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contro mastro ciliegia

Kevin Spacey e gli ignavi. Al prossimo caso Tortora, non fatevi vedere

Maurizio Crippa

Chi ha senso di giustizia sa cosa pensare della vicenda. Ma le tricoteuse che per anni hanno messo al patibolo un presunto (ora provato) innocente nemmeno davanti alla sentenza hanno avuto la dignità di riconoscere gli errori

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Di Re Lear Kevin Spacey, chi conservi la capacità di intendere la giustizia e la tragedia s’è già fatto l’unica opinione possibile. Al contrario, il circo delle tricoteuse che per anni hanno messo al patibolo un presunto (ora provato) innocente in base a sole accuse e ai propri pregiudizi ipocriti, ha dimostrato ieri mattina, ma non c’erano dubbi, di non intendere né giustizia né tragedia. Né innocenza. Rep. ha piazzato in prima pagina un commento demenziale sotto ogni profilo di diritto, la cui tesi è che era meglio condannare l’innocente pur di tenere il punto del #MeToo. La Stampa ha inguattato a pag. 19 un articolo a denti digrignanti per la condanna mancata, il cui senso è: però c’erano tante accuse. Idem il Corriere, rifugiatosi con i denti alla sezione spettacoli, ma con l’aggravate del cinismo candido di Gramellini, che ha ostentato la sua passata “viltà” su Spacey come fosse un vanto. Sottile. (Ma le accuse smentite in processo diventano calunnia).

Ammettere, o anche solo ricordare, anni di porcate mediatiche è impossibile per costoro. Dopo l’assoluzione in America, il commentatore legale della CNN scrisse che il verdetto dimostrava che “una giuria può prescindere dal rumore mediatico attorno a una celebrità”. Al prossimo caso Tortora, non fatevi vedere.

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