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contro mastro ciliegia

Good bye, Ray Liotta

Maurizio Crippa

La bella carriera dell'attore americano era iniziata prima di "Quei bravi ragazzi" ed era proseguita nel tentativo di non farsi schiacciare in un ruolo da mafioso di periferia. Eppure il capolavoro di Scorsese vale una vita

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Quando Scorsese lo chiamò, lui in verità era già stato il fantasma di Shoeless Joe Jackson, mitico campione di baseball degli anni Venti, che si materializzava di notte nel diamante che Kevin Costner gli aveva costruito dietro la sua fattoria, per farlo tornare a giocare con gli altri sette degli Otto uomini fuori (ma questo è un altro bel film, di John Sayles), i giocatori dei Chicago White Sox che erano stati squalificati per una faccenda di partite vendute sfumata nella leggenda. L’uomo dei sogni è uno dei film più belli e malinconici sul baseball, uno dei migliori anche per Costner. Dopo Scorsese, ha passato molto della sua carriera a non cucirsi addosso quel vestito perfetto per una vita da caratterista, il mafioso di periferia con gli occhi azzurri. E ha lavorato con Guy Ritchie, con Ridley Scott, ha vinto un Emmy per una parte in E.R. Ma nel 1990 lo aveva chiamato Scorsese, per essere Henry Hill, il “goodfella” che alla fine tradisce tutti, Joe Pesci e Robert De Niro, in Quei bravi ragazzi. E che differenza può fare un film, a volte. Uno dei più belli in assoluto di Scorsese, e i trenta minuti filali con Ray, paranoico e strafatto, che chiunque altro ci avrebbe messo un’ora a raccontare. Ce lo ricordiamo così, ora che che morto nel sonno, a 67 anni, mentre a San Domingo girava ancora un’altra storia.

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