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contro mastro ciliegia

Cosa c'è dietro la scemenza del Consiglio d’Europa sulle punizioni ai figli

Maurizio Crippa

L'organizzazione, "questa grande macchina che produce norme, carte e convenzioni”, come scrive il Figaro, vuole sconsigliare ai genitori il “fila in camera tua!”. Ma dietro al divieto di ciò che la buro-pedagogia chiama “time out” si scorge il fastidio per questi inutili figli

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Bisogna essere grati al Figaro, al suo resistere amabilmente conservatore alle derive terminali della french theory, e alla sua innata diffidenza verso certe pletoriche organizzazioni d’intento etico, come il Consiglio d’Europa: “Questa grande macchina che produce norme, carte e convenzioni”. Consiglio che ha pure un’attiva sezione per i Diritti dell’infanzia. Attività benemerita, certo; ma siccome con la french theory e i suoi cascami non si sa mai, il Figaro tiene gli occhi aperti. La sua ultima scoperta, per come ci giunge alleggerita tramite il Messaggero, è che l’Europa ha deciso di vietare un classico delle punizioni infantili non violente: “Basta, fila in camera tua!” non si potrà più dire. Perché, informa il Messaggero, è una punizione ormai “obsoleta”. Sanzionare i bambini (già con i preadolescenti un simile castigo si trasformerebbe in un invito a un pigiama party) con una simbolica prigionia non è la più selvaggia delle punizioni. Tant’è vero che, nell’opuscolo del Consiglio d’Europa datato 2008 contenente “le indicazioni” ai genitori in materia, quella che Edgar Allan Poe chiamerebbe “la sanzione della camera chiusa” e invece la buro-pedagogia chiama “time out” era consigliata come lecita, non violenta, persino utile.

  
Ma i tempi cambiano e la storia è un po’ meno da cronaca leggera, da strano ma vero educativo, di quanto possa sembrare. Tornando al Figaro, si evince che la norma ancora non è emanata: ma il giornale francese ha avuto accesso in agosto a una mail in cui Regina Jensdottir, responsabile della divisione per i Diritti dei bambini, spiegava che la regola è “obsoleta” e a breve sarebbe stata “rielaborata”. A richiesta di chiarimento, il Consiglio d’Europa ha confermato al Figaro di non “promuovere più” codesta sanguinaria e retriva angheria. Ma il Consiglio non s’è mosso da solo, è stato sollecitato da associazioni francesi che si occupano di infanzia come Stop Veo (che sta per “violenza educativa ordinaria”) la cui visione è ispirata all’idea che la violenza sui minori sia “sistemica”, come va di moda dire, e connaturata alla società (aggiungere gli aggettivi). E in questo sistema repressivo e coercitivo una sculacciata (Stop Veo è stata tra i promotori della legge del 2019 che la vieta) o una rampogna verbale pari sono.

   

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Del resto, nel dibattito tutt’altro che da rotocalco sorto in Francia ci sono pedagogisti che accusano chi difende l’utilità delle sanzioni “time out” di essere cultori di “violenza gentile”, funzionali a un “capitalismo propagandistico in tenuta da combattimento, pronto a tutto pur di mettere in riga chi potrebbe nutrire la speranza di uscirne”. Roba forte, e anche un po’ forsennata. In attesa che gli esperti dicano la loro, si può notare un aspetto. Dietro, c’è la non confessabile convenienza degli adulti di appianare quel poco che resta di verticalità, di asimmetria tra adulto e bambino – la trasmissione di un sapere anche comportamentale – senza cui è però molto più difficile per i bambini imparare, crescere. Ma far crescere, cioè impegnarsi in questo rapporto asimmetrico, è fatica. Si preferisce abbandonarli a sé stessi, senza riferimento, con la scusa di un formale rispetto che è invece disinteresse. La verità è che gli adulti semplicemente non li amano, quei figli vissuti al più come oggetti transizionali. Pronti ad abbandonarli, alla prima difficoltà. Ma “nel loro superiore interesse”. Non si dice così?

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