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Contro mastro ciliegia

Il tiro a segno non fa stragi

Maurizio Crippa

Se persino Salvini ha commentato "non mi sembra illuminata come idea", forse l'idea di Fazzolari non è illuminata. Ma ci sarebbe da chiedersi, senza strilli, se l'educazione al tiro sportivo non sia una possibile via per sublimare la violenza

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Per il momento siamo a un articolo affermativo, nel senso che fa una affermazione, rilanciato da molti articoli, e a una smentita dell’interessato di quanto l’articolo afferma. Uno dei due, sbaglia la mira. Se il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, ha davvero detto quel la Stampa gli mette in bocca, che “dobbiamo fare un tavolo per un progetto di insegnamento del tiro a segno nelle scuole”, detto di sguincio al generale Franco Federici, consigliere militare di Giorgia Meloni, sarebbe da rubricare tra le sparate estemporanee cui questo governo abusa. Del resto persino Salvini ha commentato “non mi sembra illuminata come idea”. Fazzolari nega, questioni di mira.

 

Ma a ben guardare, e lasciando la pavloviana indignazione all’opposizione, quand’anche Fazzolari avesse ipotizzato, in chiacchiera, l’utilità per i giovani di accostarsi al tiro d’arma – disciplina del resto olimpica – e non certo di fare bumbum nelle scuole, sarebbe così insensato? In un paese dove ancora si costringono i bambini a imparare la pallamano? Un po’ di realismo: in America sono vietate persino le armi giocattolo, cosicché a dieci anni i bambini vogliono provare i mitra. L’uso sportivo vale, per solito, come sublimazione simbolica. Meglio di una mattanza.

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