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Anche Elvis Costello deve cedere al politicamente corretto

Maurizio Crippa

Anche la più ironica delle rockstar si arrender alle orecchie foderate di wokism. Non canterà più "Oliver's Army", per quarant'anni una hit contro il razzismo e le guerre. E chiede alle radio di non trasmetterla più. "La gente sente quella parola e mi accusa per qualcosa che non ho inteso dire”

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Con gli occhialoni da nerd e le giacche alla Buddy Holly, o viceversa; con quegli arrangiamenti cesellati e pieni di ironia di uno che la musica la sapeva davvero, nel 1979 era già molto avanti, più corrosivo, dei fratellini punk cresciuti nella stessa Londra e che pure avevano cantato contro “the fascist regime” della Gracious Queen ma lì s’erano fermati: senza più scorte di irriverenza da lanciare dal palco o dai video. Con Elvis Costello, già allora, non c’era partita.

La canzone si chiamava Oliver’s Army e il rock era così pop e trascinante che il contenuto scese giù nelle orecchie di tutti, compreso o non compreso che fosse, ma nessuno aveva mai pensato di contestarlo.

    

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Ma ora anche Elvis Costello s’è fatto vecchietto, forse non ha più l’ironia per resistere alla altrui scemenza, o forse gli stupidi si sono fatti più agguerriti, e ha gettato la spugna. Il verso incriminato di Oliver’s Army dice “One more widow, one less white nigger”, una vedova in più e “un negro bianco” di meno, e per trent’anni tutti hanno sempre capito cosa significasse. Non bastasse, l’ha spiegato Costello tante volte: quel modo razzista e spregiativo (delle vedove, chi se ne importa?) era il modo razzista e spregiativo con cui gli inglesi, i soldati di Oliver, chiamavano quelli come suo nonno: che era un cattolico nordirlandese, si chiamava Pat McManus, che è anche il vero cognome di Costello, ed era stato persino un soldato di Sua Maestà. La canzone, tra i dieci maggiori successi di sempre di Costello e in cima a tutte le classifiche della critica, parlava dei Troubles in Irlanda e di altre guerre razziste (quelle scatenate dal “fascist regime” e altre ancora). E tutti l’avevano sempre saputo. Almeno fino al 2013, quando per la prima volta una stazione radio della Bbc la mandò in onda, ma con il verso incriminato occultato. Allora qualcuno protestò, il contenuto antirazzista appariva sempre evidente, e forse Elvis Costello avrà fatto una delle sue smorfie ironiche e sgangherate. Ma il tempo passa e anche lui si deve essere rotto le palle. Così ora ha dichiarato ufficialmente che non canterà mai più quella canzone, non vuole più sentirsi dare del razzista ogni volta per quella parola compresa al contrario e che invece “è un fatto storico”, come ha detto al Telegraph: “La gente sente quella parola e mi accusa per qualcosa che non ho inteso dire”. Così ha chiesto anche alle radio di “fargli il favore” personale di non trasmetterla più.

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La Bbc, che pure ha annunciato una nuova policy editoriale intesa a contrastare il wokism, ha pubblicato un articolo sul caso del Costello autocensurato rilanciando anche una notizia analoga dello scorso ottobre che fece rumore: pure i Rolling Stones hanno deciso di non eseguire più in concerto uno dei loro brani più famosi, Brown Sugar (un successo garantito dal 1971 e che soltanto su Spotify, per stare a un’èra geologica recente, ha totalizzato 170 milioni di ascolti), per via del suo contenuto che allude alla schiavitù, alla razza, a un sesso che s’indovina non consensuale e ad altre cose diventate nel frattempo indicibili. Ovviamente anche gli Stones hanno voluto precisare che nel testo non c’era tutto quello che le orecchie foderate di pregiudizio di oggi credono di sentire (Jagger, che a ogni buon conto è più paraculo di Costello, in realtà ha detto che oggi non scriverebbe più una canzone come Brown Sugar), ma tant’è, “Don’t start that talking”. 

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