PUBBLICITÁ

Cosmopolitics

Il secolo di pace e di guerra di Brian Urquhart

E' morto a 101 anni l'ideatore dei Caschi blu dell'Onu. I suoi aneddoti e la storia dell'ascensore che serve a capire quanto siano utili le persone che sanno dire: calma

Paola Peduzzi

Nel 1987, appena dopo essere andato in pensione dalle Nazioni Unite, Urquhart pubblicò un’autobiografia dal titolo “A Life in Peace and War” che raccontava non soltanto la sua vita ma anche la nostra, o meglio quella dei sussulti della geopolitica internazionale dagli anni Quaranta agli anni Ottanta, la pace e la guerra, una rincorsa senza fine di odio e amore e in mezzo tante tregue

PUBBLICITÁ

A volte i lupi possono decidere di sdraiarsi vicini invece che terrorizzare tutti gli agnelli della zona con la loro ostilità interna, roba da branco che si può superare. Questa era la prospettiva della pace secondo Brian Urquhart, l’inventore dei Caschi blu dell’Onu, la prima forza di pace internazionale del Dopoguerra, “un esercito senza un nemico, soltanto con clienti problematici”. Urquhart, diplomatico britannico, è morto sabato a 101 anni, e il giorno successivo è morta la sua seconda moglie, l’ultima. Ha vissuto un secolo di brutture e ricostruzioni, non solo mondiali, anche vicinissime: tuo papà che va via di casa quando hai solo sette anni, per esempio, e tua mamma che insegna in una scuola di sole ragazze e che è costretta a iscriverti lì con lei e duecento compagne. Poi la guerra nell’esercito britannico, il paracadute che si apre male durante un’esercitazione e i medici dicono: non camminerai più.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


A volte i lupi possono decidere di sdraiarsi vicini invece che terrorizzare tutti gli agnelli della zona con la loro ostilità interna, roba da branco che si può superare. Questa era la prospettiva della pace secondo Brian Urquhart, l’inventore dei Caschi blu dell’Onu, la prima forza di pace internazionale del Dopoguerra, “un esercito senza un nemico, soltanto con clienti problematici”. Urquhart, diplomatico britannico, è morto sabato a 101 anni, e il giorno successivo è morta la sua seconda moglie, l’ultima. Ha vissuto un secolo di brutture e ricostruzioni, non solo mondiali, anche vicinissime: tuo papà che va via di casa quando hai solo sette anni, per esempio, e tua mamma che insegna in una scuola di sole ragazze e che è costretta a iscriverti lì con lei e duecento compagne. Poi la guerra nell’esercito britannico, il paracadute che si apre male durante un’esercitazione e i medici dicono: non camminerai più.

PUBBLICITÁ

 

Alla fine del 1943 invece Urquhart era di nuovo sul campo, anche in Italia, mentre alla fine della guerra, come agente dell’intelligence, quando era a caccia dei siti nucleari tedeschi, s’imbattè nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, e nei suoi orrori. Lì comincia per il diplomatico la ricerca del confronto e della pace, l’idea dell’esercito di peacekeeping delle Nazioni Unite, quei Caschi blu riconoscibilissimi e intoccabili e nel tempo anche scandalosi, ché qualsiasi forza ha le sue debolezze. Nel necrologio del New York Times, Robert McFadden riassume in poche righe una vita avventurosa: “Urquhart non era James Bond, ma fu rapito e picchiato in modo violento dai ribelli della Repubblica democratica del Congo, ha guidato le forze di pace in tante zone di guerra, e una volta si scolò una bottiglia di whiskey per evitare di assiderarsi in un volo sottozero attraverso una tempesta mentre stava cercando Yasser Arafat”. “Abbiamo dovuto decidere – disse il diplomatico ad Arafat, leader dell’Olp, quando finalmente l’aereo mezzo ghiacciato atterrò a Beirut nel 1982— se arrivare ubriachi o morti”.


Nel 1987, appena dopo essere andato in pensione dalle Nazioni Unite, Urquhart pubblicò un’autobiografia dal titolo “A Life in Peace and War” che raccontava non soltanto la sua vita ma anche la nostra, o meglio quella dei sussulti della geopolitica internazionale dagli anni Quaranta agli anni Ottanta, la pace e la guerra, una rincorsa senza fine di odio e amore e in mezzo a tante tregue. In questo racconto ci sono gli entusiasmi dell’inizio, quando il nazismo era stato sconfitto e non si poteva che creare un mondo migliore, e le tensioni più grandi della Guerra fredda, mentre passavano capi di governo e le loro storie si intrecciavano con i segretari generali dell’Onu (i capi di Urquhart) e con quelle di tutto il globo. Le relazioni internazionali viste da vicino, da chi le tesse e le disfa, sono una storia umana imperdibile, come dimostra la storia dell’ascensore. Trygve Lie, il laburista norvegese che fu il primo segretario generale dell’Onu, era andato nel 1946 a Ginevra  per “la riunione della Lega delle nazioni – scrive Urquhart, che era presente – e della Amministrazione per la ripresa e la riabilitazione creata dall’Onu, l’immensa operazione di ricostruzione a trazione americana che iniziò a rimettere in piedi il mondo piegato dalla guerra. A capo di quel progetto c’era  Fiorello LaGuardia, il celebre ed eccentrico ex sindaco di New York”. Al Palais des Nations di Ginevra, c’era un piccolo ascensore privato che serviva al leader della Lega delle nazioni per arrivare al podio della sala delle assemblee. Lie e LaGuardia credevano di avere entrambi il diritto di utilizzare quel piccolo ascensore e non mettendosi d’accordo ci si infilarono entrambi dentro, “schiacciatissimi, visto che insieme avranno pesato 225 chili”, ricorda Urquhart. Così il piccolo ascensore invece che salire cominciò lentamente a scendere e mentre tutti si guardavano attorno preoccupati e qualcuno correva a chiamare aiuto, si sentivano “imprecazioni in lingue diverse” salire dall’abitacolo. Urquhart conclude l’aneddoto con un sintetico: “La conferenza iniziò in ritardo”, per poi passare veloce a raccontare la pace e la guerra che si rincorrevano e si rincorrono oggi, e quanto è prezioso avere qualcuno che sappia dire ai lupi: calma (e aggiustare ascensori). 

PUBBLICITÁ
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ