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contro mastro ciliegia

Russi senza Starbucks

Maurizio Crippa

Le 130 caffetterie che per 15 anni hanno incarnato per i giovani ricchi russi il sogno di diventare occidentali chiuderanno. La vera sanzione grave, per i russi, è dover rinunciare anche a questo. Prigionieri di un samovar

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Narra il mito che Starbucks nacque ispirandosi all’ideale (platonico) dei caffè italiani, per come a Seattle se lo potevano figurare. Ma tanto era il rispetto per l’italianità dell’espresso che aspettarono decenni, prima di arrischiarsi ad aprire a Milano. Un gustoso equivoco culturale, in Italia non aspettavano altro che adeguarsi alla versione americana del caffè italiano. Molto prima (2007) Starbucks era sbarcato in Russia, dove non poteva esserci equivoco, col samovar. Per 15 anni, in 130 caffetterie, i russi, almeno quelli più desiderosi di farsi contaminare dal decadente modello occidentale, hanno bevuto nei bicchieri di carta di Sturbucks. Ora però questo simbolo molto cool dell’essere americani – l’americano cool ama imitare gli stili europei, in modo da poter essere poi imitato dagli europei ansiosi di somigliare agli americani cool – ha detto addio alla Russia: chiuderà tutti i negozi. E pazienza che il sacrificio economico sia una baggianata, peggio delle sanzioni sul gas (il fatturato era l’1 per cento del globale). Ma così se ne va anche l’ultima utopia rimasta ai giovani russi ricchi (gli altri mica andavano da Starbucks) di potere un giorno diventare un po’ più occidentali. La sanzione del samovar.

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