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Contro mastro ciliegia

Le belle lacrime di Ibra

Maurizio Crippa

L’attaccante svedese è stato non solo un fuoriclasse, ma uno dei giocatori più belli da vedere per tanti anni. Meglio la sua commozione e il suo saluto di chi va a svernare nel deserto

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Vale sempre la pena salutare con riconoscenza qualcuno che ci ha fatto vivere momenti belli, e godere di un gran bel gioco che è il calcio. E sono davvero caccole inutili tutte quelle sparacchiate da certi tifosi che gli hanno dedicato sfottò e persino insulti per una coppa non vinta, o per un cambio di colori e di sponda del Naviglio. Zlatan Ibrahimovic è stato non solo un fuoriclasse, ma uno dei giocatori più belli da vedere per tanti anni, 988 partite e 573 gol. Ha fatto vincere molte squadre, non ce l’ha fatta con la sua Svezia, ma forse non ne aveva mai amata una.

A differenza di tanti campioni è sempre stato un capitano di ventura, una “lancia libera” al servizio dei suoi re provvisori. E quando era in servizio, dava tutto. Un solitario, che s’era costruito quella armatura da “Dio del calcio”, da “Io sono Ibra”, forse per proteggersi da quel non essere di nessuno e di nessun popolo. Se ora davvero ha trovato la sua “famiglia”, ha detto, nella sua ultima squadra, bene per lui. Domenica davanti al pubblico di San Siro si è commosso, le lacrime agli occhi e la voce rotta. Lui, il guerriero inossidabile. E non avrà vinto la coppa e i palloni d’oro, ma in fondo sono meglio quelle lacrime, quel saluto, che finire a svernare dimenticati dal dio del calcio nel deserto, per un po’ di milioni.

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