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Contro mastro ciliegia

Carra e la malagiustizia di rito ambrosiano

Maurizio Crippa

Enzo Carra, giornalista e politico democristiano, è morto a 79 anni. Lo hanno ricordato tutti per quella lurida foto con gli schiavettoni. Molti però si sono dimenticati di dire che molto più lurida della fotografia fu la decisione dei magistrati à la Di Pietro di portarlo così in tribunale, in favore di telecamere

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Solo nel 1999 una norma vietò di pubblicare immagini di persone in manette, la “perp walk” è roba da incivili americani. Ciò non ha impedito che i giornali – e molti dei giornali che allora mostrarono con cinismo e applaudirono – ricordassero Enzo Carra come “l’uomo con gli schiavettoni”. Giornalista e politico democristiano, “uomo buono, colto, intelligente, un testimone di cosa deve essere la politica”, parola di Franceschini, è morto a 79 anni.

Carra fu fatto arrestare capziosamente dall’ammazzasette Tonino Di Pietro per “false o reticenti informazioni rese al pubblico ministero”. E il 4 marzo 1993 venne portato da San Vittore al tribunale di Milano in catene e in favore di telecamere. Oggi tutti, elogiando il morto, hanno glissato l’infamia della malagiustizia di rito ambrosiano. Del resto piaceva così: il Giornale (Berlusconi forse oggi sarebbe “turbato” come suo figlio) scrisse che il 63 per cento dei milanesi lo riteneva giusto. Piero Colaprico su Rep. ha provato, per dovere d’ufficio, ad accreditare la versione di Di Pietro, che si disse indignato e non responsabile: ma “credergli è un altro discorso”. Credere a Di Pietro non si può, e nemmeno al pentimento di chi esultò. Enzo Carra resterà per sempre un galantuomo vessato dalla peggiore giustizia politica. Questo si può credere.

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