in particolare adesso che la tensione sociale è altissima a meno che la situazione non sia davvero gravissima. I commercianti mi chiedevano ‘Perché noi sì e le altre province no?”.

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A salvare Coletta fu proprio il ruolo di mediazione che il primo cittadino svolse con la regione Lazio: “La regione voleva chiudere tutto alle 22, ci misi un po’, ma li convinsi ad arrivare alla mezzanotte. I commercianti hanno riavuto la percezione che il loro sindaco aveva cercato di tutelare anche le loro esigenze. Quando il Dpcm estese le misure anche alle altre città, poi, le proteste si calmarono da sole: una misura più estesa diventa più accettabile”. A non convincere davvero Coletta è un’altra questione. I tempi del nuovo Dpcm. “L’ultimo è entrato in vigore il 25 di ottobre – dice – forse prima di nuovi provvedimenti non sarebbe stato meglio aspettare 10 giorni per vedere gli effetti? Da noi ha funzionato”.

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